giovedì 26 settembre 2019

La vita invisibile di Eurídice Gusmão - Karim Aïnouz

due sorelle inseparabili vengono separate da un padre all'antica, come ce ne sono sempre e dappertutto.
l'onore e la reputazione della famiglia sono stati alcuni dei grandi crimini dell'umanità, fra i tanti.
il film è "normale2 nella prima parte, ha una gine strepitosa, merito di una sceneggiatura a orologeria.
Guida insegue l'amore e si fa portare fino in Grecia, ma quello che la seduce è solo un trombeur de femmes.
Euridice l'aspetterà per sempre, vivendo una vita insoddisfacente, con un marito che la tiene praticamente prigioniera.
Esce in poche sale, cercatelo, non sarete delusi - Ismaele








Vincitore del prestigioso primo premio della sezione Un Certain Regard all'ultimo Festival di Cannes, il film si concentra su due sorelle, Euridice e Guida, cresciute in Brasile in una famiglia rigida e conservatrice. Le due sono unite e inseparabili, ma tutto cambia quando Guida scappa all'estero con il suo amante. Mesi dopo, la ragazza torna a casa, sola e incinta, ma il padre non riuscirà a perdonarla: la bandisce dalla famiglia e le dice che sua sorella è partita per studiare musica a Vienna e che non vuole più avere alcun contatto con lei.
Tra i nomi più interessanti del cinema brasiliano contemporaneo, Aïnouz firma con questa pellicola il suo lavoro migliore, un dramma intenso, giocato sui segreti e le bugie di un nucleo familiare controllato da un padre autoritario, che decide di forzare le due figlie a rimanere distanti.

Euridice e Guida cercano di prendere il controllo dei loro destini separati, tentando di trovare da sole la forza per superare diversi ostacoli, senza l'appoggio reciproco, ma con il comune desiderio di ritrovarsi.
Qualche passaggio narrativo può risultare troppo costruito a tavolino, ma nel complesso il film funziona e convince, soprattutto per il notevole approfondimento psicologico dei personaggi.
Anche l'apparato formale è raffinato, ma colpiscono ancora di più le prove di un cast in buona forma, in cui tutti gli attori risultano credibili al punto giusto.

 dalla tessitura davvero ammaliante di immagini e suoni con cui Aïnouz, architetto e artista prima che regista, avvolge queste due vite segnate dal segreto.

L’acqua di una cascata, un’esecuzione musicale, la prima notte di nozze di Euridice, gli avvertimenti di un’amica, la nuova e più ricca vita di Guida accanto a una nera dei quartieri umili, le umiliazioni e le riscosse di entrambe, la fierezza e la coscienza di sé che non le abbandonano mai: in ogni momento, dal più lirico al più osceno (il sesso è filmato con disincantato realismo), Aïnouz trova il taglio, il ritmo, la grana, i colori, per dominare il tumultuoso susseguirsi di eventi andando dritto al cuore, delle protagoniste e dello spettatore. Il romanzo di Martha Batalha da cui è tratto il film (Feltrinelli) non poteva trovare trascrizione più libera e più emozionante
“La vita invisibile di Eurídice Gusmão”

Un’epopea personale ed intima senza quella patina glamour che spesso i film d’epoca hanno, soprattutto se virati al femminile.
Un’opera che sarebbe un peccato perdersi e che può farci scoprire una cinematografia come quella brasiliana, spesso in difficoltà ma con una gran voglia di non farsi schiacciare da politiche infelici e farsi strada a livello internazionale. Un modo è sicuramente anche quello di raccontare storie come questa.
da qui

… A metà strada fra Douglas Sirk e Pedro Almodovar (ma in assoluta autonomia) la pellicola è anche una interessante, profonda riflessione sul melodramma e sulla sua importanza narrativa, poiché qui sono proprio le modalità classiche del genere che aiutano il regista  a  rendere palpabile l’interiorità  di queste due figure così ben raccontata nel romanzo attraverso l’utilizzo delle parole  (che sono una peculiarità specifica della letteratura) ma così difficile da trasferire  sullo schermo con la stessa intensità e chiarezza, se non si vuole essere verbosi e didascalici. Qui l’operazione è perfettamente riuscita anche in forma prettamente cinematografica, poiché i loro intimi sentimenti ci vengono fatti percepire attraverso il sapiente utilizzo dei corpi e dei loro movimenti, con l’ulteriore aiuto degli sguardi, delle espressioni dei volti, del montaggio e della composizione interna alle inquadrature, tutti elementi che Aïnouz  domina con assoluta maestria e utilizza altrettanto bene rispettando (ma anche innovando perché non va mai sopra le righe ed evita ogni piccola, possibile smagliatura o caduta di ritmo - e il film dura ben oltre le due ore!) le regole canoniche fissate per il melodramma.
Il film di Aïnouz insomma, oltre ad essere un dramma potente e un vero canto d’amore fra sorelle, ha anche una valenza sociale  di straordinaria rilevanza poiché è sì ambientato nel retrogrado Brasile degli anni ’50 del secolo scorso. ma  quello che racconta si riverbera magistralmente anche sul presente e non solo del Brasile (che si presenta ancora ai giorni nostri più arido di affetti che torrido di clima se mi si consente questo paragone) ma del mondo intero poiché vediamo tutti anche nella stretta cerchia delle nostre conoscenze, quante sono ancora ai giorni nostri le donne alle quali vengono tarpate le ali…

È visivamente ricco, La vita invisibile di Eurídice Gusmão, di una ricchezza che per una volta non collide – ma anzi si integra alla perfezione – con la densità e pregnanza della sua narrazione. La macchina da presa del regista sta incollata alle sue protagoniste, colora volti e ambienti con le tonalità dei diversi gradienti emotivi della storia, supportata in questo da un tappeto musicale che (spesso coincidente con le inquiete composizioni di Eurídice) interviene con parca ma – laddove è richiesto – “piena” parsimonia. Il film di Karim Aïnouz riesce a farsi spaccato sociale anche mantenendosi intimo (e fortemente empatico) nello sguardo, evocando costantemente il fuori senza mostrarlo, giocando continuamente con la dimensione immaginifica – strettamente legata a quella dell’assenza – e col suo rapporto dialettico con la crudezza della realtà. Un’opera che si prende il suo tempo per articolare il suo (melo)dramma, non avendo paura, nel finale, di piazzare un ellissi temporale che spiazza, ma che poi si rivela non solo giustificata nell’economia generale del racconto, ma persino necessaria. In un mondo trasformato, la (doppia) parabola di vita a cui abbiamo assistito può finalmente giungere a compimento; ma la dimensione onirica, plasticamente incarnata dall’ultima sequenza, resta lì, viva e inquieta quanto necessaria.

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