ha vinto l'ultima edizione del festival del cinema di Venezia, è un film 'hors categorie', come certe montagne da scalare al Tour de France.
un film costituito di 39 quadri spesso legati fra di loro, Roy Andersson dipinge un mondo che sta morendo, o è già morto, e ancora non lo sappiamo.
si ride anche, ma non è humor nero, è humor glaciale, senza pietà.
mi è venuto in mente che alcuni episodi avrebbero potuto essere scritti da Franz Kafka, umorismo sull'abisso.
tra le cose tragiche ci sono la ripetizione di una frase, parole ormai senza significato, e i due venditori che vogliono far ridere il mondo, ma loro non sanno sorridere.
ogni mattina ripartono per l'avventura (del commesso viaggiatore), e poi scornati, avviliti, e ancora più tristi tornano a casa.
la casa poi, un alberghetto o una casa del povero, forse un rifugio per senzatetto, ma con camere singole.
per chi non lo conosce ecco qualcosa di Roy Andersson, qui e qui.
da vedere e rivedere, non perdetevelo - Ismaele
un film costituito di 39 quadri spesso legati fra di loro, Roy Andersson dipinge un mondo che sta morendo, o è già morto, e ancora non lo sappiamo.
si ride anche, ma non è humor nero, è humor glaciale, senza pietà.
mi è venuto in mente che alcuni episodi avrebbero potuto essere scritti da Franz Kafka, umorismo sull'abisso.
tra le cose tragiche ci sono la ripetizione di una frase, parole ormai senza significato, e i due venditori che vogliono far ridere il mondo, ma loro non sanno sorridere.
ogni mattina ripartono per l'avventura (del commesso viaggiatore), e poi scornati, avviliti, e ancora più tristi tornano a casa.
la casa poi, un alberghetto o una casa del povero, forse un rifugio per senzatetto, ma con camere singole.
per chi non lo conosce ecco qualcosa di Roy Andersson, qui e qui.
da vedere e rivedere, non perdetevelo - Ismaele
…Viene da ridere e viene da piangere, come in un circo dei più
derelitti. Scene
che non si dimenticano. La lezione di flamenco, il numero da musical dei
soldati nella taverna di Lotta la zoppa, l’irruzione in un caffè di un
settecentesco re di Svezia a cavallo che si porta via come amante il bel
barista, l’incubo del gigantesco cilindro-bolide forno-inceneritore. Si possono
vedere in Andersson infiniti rimandi e citazioni. Tati, Buster Keaton, Chaplin,
i Monty Python, l’inevitabile Fellini. Ma Andersson alla fin fine è solo se
stesso, di quegli autori che sanno costruire un proprio universo rendendolo
unico, riconoscibile, mettendoci sopra il proprio marchio. Lo strambo titolo
viene da una poesia, o meglio il racconto di una poesia, fatto da una ragazzina
differente in uno spettacolino scolastico. Capolavoro, se è ancora consentito
frequentare questa parola.
da
qui…Forse non c’è più alcuno spazio per l’interpretazione della realtà, non c’è più nemmeno lo spazio per i giudizi, tutto è congelato, rimane l’assurdità del gesto, inopportuno e costantemente fuori contesto. Il gesto diventa l’offrire la birra pagata da un morto, ai sopravvissuti; il gesto è cucinare durante la morte del proprio marito in cucina; il gesto è cercare di vendere articoli per fare scherzi senza riuscire a ridere mai. Ma è nell’esser fuori contesto del gesto che l’ironia permane come unica e definitiva caratteristica umana. Non è giusto usare essere umani per il proprio divertimento, e non c’è speranza per nessuno. Ma non resta altro da fare che accettare d’esser fuori contesto, inopportuni: ghiacciati. L'ironia così non è nient'altro che il gesto in sé, fuori contesto, fuori dal mondo, (fragile e incantevole come, nell’unica immagine ripresa dal basso, le bolle di sapone soffiate da due bambine su un balcone, inquadrate come se fossero a bordo di un’invisibile mongolfiera, così vicine eppur distanti, separate da tutto il resto grazie alla loro apparente innocenza), che ci libera dalla sofferenza e ci rende morti vivi e senza speranza, ma con infinita, infinita leggerezza.
…L'utilizzo del digitale, infatti, consente di
introdurre ancor più elementi surreali nei tableaux vivants tipici del regista:
l'armata di Carlo XII che si ferma a un bar per una birra, un esercito
coloniale che si serve di schiavi neri per alimentare un curioso marchingegno,
una scimmietta usata come cavia per scopi ignoti (ma con ogni probabilità privi
di senso). Una distorsione della realtà che porta l'immaginario artistico di
riferimento più dalle parti di Otto Dix che da quelle di Bruegel il Vecchio,
che è ancora una volta ispirazione originaria (dal suo I cacciatori nella neve,
infatti, deriva l'immagine dei piccioni che osservano l'inutile affanno del
genere umano, placidamente poggiati su un ramo)…
…In conferenza stampa durante la Mostra del Cinema di Venezia
dove il folle film di Andersson ha portato a casa il premio più importante
(Leone d’Oro), qualche collega ha chiesto sconvolto se la
scimmietta che riceve le scosse in laboratorio fosse vera. Andersson ha replicato
perplesso che ovviamente era in animatronic e questo effetto speciale, per la
collocazione e la totale estraneità al resto del film, è una bomba.
L’importanza di questo bellissimo trucco meccanico ci convince sempre di più
che in un film senza vfx mirabolanti… quando poi ne arriva uno di questa forza
e buona fattura, allora poi non te lo togli più dalla mente. Aria fresca di
questi tempi. Soprattutto perché siamo ormai assuefatti a un’effettistica così
invadente da diventare assente. La scimmietta di Andersson, invece, non la
dimenticheremo mai così come quel gigantesco girarrosto umano cilindrico
color rame in cui si cuociono i corpi e da cui si ascoltano i lamenti di poveri
africani torturati da composti colonialisti. E’ tutto quieto nel film di Andersson. L’amore, la morte, il
ricordo e l’orrore. Forse è anche un attacco a quella
impassibilità scandinava che ti fa ripetere: “Mi fa piacere sentire che le cose
vadano bene” anche se due secondi dopo ti sparerai un colpo di rivoltella in
testa…
…Sam e Jonathan, commessi viaggiatori che commerciano in prodotti di intrattenimento dall’efficacia a dir poco discutibile (i denti da vampiro, anche nella versione con i canini extra lunghi, una busta che produce una risata fittizia – “per divertirsi a casa o in ufficio”, replicano con stanca insistenza i due –, e una maschera con un dente solo che al massimo riesce a terrorizzare una potenziale acquirente), sono solo gli ultimi protagonisti di quell’umanità disadorna, vuota, disperata senza averne coscienza, destinata all’oblio…
…Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza resterà per sempre nella mente di ogni cinefilo che si rispetti per lo straordinario segmento ambientato nel 1943 nella taverna di Lotta la Zoppa di Göteborg: un bignami di delicatezza, intelligenza, comicità, tenerezza e ghignante surrealismo che andrebbe fatto studiare, secondo dopo secondo, a chiunque baleni nella testa l’idea di costruire una narrazione per immagini. Quella sequenza, da sola, vale tutti i palmarès del mondo.
Il lungometraggio ha come protagonisti Sam (Nils Westblom) e
Jonathan (Holger Andersson), due venditori ambulanti che propongono a
potenziali clienti travestimenti e articoli per le feste, attività che li porta
a contatto con persone di ogni tipo.
La trama permette al regista svedese di dare spazio a un ritratto ironico e attento della vita e delle sue innumerevoli sfumature. Andiamo alla scoperta del film e dei suoi segreti…
La trama permette al regista svedese di dare spazio a un ritratto ironico e attento della vita e delle sue innumerevoli sfumature. Andiamo alla scoperta del film e dei suoi segreti…
…Colori smortaccini, vite
di uomini non illustri, un aforisma lungo un film che sarebbe piaciuto,
crediamo, a Giuseppe Pontiggia. C’è del surreale in Svezia, e merita di essere
colto, nonostante questo Piccione possa risultare indigesto a più d’uno: ci
vuole pazienza, e costanza, per entrare nella materia, capire che tra
humour, nonsense e sospensione dell’impassibilità si nasconde un tesoretto.
“Parla di noi, della nostra vita”, dice il regista, che dal colonialismo
agli esperimenti sugli animali mette alla berlina le disforie, le turpitudini
passate e presenti (?) dell’Occidente: riflettiamo, dunque, sull’esistenza,
riflettiamo su come non finire impagliati, meglio, disanimati a nostra volta.
Perché Roy Andersson non fa sconti: il ramo può attendere?
…El metraje termina y uno sabe que
múltiples detalles escapan al entendimiento y que más visionados son
recomendables, aunque la inteligencia del cineasta y su empeño en ser humanista
desde su atalaya de lucidez y frialdad se quedan en la memoria. Lástima que el
resultado final no parezca tanto una película sino una colección de ocurrencias
con resultado a veces fallido, aunque algunas de sus perlas sean muy
interesantes. Y es que, al contrario que se repite como una letanía en el
filme, no todo va bien. La película tiene problemas, pero lo desigual de su
todo es muy sugerente, y plantea preguntas de lo más existenciales.
Vado a vederlo in settimana, e conoscendo lo stile di Andersson credo di andar sul sicuro, sempre se l'aspetto umoristico non prevale troppo, come in "You the Living"...
RispondiEliminain sala c'era qualcuno che rideva in certe scene, io intendo quell'umorismo tragico che ti colpisce dentro, in silenzio, mi dirai...
EliminaCome Frank, vado mercoledì.
RispondiEliminaPoi torno a leggere.
oggi è di nuovo mercoledì, dicono nel film :)
EliminaDomani è un altro giorno, dicevano nel primo "Canzoni dal secondo piano" ;)
Eliminae oggi è di nuovo mercoledì, ah, le ripetizioni...
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