mercoledì 6 settembre 2017

Rhino Season (Fasle kargadan) - Bahman Ghobadi

uno dice: un film con Monica Bellucci?
poi legge che il regista è Bahman Ghobadi, grande regista iraniano che qualcuno vorrebbe in galera, ma lui si è esiliato prima, meno male.
il film è sulla poesia, sulla libertà (o meglio su 30 anni di galera), sull'amore, con attori bravissimi.
film doloroso, senza troppe speranze.
da vedere - Ismaele







Per mezzo di un cupo collage di inquadrature furtive, strappate allo squallore e alla solitudine, Ghobadi ricostruisce la tragica parabola di una gioia che, improvvisamente, è stata fatta precipitare nel nulla. Quelle scene ci provengono dalle viscere di una terra martoriata: è l’abisso che si spalanca, nel cammino dell’esistenza, non appena si spegne la luce del sole. A un uomo, in un attimo, è davvero possibile rubare tutto, a cominciare dai tesori dell’anima. Le immagini sono impregnate del secco e gelido minimalismo dei versi del protagonista, scanditi dalle suggestioni di un simbolismo crudele, plasmato nella carne che soffre. Corpi di persone ed animali si contorcono di dolore o di piacere, mentre si mescolano con l’acqua, che è mare, pioggia oppure pianto. Il liquido si sostituisce all’aria per togliere il respiro. Lì dentro si soffoca, e la vista si annebbia. È lo straniamento dell’essere sradicato dalla propria realtà. Gli occhi sono costretti a guardare l’universo come da lontano, attraverso il filtro opaco del ricordo. Alla percezione viva del presente si sostituisce l’algida proiezione di una memoria date alle fiamme, e le cui ceneri si sono ormai raffreddate. Il  suo contenuto sono solo reliquie,  messe sotto vetro, ermeticamente chiuse nella loro asettica assenza di emozioni. La fisicità si è spenta, è diventata anonima, come un cadavere irriconoscibile…
da qui 

Bahman Ghobadi went to Turkey to shoot “Rhino Season”, an introspective political thriller with lyrical tones and a very particular pace. 30 years ago, during the Iranian Revolution, Sahel Farzan, a Kurdish-Iranian poet was arrested due to his harmless non-political book entitled “Rhino’s Last Poetry”. His wife’s driver, who was in love with her, made a false accusation driven by envy. Released from prison, Farzan departs to Istambul to search for his wife who believes he has been dead for 20 years. Direction and photography are sublime in this story replete of metaphors. The end is open to multiple interpretations, but it’s clear that Ghobadi wants to show that Iran’s regime is drowning the creativity of its own artists and with that, is also sinking itself. There is no other alternative than to leave a country more and more intolerant to self-expression and parched in its ideas. “Rhino Season” is tragic and evinces a deep sadness and pain... a tough reality for all the oppressed Iranian artists.

Esta encomiable apuesta por la experiencia trascendente a través de la belleza del arte, como si ésta fuese la preparatoria para la muerte (la auténtica, ya que el sentir corresponde con aquel que ha sido despojado de su existencia, desde una vivencia profunda de revenant ), recuerda en su sugestión a la fuerza abigarrada del romanticismo atmosférico de Nuri Bilge Ceylan, o a las búsquedas expresivas del Sokurov de Madre e hijo (Mat i Syn, 1997). Pero lo que en estos directores formalistas fuertemente pictóricos alcanza una discursividad arrebatadora y enriquecedora, en Ghobadi acaba situando al film en un callejón sin salida, ya que su formato críptico y ensimismado no permite que el film transpire con emotividad los rastros fantasmales que se lanzan a la palestra. Acierta en focalizar su atención en el bello e intenso rostro de Belluci como la expresión del martirologio, pero el pathostrágico a través de un triángulo amoroso no alcanza la penetración buscada…

Ghobadi said that he wasn’t “interested in politics per se,” and that his films are not political. But as an Iranian who is also an ethnic Kurd, politics will probably continue to shadow his stories whatever his intentions or admissions. “Rhino Season” is dedicated to political prisoners around the world and Sahel’s ghostly presence, always lurking at the periphery of the film — speaks volumes about their fate. Sahel’s entire life has been stolen, and nothing will ever be the same. When he finally locates Mina in Istanbul, he doesn’t go see her right away, but just sits in his car, looking out at the river. It’s a powerful, memorable scene, and one of many.


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