lunedì 9 aprile 2018

Il giovane Karl Marx - Raoul Peck

uno pensa che noia, un film biografia su Marx, è cosa vecchia, bisogna essere moderni, beh, se pensa così, uno degli Infelici Molti, è meglio che se ne stia a casa.
ma se sei, o vorresti essere, uno dei Felici Pochi, non perderti questo film.
gli anni giovanili di Marx, il suo incontro con Engels, la polizia sempre dietro l'angolo, gli incontri, le discussioni, i congressi, tenuti in birrerie, le compagne di vita di quei due (affianco, o dietro un grande uomo c'è una grande donna, vero come non mai), le notti passate a discutere e a scrivere, le fughe, gli esilii, quei tempi in cui le rivoluzioni erano cose vere, rischiose, pericolose, dopo che i filosofi avevano interpretato il mondo, era ora di cambiarlo (non erano un like su facebook o un parteciperò all'evento), tutto questo si vede e si respira nel film.
il regista è Raoul Peck (è un grandissimo, cercate la biografia e filmografia, per avere un'idea), uno che fa film davvero importanti e belli, come Lumumba e I'm not your negro, su James Baldwin.
alla fine del film Marx dice che vorrebbe scrivere qualcosa d'importante (Il capitale), ormai aveva quasi trent'anni.
in sala l'età media si avvicinava ai 60 anni.
voglio pensare che altri come Marx ed Engels stiano crescendo, in giro per il mondo, in India, in Val di Susa, fra i migranti, in Chiapas, o dove ancora non sappiamo, con un foglio di via in tasca.
il film è, per ora, in pochi cinema, ma ha il terzo migliore incasso per sala del fine settimana, buon segno.
buona visione - Ismaele







Quella raccontata ne Il Giovane Karl Marx è un'epoca in cui fare politica non è una carriera, ma un percorso fatto di slancio e passione, ricerca di risposte a domande urgenti, elaborazione di ideali necessari. E chi ci si lancia anima e corpo, rischiando la vita e la galera, la povertà o la solitudine, sono ragazzi di poco più di vent'anni (quando La Lega dei Giusti diventa, grazie all'apporto di Marx ed Engels, la Lega dei Comunisti, Marx ha solo 29 anni). È una politica che è davvero discorso della polis, della comunità, e Peck ce lo dice mettendo in scena ogni volta che può filosofi e lavoratori schiacciati l'uno contro l'altro in sale piene di fumo e di sudore, tutti rigorosamente in piedi, a fare la conta delle mani per prendere le decisioni. Una politica in cui a contare sono sì le idee - solo le più forti si propagano per davvero - ma anche le persone che di quelle idee sanno farsi ambasciatrici, portandole fisicamente oltre le frontiere, tessendo reti, scambiando libri, stampando clandestinamente pubblicazioni proibite.

Pedagogico il giusto, certo non rivoluzionario, Il Giovane Karl Marx evita la trappola del film-bignami raccontando, con relativa leggerezza, un'epoca in cui i lavoratori di tutto il mondo si univano senza per forza condividersi. E non erano i like ad accendere le rivoluzioni, ma uomini in carne e ossa. Con i loro appetiti e le loro passioni.

… Il fotografo e giornalista Peck organizza un biopic avvincente, che prende l’abbrivio dal massacro impunito degli ultimi tra gli ultimi per la sola colpa di aver raccolto – e quindi “rubato”, nell’accezione giuridica sempre dalla parte del padronato – rami secchi caduti dagli alberi e arriva fino agli albori di una rivoluzione destinata a fallire ma germe per future infinite rivoluzioni, perché come sentenzia il film sulle scritte finale, in riferimento a Il Capitale, si tratta di “un’opera aperta, incommensurabile, incompleta perché l’oggetto stesso della sua critica è in continuo movimento. Lì, su quel finale che lascia eternamente giovani Karl Marx e Friedrich Engels, Peck si permette una fuga in avanti nel tempo, donando alle trame sonore di Bob Dylan e di Like a Rolling Stone il resoconto di un secolo e mezzo di lotte contro l’oppressione del capitalismo, e di disfacimenti della società. Per ricordare che nulla muore, e finché lo stato delle cose sarà quello esistente non si potrà fare a meno della filosofia marxiana. Lo spettro si aggira ancora per l’Europa, e per il mondo. Anche se si fa di tutto per non vederlo.

…io a questo filmone di due ore mi sono appassionato trovandolo a tratti meraviglioso e perfino, si potrà dire a proposito di Marx & Engels?, incantevole. Preferisco i riformisti, ma diciamola tutta, al cinema i rivoluzionari vengono meglio e appassionano di più. Son come i titanici e magari negativi caratteri shakespeariani, stai incatenato a quelli, mica agli smorti esempi di virtù. Nonostante che a Berlino i commenti non siano stati entusiasti (“un polpettone!”), in my opinion questo è un bellissimo film, pur nelle sue apparenze di cinema d’altri tempi, iperclassico, senza azzardi formali e strutturali. Nelle sue apparenze. Perché il regista Raoul Peck (un signore che immagino simpatizzante di Marx e delle sue idee, già ministro della cultura nella Haiti post Baby Doc, sfiora ma evita l’effetti antico sceneggiato storico della Rai era Bernabei, cose come I Giacobini, grazie a una limpida, precissima, per niente pedante nonostante tutte le spieghe fornite allo spettatore, sceneggiatura di Pascale Bonitzer, magnifico scrittore di cinema (e anche regista). E grazie al suo tocco (di Raoul Peck) di metteur en scène. Peck compone il suo affresco come una rappresentazione in un teatro di famiglia, con scenografie e costumi esatti ma non pomposi, abolendo i toni stentorei e raccogliendo spesso i suoi personaggi dai nomi altisonanti in ambienti domestici, intimi, assai privati…

Non è facile raccontare in poco meno di due ore Karl Marx. Quindi bisogna riconoscere a Raoul Peck di aver fatto la scelta giusta nel focalizzare la propria attenzione su un periodo così breve, eppur fondamentale, per la vita del filosofo tedesco e per la Storia. Soprattutto a Peck bisogna riconoscere il merito di aver affrontato un personaggio considerato quasi un tabù dalla cinematografia. Sono pochissimi e semi-sconosciuti i tentativi di portare sul grande schermo Marx, quasi ci fosse un timore reverenziale nell’affrontarlo o si considerasse la sua vita poco appassionante e impossibile da rendere al cinema. Invece Il giovane Karl Marx è un film godibile, anche se girato in maniera molto tradizionale. La sceneggiatura, fedele alle biografie dei personaggi, riesce a rendere l’idea delle profonde diseguaglianze sociali dell’epoca, oltre a fornire un’idea chiara dell’evoluzione del pensiero dei due teorici tedeschi…

…Peck non si concede alibi né scorciatoie, lungo un processo di preparazione complesso e la cui genesi è stata ripercorsa e commentata dallo stesso regista con attenzione nel dossier che in Francia ha accompagnato la distribuzione del film. La drammaturgia di Peck impasta fatti e aneddoti storici con straordinario rigore. Ammirevole è la capacità con cui riesce a sintetizzare in poche situazioni chiave un dibattito teorico condotto per anni con asprezza e intransigenza da Marx ed Engels, contro le altre figure che monopolizzavano il dibattito critico in Germania e il movimento operaio in Inghilterra e in Francia. Proprio dal contraddittorio e dallo scambio fruttuoso tra i due, rigenerato dalla vicinanza di Jenny e della compagna irlandese di Engels, Mary Burns (Hannah Steele), prende forma l’idea, inizialmente vista con sospetto da Marx, di un testo divulgativo da mettere a disposizione degli operai, quello che sarebbe stato appunto il Manifesto. Ma questa straordinaria avventura dello spirito viene ripercorsa con una altrettanto straordinaria sensibilità materialistica nei confronti del dato fenomenologico, le concrete condizioni di esistenza nell’Europa degli anni Quaranta dell’Ottocento: tutto, dall’abbigliamento agli arredi, dalle posture ai dialoghi, dai pasti all’uso della luce, è intriso di un grado di realismo documentale prodigioso, che finisce per contagiare gli stessi interpreti, diretti con notevole sicurezza, a partire da una retorica filmica moderna, asciutta ed essenziale…

Ne Il Giovane Karl Marx le idee hanno un’origine intrinsecamente sociale. Marx, infatti, non è il genio isolato, che elabora le sue complesse teorie alla luce di una candela in uno studio buio: scrive, discute, legge, alimentando e alimentandosi del contesto in cui è inserito. Peck, sceneggiatore oltre che regista, getta una luce sull’uomo dietro l’idea, e sull’origine dell’idea stessa, sottolineando brillantemente il condizionamento subito da Marx da parte di altri pensatori dell’epoca ed esplicitando chiaramente la coralità della nascita del pensiero, presentando la teoria marxista come il centro di una ragnatela di idee, influssi e studi. Dalla filosofia hegeliana agli economisti ottocenteschi, dagli studi sociologici di Engels alle discussioni pubbliche dei socialisti francesi. Un prodotto ammirabile sia dai più incalliti marxisti che dai loro acerrimi nemici. Sullo sfondo dei simboli della fabbrica, di cui il film è intessuto, nella stanza buia di una povera casa ottocentesca, lo spettatore assiste alla stesura dell’incipit di uno dei testi più temuti e amati della storia politica dall’ottocento ai giorni nostri, ma questo film non è adatto per chi cerca il dogma, e l’esaltazione di questo stesso, quanto piuttosto per chi è ammaliato dall’idea.

Le jeune Karl Marx è un film filosofico e letterario, perché mette in primo piano la produzione teorica dei due padri fondatori del comunismo. Altri sono i testi non semplicemente citati, ma la cui stesura diventa parte integrante del plot: per esempio Le tesi su Feuerbach (scritto nel 1845), che Marx e Engels avrebbero buttato giù per sancire la loro nuova amicizia al termine di una notte di eccessi alcolici; o Miseria della filosofia (1947), cui Jenny Marx avrebbe dato un titolo molto più ironico e sibillino. Proprio la scelta dello scritto iniziale e di quello finale, tuttavia, mostrano che la strategia di Peck non è semplicemente storica, ma piuttosto sistematica. Il primo riferimento pone l’accento sulla tematica della cosiddetta accumulazione primitiva, formulata ancora acerbamente negli anni ’40, facendone una chiave di lettura per l’intero pensiero marxiano. Peck sembra qui raccogliere la tesi di quei critici marxisti, come Rosa Luxembourg, o più recentemente Silvia Federici o David Harvey, secondo i quali la violenta espropriazione da parte del capitale delle risorse condivise collettivamente, come i rami caduti dagli alberi, non stia semplicemente all’origine del capitalismo, ma ne rappresenti la condizione fondamentale e costante di riproduzione. Per quanto riguarda la divulgazione delle idee portanti del comunismo, affidata alle pagine del Manifesto più famoso della storia, è evidente che il regista vuole stabilire una continuità tra il momento storico delle sue origini europee e le lotte più recenti che possono dirsi, in qualche modo, ispirate da questa tradizione.
 La prova più evidente di una tale continuità la si trova nei titoli di coda, in cui le note di Bob Dylan accompagnano una carrellata gioiosa di scene che ritraggono alcuni degli eventi o personaggi simbolo dell’emancipazione socio-politica nel ventesimo secolo: Che Guevara, il Muro di Berlino, Nelson Mandela, #Occupy. Ma non è tutto. Nel corso del film, altri temi vengono toccati il cui potenziale riflessivo non ha perso affatto di attualità. Due in particolare mi pare importante rilevare: la natura agonistica del movimento, o del partito, e il ruolo della teoria in relazione alla prassi rivoluzionaria.
Il primo punto è probabilmente, se letto in chiave di attualità, il più problematico. Le scene centrali del film sono dedicate alla sofferta mossa politica di Marx e Engels di trasformare la Lega dei Giusti in una decisamente più combattiva, la Lega dei Comunisti. Nel suo discorso durante il congresso di Londra nel giugno 1847, Engels espone gli argomenti in favore della nuova Lega criticando soprattutto il punto di vista astrattamente morale e l’ideologia orientata alla conciliazione universale, all’amore e alla fratellanza che avevano caratterizzato il movimento fino a quel momento. Alla luce di quello che oggi sappiamo sui cosiddetti “socialismi reali”, queste critiche possono apparire problematiche se interpretate semplicemente come rifiuto della morale tout court e giustificazione della violenza. Ma Peck sembra qui piuttosto presentare i propositi di Engels e Marx come il tentativo di fondare la prassi trasformatrice non su astratti punti di vista morali, sull’ideale cristiano della fratellanza o dell’agape, o sulla volontà di raggiungere un’intesa con l’umanità intera. I principi troppo generali e gli ideali non sono infatti in grado di afferrare le condizioni materiali esistenti; le emozioni positive generalizzate, d’altra parte, non possono che tradire un’inefficace ingenuità di fronte alle brutture, nefandezze e sofferenze dell’ordine sociale dato. La conoscenza, innanzitutto empirica, della complessità in cui ci si trova ad agire, l’attenzione strategica per le conseguenze possibili delle azioni, la capacità di sopportare dissenso e incomprensione, la comprensione delle differenze costitutive di un “soggetto” rivoluzionario in trasformazione: queste le caratteristiche necessarie, secondo Peck, per una prassi socio-politica che potremmo anche chiamare, con Dewey, un “comunismo dell’intelligenza.”…

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