sabato 5 gennaio 2013

Veronica Voss - Rainer Werner Fassbinder

un bianco e nero bellissimo, per una storia che è thriller, storia d'amore, scavo nel passato. inquietante quanto basta, non ti stacchi e ti stupisce spesso.
da vedere e/o rivedere - ismaele




… Realizzato con i nuovi, ormai abituali collaboratori e interpretato da un gruppo di bravissimi attori di teatro, “Die Sehnsucht der Veronika Voss” è prima di tutto uno splendido esercizio di stile. Con uno stupendo bianco e nero, con una sbalorditiva padronanza dei movimenti di macchina, con un finissimo senso del montaggio e della recitazione, il film conferma una volta di più che il referente di Fassbinder è diventato il vasto pubblico del cosiddetto art film.
La Germania del miracolo è frequentata da un fantasma: Veronika Voss. Veronika incarna il ritorno del passato: non l'incubo del nazismo e della guerra, ma il glamour luccicante del Terzo Reich antebellico. Veronika, come Lili Marleen, è, nonostante tutti i suoi misteri, un personaggio piatto e vacuo. È l'immagine inquietante del fascino per qualcosa di perduto, per qualcosa che Robert ha legato al ricordo della sua gioventù.
Il sogno di questa nuova eroina fassbinderiana non è un sogno attuabile, è un sogno regressivo: il termine “Sehnsucht” significa rimpianto, nostalgia, passione melanconica. Robert ne è prigioniero non solo per l'emozione che questa epifania del passato gli procura, ma perché vorrebbe anche comprenderne il mistero. Man mano che la sua relazione con Veronika procede, deve però fare i conti con altri aspetti della memoria: due altri pazienti della dottoressa Katz sono vecchi ebrei sfuggiti ai campi di sterminio…

Fassbinder's visual style is the perfect match for this subject. He shoots in the unusual combination of wide screen and black and white, filling his frame with objects: clothes, jewelry, furniture, paintings, statues, potted palms, kitsch. This is a movie of Veronika Voss's life as Veronika might have pictured it in one of her own nightmares. The elaborate camera moves and the great attention to decor are just right for the performances., which come in two styles: stylized and ordinary. Veronika Voss is elegant even in her degradation, but she is surrounded here by plainer folks like Robert, the sportswriter she picks up in a cafe. There are times during the movie when we can almost see everyday, ordinary postwar Germany picking its way distastefully through the smelly rubble of pre-war decadence...

Fassbinder is careful to emphasise the artificality of his film – the most notable of his ‘alienation techniques’ being the monotonously repetitious use of a handful of music cues: a tinkly ‘romantic’ tune giving way to a drum-heavy ‘doomy’ theme when things take a downturn. This initially seems heavy-handed to the point of clumsiness (as does the rather awkwardly-inserted Treibel subplot), but Fassbinder knows exactly what he’s doing. Veronika Voss builds and builds with the remorseless tightness of a bad headache, finally emerging as compelling conjuction of the camp, the comic and the tragic as Fassbinder delineates what William Burroughs calls ‘the algebra of need’ (the German title translates as ‘The Longing of Veronika Voss.’)
But Fassbinder goes beyond tragedy. Voss, we realise, is desperate to play a part – any part. And if that part happens to be “tragic heroine” in a “movie” called her own life, so be it (or perhaps this is only her own justification for her addiction?). And she plays the role to perfection…

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