mercoledì 25 aprile 2018

The Square – Ruben Östlund

film luminoso e geometrico, poi si entra in una storia di spionaggio e investigazione, tutto con mezzi propri.
il mondo alto e il mondo basso non sono così separati come sembra.
come in Happy end, e in Niente da nascondere, entrambi di Michael Heneke, il rimosso e il nascosto si prendono la rivincita.
qualche conto bisogna farlo, fermarsi a pensare e ripensare alle cose come sono, e non come vorremmo che fossero.
alcune scene sono straordinarie, altre solo molto belle, il risultato è un film da non perdere.
buona visione - Ismaele





The Square ci interroga su tante tematiche differenti. I fondamenti dell’arte contemporanea e il suo significato, le sue sfaccettature grottesche – il ragazzo delle pulizie che “spazza” una parte di un’opera d’arte – e il suo statuto elitario – la società bene che viene alla presentazione e si lancia sul buffet, la festa alto borghese nelle stanze vuote del Palazzo Reale. Il confine labile tra uomo e animale – la performance di Oleg, il sesso senza sentimento tra Anne e Christian, la scimmia che si trucca nell’appartamento – e soprattutto il contrasto tra la realtà dorata del mondo benestante e quella sporca e compromessa della povertà, con i mendicanti presi a simbolo di un innegabile rifiuto sociale. Per quanto la società promuova certi valori, gli stessi valori che irrisi nel video della campagna promozionale provocano le dimissioni del protagonista, nei fatti questi vengono quotidianamente negati, respinti come il bambino che cerca soltanto giustizia e trova invece un muro, una barriera mentale e fisica da parte di Christian, che finisce per buttarlo (pur non volontariamente) di sotto dalle scale. Quei bambini, che nella loro innocenza sanno tracciare confini chiari, sono il futuro frustrato di questa parte della società che spinge per essere riconosciuta, inutilmente e senza reale possibilità di riscatto. L’unica vera punizione sono le loro parole e il loro sguardo giudicante, gli occhi delle proprie figlie che Christian sente puntati addosso nel finale, mentre si allontana in auto dal palazzo dove abitava la famiglia di quel bambino ingiustamente respinto che se n’è andato lasciando dietro di sé nient’altro che una scia d’acqua, e forse di sangue.

The Square è un film apparentemente sconclusionato ma per niente superficiale che ci parla, tenendo assieme provocazione e intrattenimento, delle responsabilità individuali e civili che possono essere implicate dagli spazi pubblici. L’opera di Östlund sa far vedere come il risentimento, l’insofferenza del prossimo (in quanto incapacità di gestire tutto ciò che ci vive accanto ma è altro) agiscano spesso come tic incontrollabili, come condizioni non più reattive, ma sempre più autonome e capaci di esistere a parte: non in tensione con il mondo, ma come mondi paralleli. Mentre lo spazio simbolico della piazza si è trasformato, di conseguenza, nel campo d’azione e di espressione di tante singole paranoie. Un po’ come quei mucchi di cenere allineati in una sala espositiva del Museo e sormontati dal titolo “You Have Nothing”.

A impressionare nel film è infatti una diffusa indifferenza nei confronti dei più deboli (al limite della ferocia), segno, secondo lo stesso regista, di una perversa diffidenza e insicurezza che, soprattutto a causa della crisi economica mondiale, si fanno sempre più strada persino in un paese avanzato come la Svezia. Una disumanità che Östlund evoca abilmente anche attraverso alcune opere del museo, come unʼinstallazione che consiste in una sala scura, sul fondo della quale si impone un grande schermo acceso in cui un uomo, con sguardo animalesco, lancia minacciose occhiate in direzione dei visitatori: una visione che rimanda, appunto, allʼ“umana bestialità” che caratterizza numerose sequenze della pellicola.
Il film perde invece forza quando il regista  si sofferma eccessivamente sulle inaspettate disavventure del protagonista al di fuori del museo, tralasciando quasi del tutto lo stimolante dialogo fra le opere in esposizione e lʼemergere degli istinti meno nobili, compresi quelli di Christian.
Nonostante ciò, The Square lascia comunque il segno per la feroce leggerezza con cui affronta il lato oscuro del business di certa arte contemporanea (che, poi, come abbiamo visto, proprio arte sempre non è) e della fauna umana che le gravita attorno.
The Square non si può dire un film equilibrato: sfora nella lunghezza, sembra aprire sentieri e argomenti che non porta in fondo, però lo squilibrio è anche l'oggetto del discorso. Come l'arte che diviene arte anche in virtù della sua collocazione (si pensi al ready-made, l'oggetto comune traslato rispetto al suo contesto funzionale), così la vicenda di Christian è fatta di interruzioni imprevedibili del fuori contesto dentro il perimetro (che credeva chiuso e quadrato) della sua vita. Tic da sindrome di Tourette, che portano dentro l'inquadratura cinematografica di un film volutamente patinato, e di un mondo che fa della bellezza il suo credo, le immagini di mendicanti e povera gente, e mandano in cortocircuito eccesso e difetto, idealismo e cinismo, polpa e scheletro del film stesso. 
Come l'oggetto dell'arte contemporanea, The Square è anche un film aperto all'interpretazione che il pubblico vorrà dare di lui, e questa, forse, è la sua caratteristica più preziosa.

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