domenica 11 maggio 2025

Nottefonda - Giuseppe Miale Di Mauro

opera prima di Giuseppe Miale Di Mauro, che viaggia sulle gambe di una sceneggiatura e dell'interpretazione dei pochi, ma azzeccati, interpreti, sopratutto Ciro (Francesco Di Leva) e Luigino (Mario Di Leva).

Ciro non riesce ad accettare la morte, in un incidente stradale, della moglie e del figlio, Ciro non c'era.

(sopra)vive a casa della madre, fa lavoretti da niente, si droga, tutte le notti sta sveglio, girando in macchina, insieme al figlio morto, ma per lui ancora vivo, l'elaborazione del lutto sembra impossibile, ma alla fine il film si apre.

un piccolo film che merita.

buona (Di Leva) visione - Ismaele



 

La regia è compatta, fortemente empatica, e tira fuori il meglio da un cast di attori eccezionale: Francesco Di Leva è il cuore pulsante (lo stomaco, i visceri, la carne) di Ciro, e modula con grande sapienza e intensità ogni emozione del suo personaggio, e Mario Di Leva gli tiene testa con grazia e spontaneità. La loro interazione è reale non solo perché sono padre e figlio nella vita, ma perché condividono visibilmente la stessa devozione per il teatro e la stessa attenzione ad essere veri, non solo verosimili. Accanto a loro spiccano soprattutto Adriano Pantaleo (anche lui cofondatore del NEST), che incarna la rabbia esplosiva di Carmine senza mai "stroppiare", e la monumentale Dora Romano nel ruolo della madre di Ciro, paralizzata dallo sconcerto e ammutolita dal dispiacere.

Nottefonda è un piccolo congegno ad orologeria, una storia che si vorrà rivedere una volta arrivati alla fine, un viaggio nell'elaborazione del lutto e nel senso di colpa di chi sopravvive. A prima vista può sembrare l'ennesimo noir in salsa partenopea, o un melodramma alla Merola (con tutto il rispetto per quel genere), e invece è altro, e oltre, ed è uno studio del comportamento umano che va dritto alla giugulare. Tutto è a fuoco e allo stesso tempo fuori fuoco, tutto è ricordo e allo stesso tempo presente crudele, e il peregrinare notturno di Ciro è un viaggio a vuoto in un girone dantesco che la presenza di Luigi rende allo stesso tempo più sopportabile e meno gestibile. Il mondo intorno a loro sembra sul punto di crollare: ma gli esseri umani sono fatti per sopravvivere, e per sopportare anche l'insopportabile.

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Tecnicamente, dal punto di vista fotografico, l’opera è di pregio; spicca una sequenza dove la principale fonte di illuminazione è costituita da candele. In generale la luce, quasi mai naturale, sembra rappresentare metaforicamente lo stato d’animo del protagonista, diviso tra sconforto e speranza. Nella sceneggiatura appare, invece, un po’ enigmatica la frase tratta da testi sacri: non viene mai rivelato, infatti, in maniera del tutto esaustiva il significato che si intende attribuirle. Complessivamente “Nottefonda” è un’opera ben riuscita, con interpretazioni credibili, la sua più grande qualità è riuscire a trattare in maniera sentita e non banale un tema affrontato più volte e in numerose modalità nel panorama cinematografico italiano.

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…la presenza di Luigi, il ragazzino dallo sguardo acuto e luminoso e la voce roca da scugnizzo (al quale, in un ulteriore gioco di rimandi e specchi, presta il volto Mario, somigliantissimo figlio nella realtà dello stesso Di Leva), diventa la spinta propositiva, calda, giocosa che delimita lo sfasamento realtà/ illusione di Ciro, e il suo conseguente, possibile sfracellarsi in picchiata contro l’ “abbascio” di un dolore sospeso sul cornicione di un terrazzo. Ciro rimane attaccato a quello che resta di se stesso e della sua emanazione nel mondo grazie al suo aggrapparsi  a Luigi, e la regia di Di Mauro  cerca di sciogliere questo nodo, cruciale per la risoluzione del mistero intorno al trauma scatenante, utilizzando la luce in una chiave chiaroscurale che mostra e nasconde, rende silhouette i corpi di una precisa appartenenza antropologica e culturale, e innerva di sangue ed emozioni i segni del disagio. A proposito di contesto e ambientazione, è apprezzabile poi che non ci soffermi su un immaginario da periferia complicata e problematica, con l’irruzione di un’ attualità relegata a facili proposte paratelevisive  di decifrazione sociologica e morbose esposizioni di fatti di cronaca nera. L’oscurità non è un fatto riconducibile al fenomeno criminoso che permea e corrompe la comunità partenopea. La facilità con la quale circolano armi da fuoco o si organizzano incontri clandestini di cani da combattimento non viene spiegata nella prospettiva di un’indagine sulla camorra. Il territorio non viene affrontato con il tarlo logorante di un’ occupazione da parte di una struttura organizzata illegale che lo prosciuga e lo abusa…

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