martedì 12 giugno 2012

Schastye moe (My Joy) - Sergei Loznitsa

un film con episodi che si incrociano, che riesce ad inquietare, non tutto è facile, bisogna riannodare i fili ogni tanto e alla fine.
una parte bellissima ricorda "Prologue", di Bela Tarr
Sergei Loznitsa, è uno bravo, questo è sicuro, e qui lo dimostra - Ismaele




E' nel saper condurre con estrema cautela e altrettanto stile il successivo "ricircolo" il merito maggiore di Loznitsa, che inquadra nella ciclicità degli eventi e nella definizione burocatrica dell'uomo (tutto, alla fine, prende il via e si riduce alla richiesta di esibire un documento...) la gabbia da cui è impossibile fuggire. La chiave si nasconde dietro un nichilismo disperato, come suggerisce l'agghiacciante finale: ma arrivati a tanto, quello che rimane davanti è solamente una strada - pardon, una direzione - inghiottita dalle tenebre…

nell’incomprensibile e inevitabile avvento del male e dell’imprevedibilità incarnate, dapprima nell’assurdo e spietato omicidio di un insegnante da parte di due soldati di ritorno dalla seconda guerra mondiale, che lo eliminano dopo aver accolto l’ospitalità dell’uomo e di suo figlio, e anni dopo ritrovando il nostro Georgy muto, barbuto e sperduto dentro la stessa casa, come un alieno che assorbe la violenza e lo scorrere senza senso di tutto, non riuscendo apparentemente a reagire. Fino a riportarlo alle medesime dinamiche di quel controllo iniziale, dove all’inauditezza e ingiustizia della violenza e della forza di chi si intromette e rovina tutto inevitabilmente (caso, autorità, vita come la si vuole definire), Georgy stesso pone fine, diventando per la prima volta carnefice…

…The journey is full of detours, some of which take in scenes from the past, from 60 years or so ago, in the time of World War Two. In beautiful, lyrical mise-en-scene, the director shows scenes of brutality, rudeness, corruption and violence; this is a poetical portrayal of ugliness... Whether it is intended as a depiction of the brutality of conditions in contemporary Russia, or whether it is intended more as a general portrait of the human condition is not entirely clear to me, but, whatever it is, this is strong, haunting film-making, skillfully depicting a disjointed world of violence and degradation.

Di questo film restano negli occhi la scena iniziale, la più potente e già segno di un filmare che si chiude in se stesso, non comunicante con quel che accadrà poi, in cui nel fango mostrato a tutto schermo viene gettato il corpo di un uomo, quindi ricoperto di terra da una ruspa; e il vagare, sempre molto preciso (perché Schastye moe è un lavoro professionalmente ricercato), e in piano sequenza, della macchina da presa tra i volti della folla del villaggio dove il camionista approda accompagnato da una prostituta adolescente incontrata lungo una strada bloccata da un incidente. Istanti di un film altrimenti inscritto in un cul-de-sac che però non produce derive ma solo loro sbiadite e pretestuose rappresentazioni.

…In all cases, the point seems to be the same: there's a whole fascinating world out there, and no one perspective can take it all in. Loznitsa seems hellbent on doing everything he can to give us a flavor of everything out there, which is at once My Joy's great achievement and its most frustrating problem: there's just too much in it, assembled with gusto but little discrimination, and as much as every single moment in the film achieves near-transcendence, there's very little flow from one moment to the next: certainly none in the narrative, and very little in terms of mood or intellectual feeling. It is not intuitively solid; maybe it isn't supposed to be…

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