lunedì 23 settembre 2019

C'era una volta a...Hollywood - Quentin Tarantino

Dicono che è un film troppo lungo, dicono che non è più il Tarantino di una volta, dicono che a tratti è noioso, tutti, come è giusto, ma ciascuno veda coi suoi occhi e la sua testa.
Per me, quasi sempre, e questa è una di quelle volte, vedere un film di Quentin Tarantino è come fare un giro in una giostra, come quando eri bambino.
Sai già che sarai a bocca aperta, e che tante scene saranno di un altro pianeta, come il dialogo fra Leonardo Di Caprio e la bambina.
E poi il film è un omaggio esplicito al cinema italiano degli anni '60 e '70, quando era di serie A, senza dubbio.
Tarantino riscrive la storia, non come Benigni che fa entrare per primi gli statiunitensi ad Auschwitz, anziché i russi, e questo e un falso storico.
Tarantino "solo" fa entrare il Male di Manson, e delle sue due scagnozze, in una casa in cui credevano di chiudere i conti con chi li aveva trattati male, pensando in una passeggiata, per poi chiudere la serata con Sharon Tate.
Purtroppo per loro le cose vanno diversamente e Sharon Tate è salva.
Ah, come le cose vanno male nella vita vera, ci dice Tarantino, e si inventa una ucronia, e lo fa con affetto, con delicatezza, per proteggere gli innocenti.
gli interpreti sono strepitosi, guidati con mano ferma e sapiente, e nell'ultima parte Leonardo DiCaprio sembra la controfigura di Jack Black.
Se il film ti piacerà la metà di quanto è piaciuto a me, non sarai deluso, la sala cinematografica ti aspetta, alla tv di casa questo film perderà quasi tutta la sua forza. - Ismaele







C’era una volta a… Hollywood all’apparenza, o almeno per lunga parte della sua durata, pare un film minore, poco ispirato, a tratti anche impersonale nella filmografia del regista de Le iene. Un film seduto, appiattito, col fiato un po’ corto ma tirato per le lunghe. La macchina da presa non è atletica e acrobatica come nei film precedenti, né il montaggio le viene in aiuto. La colonna sonora, però, quella sì, è pienamente tarantiniana, anzi forse è una delle più belle e composite dal Duemila a oggi. Ma come dicevo, è tutta un’impressione, tutta un’apparenza. Perché Tarantino non è ancora un bollito. E ce lo dimostra con un finale in cui “pare” ritrovare se stesso. In realtà, come ho già detto, non si è mai perso. Ma in C’era una volta a… Hollywood lancia un grosso guanto di sfida al suo cinema, allo spettatore e in primis a se stesso. Il finale è godurioso al limite del granguignolesco, sornione e seducente, di un’iper-reale che si fa ir-reale. Dopo averci mostrato il suo animo più realistico (a questi livelli d’integralismo narrativo ci è arrivato solo Jackie Brown), Tarantino libera i propri “freni inibitori” e a briglia sciolta dà sfogo al Cinema in tutta la sua componente più divertita, smodata e immaginifica, alterando e vendicando la realtà dei fatti intorno a quel tragico 8 agosto 1969 in cui Sharon Tate fu massacrata. Nel cinema di Tarantino, ancora una volta il Cinema vince sulla Realtà. E questo è semplicemente meraviglioso, poiché il Cinema veste e sposa il massimo della sua missione, ovvero rendere reale ciò che non è mai avvenuto. Quella realtà che scorre lenta e senza colpi di scena, con tutti i suoi tempi morti, come dimostrano le prime due ore di film.
Tarantino riesce quindi nel far convivere e combaciare gli opposti, mettendo alla prova la resistenza dello spettatore per poi gratificarlo con un finale (che a molti sembrerà stonato!) che ripaga ampiamente le sensazioni di scontento innegabilmente provate durante la visione...

Tarantino aveva già usato l'ucronia in Bastardi senza Gloria. Quel rivoltare la Storia era operazione a metà tra il divertente, la vendetta e il gioco.
Stavolta quella che è stata cambiata è una storia molto più piccola e personale, solo quella di 4 uomini.
E, anche se sembra un paradosso - viste le piccole proporzioni della vicenda Tate rispetto alla morte di Hitler - questa scelta è molto molto più delicata, eticamente discutibile e, concedetemelo, profonda.
Io sono molto combattuto.
Al cinema mi sono emozionato, ho vissuto quel finale come un commovente omaggio alla Vita e al Cinema, come un atto d'amore di Tarantino alla figura della Tate, come a un delicatissimo omaggio.
E, al contempo, come un nuovo sberleffo al Male, una presa in giro (come fu per Hitler) di un manipolo di hippie fulminati di testa.
Sì, a fine visione credevo (e forse credo ancora) che questo sia un finale che ricorderò per sempre.
Ma ci sono due problemi.
Il primo è che no, non è andata così, e il Male quella notte vinse su tutto e tutti. Possiamo sbeffeggiarlo ma la realtà è un'altra, vinsero loro.
Però non ci sono vie di mezzo, se uno ha apprezzato questo atto d'amore deve anche accettare il revisionismo immaginario di Quentin (del resto il titolo del film è molto favolistico).
Il problema principale è un altro.
Il problema è che il Tarantino cazzone che conoscevamo, quello che per quasi tutto il film si è nascosto, è forse arrivato nel momento più sbagliato e nel modo più sbagliato.
Perché non puoi fare l'adulto per tutto il film e poi il ragazzino mai cresciuto in un punto delicato come quello. Hai fatto una scelta, forse una grandissima scelta (oh, io mi sono commosso nel vedere la Tate viva, questa realtà alternativa), ma per una buona volta dovevi contenerti, saper gestire tutto, non rendere barzelletta un fatto che, ahimè, è stata una immane tragedia.
E sì, la scena è spettacolare, divertente, esagerata ma non ce n'era bisogno, il tuo omaggio alla vita aveva bisogno di un tatto diverso.
Raramente ho amato e odiato allo stesso tempo un finale come successo con questo.
Ma Quentin è questo, un essere vivente di puro amore, uno che non crescerà mai, un bambino eterno.
Lo si ama per questo ma, a volte, essere adulti è indispensabile
da qui


In risonanza con Django Unchained e Bastardi senza gloria, che offrivano un'alternativa alla Storia facendo un falò dei gerarchi nazisti e dei bianchi schiavisti dell'America alla vigilia della Guerra Civile, C'era una volta...a Hollywood segue lo schema appropriandosi della storia del cinema, di una storia del cinema. La vendetta, sempre. Sempre più catartica, sempre più selvaggia, sempre più appassionante e sadica sul piano della rappresentazione. A compierla è un altro irresistibile tandem, due naufraghi della sottocultura hollywoodiana, un attore di serie B e la sua controfigura, che sembrano sognare ciascuno la vita dell'altro mentre le rispettive carriere colano a picco sotto il peso dei fallimenti e delle frustrazioni. Ma la vendetta questa volta non è quella dei personaggi, inconsapevoli 'dei fatti reali', ma è quella di un autore romantico che crede nell'immenso potere del cinema, che crede che tutto sia ancora possibile, come se la finzione potesse deflagrare la realtà.

Agli spettatori Tarantino offre un'esperienza differente, imbarcandoli nella sua nostalgia e nella deambulazione urbana piuttosto che costruire daccapo intrighi esplosivi. Per la prima volta rinuncia alla cavalleria, evocando con riguardo e pudore il soggetto che gli sta più a cuore: il suo amore per il cinema. C'era una volta...a Hollywood è un film intimo e contemplativo, lisergico e (incredibilmente) lineare su un'età dimenticata, perduta, sul cinema della sua infanzia, quello che lo ha innamorato perdutamente mentre il colore diventava la norma e Hollywood perdeva la sua innocenza sotto i colpi di coltello di Charles Manson e dei suoi adepti…


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