mercoledì 31 agosto 2016

Gerry – Gus Van Sant

Gerry (Matt Damon e Casey Affleck, bravissimi) si perdono nel deserto.
si inizia ridendo e scherzando, poi la voglia di ridere diminuisce, sempre di più.
un film che non lascia scampo, l'ho visto due volte, ti cattura, quei giorni di Gerry ti sembra che parlino di te, a te.
poche parole, non servono troppo, ma tutte al posto giusto.
Gerry c'est moi, direbbe qualcuno.
come un labirinto, con un'uscita lontana, come una metafora della vita.
mai apparso in sala da noi, girato in qualche deserto argentino.
per me un capolavoro - Ismaele





In questo "western dell'anima" protagonista si fa allora il cammino, mezzo di liberazione e purificazione attraverso le prove alle quali il deserto (metafora della vita) sottopone i due Gerry. E non importa quale sia la meta, tanto - dice Gerry/Damon - "tutte le strade portano nello stesso posto".
I dialoghi beckettiani al limite dell'assurdo, il minimalismo narrativo, lo scenario ora selvaggio ora lunare del deserto della Death Valley, ne fanno un'opera profonda e poetica in cui regna un senso di attesa quasi metafisico.

Vi sono pellicole che assai difficilmente possono essere circoscritte in un'analisi filmica, né tantomeno in una recensione. La poesia visiva di "Gerry" rientra in una di queste. Uno sfondo blu (stilisticamente a metà tra Jarman e  Kubrick) introduce un piano-sequenza di oltre sei minuti, accompagnato dal pianoforte liquefatto di Arvo Pärt. Solo l'incipit diretto da Gus Van Sant è di una magniloquenza assoluta, quasi contemplativa…
 Grazie a "Gerry" (distribuito in pochissime copie, in Italia mai uscito) Van Sant ha avuto l'opportunità di sprigionare le sue doti di maestria registica sperimentale e indipendente, annientando la narrazione e mettendo per una volta da parte le aspettative commerciali del pubblico…

GERRY è un mistero interpretabile e impenetrabile, l’unica cosa certa sono le immagini, di una magnificenza raggelata che polverizza nell’astrazione ogni partenza realistica, approdando a una realtà sepolta, inquietante e commovente. Pura plasticità, che supera ogni altra istanza, e ancora si presta a una lettura “classica”: l’uomo è misura di tutte le cose, ma l’ultima misura che potrà prendere sarà quella della propria tomba (i ragazzi intrappolati in paesaggi la cui scala dimensionale può essere dedotta solo grazie alla loro presenza).
Girato in un pugno di giorni durante la preproduzione di ELEPHANT, GERRY è la prova che il più recente Van Sant (e non solo il più recente) non ha bisogno di temi “importanti” (disagio giovanile, violenza nella società dello spettacolo, solitudine dell’artista) per essere quello che è: pura vertigine visiva, gioco sconvolgente, temuto (la tardiva distribuzione internazionale e la mancata uscita nelle sale italiane qualcosa vorranno pur dire) antidoto di un cinema ostaggio di un’e(ste)tica da piccolo schermo.

 Consideriamo i due Gerry come due parti di uno stesso individuo, come due elementi di una stessa mente, che possono essere coordinati (la marcia armonizzata) o in contrasto (l'indecisione sulla direzione da prendere). Questo individuo-tipo è certamente un americano (Van Sant è molto radicato all'interno del suo contesto). Se consideriamo la strada come l'itinerario tipo di un americano nella sua esistenza e l'uscita di strada come un evento traumatico che fa perdere i punti di riferimento, ecco che Gerry può davvero essere letto come la fine dei grandi racconti americani, il crollo delle certezze e dei miti made in USA.
E allora ecco che la scena del deserto bianco si legge bene se immaginiamo quella tabula rasa come un luogo di sospensione, come una grande mente dove le due anime dell'americano-tipo che cerca di uscire dalla crisi sono in contrasto. E' vero che alla fine il Gerry superstite rimane sotto l'occhio vigile di un Padre, ma è anche vero che fra i due, quello era il Gerry meno americano (basta ricordare il suo turbante per capirne l'alterità rispetto al "sistema").
Nessuna pretesa di completezza in queste parole, solo la presa di coscienza di trovarsi di fronte a un vero capolavoro.
da qui

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