lunedì 5 maggio 2014

Il negozio al corso - Ján Kadár, Elmar Klos

vincitore dell'Oscar per il miglior film straniero nel 1965, da noi è quasi del tutto sconosciuto.
si inizia ridendo e si finisce in una tragedia immensa (in alcuni momenti mi ha ricordato "L'uomo del banco dei pegni", di Sidney Lumet).
la storia non lascia scampo a chi la guarda, non si può smettere, grandissimi i due interpreti, i personaggi Tono e la signora Lautmann, che devono affrontare l'orrore, Tono non vuole essere complice, viene trattato come un figlio dalla signora alla quale deve rubare tutto, non ce la fa.
il dramma storico e umano si compie.
non perdetelo, sarà difficile trovarlo, ma provateci, è un film indimenticabile - Ismaele







Gioiellino della nová vlna del cinema cecoslovacco, quella stessa che produsse lavori come "L'asso di picche" e "Gli amori di una bionda" di Milos Forman, nonché "Treni strettamente sorvegliati" di Jiri Menzel. Con il modo leggero - che non vuol dire superficiale - per così dire "hrabliano", tipico del cinema cecoslovacco degli anni precedenti alla repressione sovietica, Kadár e Klos raccontano una vicenda il cui sottofondo ed i cui sviluppi affondano nel tragico: la Slovacchia descritta nel film (siamo nel 1942) è occupata dai Tedeschi ed attraversata dalle tenebrose squadre dei miliziani fascisti seguaci di monsignor Tiso e costituisce lo scenario per le leggi disciminatorie nei confronti degli Ebrei, e poi per la loro deportazione verso i campi di sterminio. Per di più, il tema del film ha a che fare con il senso di colpa di chi, come il falegname ariano protagonista (cui viene affidato il compito di "arianizzare" la merceria dell'anziana vedova ebrea Lautmann), collaborò, quasi senza accorgersene, all'olocausto. Dal punto di vista critico non si può, come fa per esempio Mereghetti, esaltare un film come "La vita è bella di Benigni" e condannare "Il negozio al corso" perché affronta con tono leggero un argomento serio come lo sterminio degli Ebrei: chi abbia guardato con occhio attento quest'opera appassionata di Kadár e Klos comprende facilmente che è lontana le mille miglia dalle loro intenzioni qualsiasi tentazione di facile comicità, come testimonia la minacciosa piramide di legno costruita dai fascisti; mentre chi conosca anche minimamente la civiltà e la cultura cecoslovacca (oggi purtroppo divisa nelle due distinte repubbliche Ceca e Slovacca) non può non sapere che la vita stessa di quel popolo è fatta di bonaria accettazione dei fatti della vita, spesso aiutata da colossali bevute, canti e ballate. Non è colpa loro se hanno vissuto la tragedia della guerra con stato d'animo diverso dal nostro, seppure con gli stessi tragici problemi. Ottimi tutti gli attori, tra i quali preferisco non fare distinzioni.

à une génération qui n’a pas connu le contexte de la Seconde Guerre mondiale et de l’Occupation, ce film parle. Car il y est question de l’horreur qui se trame sous nos yeux chaque jour, que nous ne voyons pas aveuglés par les richesses et le confort qu’engendre ce système. Autrement dit, ce film interroge a posteriori nos responsabilités quant aux catastrophes écologiques et humaines sur lesquelles repose notre monde moderne et fait de cette œuvre un témoignage qui traverse les âges.

The Shop on Main Street benefits from two outstanding acting performances from the leads. Jozef Kroner brings Tono Brtko to life, first as an inept, almost Chaplinesque figure of misfortune, and later as a man driven by fear, willing to give up another to save his own skin. Kroner understands the basic absurdity of Tono's situation: the lazy, uncooperative man given a shop to run by the Fascists; the shop that is supposed to be a goldmine but is completely worthless; the "Arisator" on the payroll of the Jewish community and ordered around by the woman whose shop he is supposed to be commandeering. At the same time, he does a great job of showing us the turmoil within Tono Brtko, his frustrations, fears, and ultimately his horror at the way events unfold. The counterpoint to all this is Ida Kaminska as Mrs. Lautmann, the sweet, oblivious old lady who thinks she is doing Tono a favor by giving him a job. Kaminska, like Kroner, understands the basic absurdities of her character's position. She too makes a startling transition when she is suddenly awakened to reality; her transformation is visible as realization spreads across her face and she breathes a single, hated word: pogrom…
da qui

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