lunedì 25 giugno 2012

Session 9 – Brad Anderson

Brad Anderson riesce a farti impaurire, senza mostri ed effetti speciali. 
il film si svolge in un ex manicomio e tutti i personaggi ne vengono colpiti.
la storia somma elementi per tutto il film e alla fine, forse, si risolve tutto.
merita di sicuro - Ismaele


La sofferenza umana, gli esperimenti, il dolore dei malati, le possessioni, gli abusi impregnano l’aria, i corridoi, il buio, il vuoto, i muri di un vecchio ospedale psichiatrico abbandonato, nei pressi di Boston. Una squadra di cinque operai della Hazmat Elimination Co. vince l’appalto per alcuni lavori (da completare in pochissimi giorni), preliminari alla ristrutturazione del manicomio. Lo stress della scadenza, le debolezze psicologiche e i problemi irrisolti dei cinque protagonisti accentuano lavulnerabilità del team e innescano l’orrore. Tra presente e passato. Tra architetture inquietanti e labirinti mentali. Brad Anderson e il suo cast di attori (eccellente la performance di Peter Mullan) costruiscono una suspense densa ed efficacissima, sollecitando il versante emotivo e intellettuale del genere. Un ottimo esempio di “old style” horror che maneggia, con competenza, la pazzia, i luoghi e i corpi.

Passato quasi del tutto inosservato dal pubblico e girato con un budget limitato, Session 9 è uno di quei rari film horror che riesce a spaventare lo spettatore dall’inizio fino alla fine senza quasi mai annoiare. Non ci sono effetti speciali, non ci sono mostri né serial killer on the loose. C’è soltanto un edificio abbandonato che esiste realmente, il Bonner Medical Building di Danvers, e le sue stanze piene di tristi ricordi di un’epoca andata. Quello e poco altro. Ma quel poco che c’è si incastra magicamente costruendo un puzzle diabolico e disturbante, in grado di accalappiarsi la nostra attenzione e, al momento opportuno, anche di giocare con le nostre paure.
Mentre la storia si apre in maniera lineare e fluida, l’accadere degli eventi innesca una trama fitta, densa di colpi di scena, saltando da un personaggio all’altro. Una scelta narrativa indispensabile per creare suspense e per delineare il profilo emotivo dei protagonisti, ma che finisce per confondere lo spettatore verso la fine del film, dove l’intreccio si snoda in una parabola ascendete di orrore. Un orrore di cronaca fin troppo attuale, che inchioda alla poltrona e disturba lo spettatore nella sua perversa e ineluttabile determinazione...

Session 9 è capace di scavare nella psiche dei suoi protagonisti, e facendo questo scava anche in quella degli spettatori. I cambi di prospettiva sono molteplici, e si arriva agli ultimi cinque minuti della pellicola col timore di essersi persi qualche dettaglio importante e di non aver capito nulla. Ed invece no, perchè è tutto lì davanti, viene spiegato tutto e tutto appare credibile e follemente lucido nella sua parziale ed innata irrazionalità. Un capolavoro, dunque? No, perchè a ben pensarci si tratta di una vicenda dai connotati derivativi e risalenti al classico Shining diStanley Kubrick: il personaggio con problemi psichici ed il costante ed inesorabile aggravarsi delle sue condizioni, ed un luogo le cui mura sono imbevute di storie macabre, iniettate di dolore e follia…

2 commenti:

  1. questo è un cultissimo da vedere e rivedere...

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  2. intanto l'ho visto, e mi sembra che si possa rivedere, non annoia per niente...

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