venerdì 10 febbraio 2017

Un Re Allo Sbando (King of the Belgians, 2016) - Peter Bronsen e Jessica Woodworth

ho già visto qualche film di Peter Bronsen e Jessica Woodworth, come KhadakAltiplano e La quinta stagione, nessuno dei quali è uguale al precedente, sempre diversi e sempre originali.
Un Re Allo Sbando (traduzione italiana non proprio letterale, era meglio l'originale) è sempre originale, questo sì, ma sembra perdersi quello stile documentaristico precedente.
alla fine del film non sai bene cosa pensare, non è un documentario, non è un film comico, e neanche tragico, quel re (interpretato da un bravissimo Peter Van den Begin) sembra un re da operetta, uscito da un film dei fratelli Marx.
forse è solo un film di un re che diventa uomo, lascia il protocollo e vive una forma di libertà, i suoi compagni di viaggio sono solo dei dipendenti, non diventano liberi, prigionieri di schemi precedenti, solo Nicolas diventa un altro, di sicuro migliore.
non è un film che convince subito, il giorno dopo si apprezza di più - Ismaele




Ciò che impedisce a Un Re Allo Sbando di decollare è sempre l’impressione di essere più vicini all’animazione (ma senza il suo ritmo indiavolato) che alla commedia, il totale disinteresse per la coerenza dei personaggi, presentati come giustamente ingessati dal protocollo e poi pronti a dimenticare tutto troppo in fretta. Anche l’idea di scegliere un formato da found footage, usando solo ciò che in teoria il documentarista sta girando è usato al minimo delle potenzialità, mancando di continuo il punto e l’umorismo delle situazioni che mette in piedi. Sorvolando sugli assurdi turchi che inseguono il re come se dessero la caccia ad un criminale, l’esigenza di mettere in moto un gruppetto disperato e braccato passa sopra qualsiasi costruzione raffinata e rende il film una sequenza di gag slegate, a tratti nemmeno sufficientemente divertenti.

"Un re allo sbando", infatti, non presenta traccia del cinismo apocalittico, delle atmosfere livide e grottesche, dello sperimentalismo stilistico che aveva infiammato la visione del film precedente. Al contrario, questo road movie lieve e simpaticamente surreale si propone come parabola spensieratamente ottimista delle diverse anime che contraddistinguono l'Europa di oggi e le sue contraddizioni, divisioni, differenze. Ma proprio tra una folkloristica cantante bulgara, con tanto di costume caratteristico, e un bracciante serbo propenso agli scatti d'ira, dal grilletto e dal bicchiere facile, risiede il più grave e paradossale difetto del film: cavalcare, con intento comico, quegli stessi stereotipi e cliché che si vorrebbero stigmatizzare e demistificare. Troppo spesso e troppo facilmente, la satira politica cede il passo alla battuta ridanciana.

Gli autori sembrano infatti andare in cerca di una consacrazione commerciale, del loro primo grande successo di pubblico, smorzando la (potenziale) carica eversiva della pellicola attraverso una serie di gag irriverentemente scanzonate, forse, ma mai graffianti, blasfeme o corrosive. Il valore iconoclasta de "La quinta stagione" sembra così irrimediabilmente stemperato in una parabola narrativa risaputa e francamente poco appassionante, in cui il potente può riscoprire la propria umanità solo a contatto con gli ultimi, spogliandosi del proprio ruolo e delle proprie maschere.

Anche sul fronte stilistico, sorprendentemente, Brosens e Woodworth sembrano rinunciare a qualsiasi estro avanguardistico e arditezza linguistica, finendo così per tradire una certa medietà di sguardo che confina pericolosamente con la sciatteria e la pigrizia intellettuale. Conduttore e voce narrante di "Un re allo sbando", infatti, è l'enigmatico reporter Duncan Lloyd, che con la sua telecamera a spalla registra ogni tappa del viaggio, catturando i momenti più intimi e le immagini più spontanee. Eppure i registi sembrano alternare indifferentemente mockumentary e messinscena tradizionale, senza approfittare delle potenzialità metalinguistiche di questo espediente narrativo né riflettere sul ruolo etico del documentarista in quanto, contemporaneamente, testimone e agente della storia. Un'occasione mancata, che avrebbe regalato una nuova dignità al lavoro di Brosens e Woodworth, a loro volta apprezzati documentaristi.
Invece, "Un re allo sbando" si accontenta di rimanere un'operina elegante e garbata, sì, ma sconfortantemente inerme e vuota. Una piccola delusione nella filmografia cangiante di due autori da cui sarebbe lecito aspettarsi di più.

La recitazione essenziale di Van den Begin ha infine reso credibile ed efficace la forte carica interiore che doveva appartenere a un re silenzioso e solitario come Nicolas. 
Il Re dei Belgi sembra scoprire un mondo fino a quel momento sconosciuto, che gli insegna ad assaporare il piacere del contatto umano senza pregiudizi, con una saggezza che appartiene più a un sacerdote che a un re. Ogni nuova avventura sembra arricchire il suo viaggio verso una nuova coscienza di sé, e quando tenta di raggiungere l’Italia per mare, mentre tutti sembrano stremati, lui con orgoglio mantiene il comando del barchino nelle acque blu del Mediterraneo, consapevole finalmente del valore della sua identità e della libertà. 
È attraverso la parabola del Re che si rivela l’intenzione allegorica dei registi, che va oltre la commedia, e diventa quella di una riflessione su un’Europa in contraddizione con le proprie ambizioni, incapace di parlare al proprio popolo, che si domanda e attende risposte sul concetto di destino e di libertà, con un bisogno urgente di tornare alla riflessione e alla filosofia.
Con los rostros de los actores en permanente presencia, el reflejo de la sorpresa, del hecho inesperado, de la situación imposible de prever, se manifiesta de manera realista y comprensible. La absoluta soledad de ese rey taciturno, desgarbado, solemnemente sobrepasado por los acontecimientos, va relajando su postura cuanto más humano y normal se convierte su comportamiento. El grupo ha de vivir del disimulo para conseguir atravesar el continente, algo más complicado de lo que la propaganda oficial nos vende, y de paso, evitar ser descubiertos y añadir un problema diplomático con todos los países afectados por esta huida hacia, realmente, ninguna parte. En ese camino, Nicolás III asume la innecesaridad de su figura, cuando semanas después consiga llegar a su trono, el país habrá deambulado por el rumbo marcado por las circunstancias, sin que nadie esperara la palabra de una institución medieval para decidir dar un paso u otro. Cuando el rey interroga a todos sus colaboradores sobre si creen en la monarquía y en su necesidad, ninguno de ellos secunda la propuesta, con mayor o menor honradez, harán ver a su rey que se trata de trabajo, no de convencimiento sobre la necesidad de su permanencia como institución incapaz de representar nada que importe a los ciudadanos realmente. El hieratismo, los silencios, los golpes cómicos, la banda sonora llena de referencias clásicas de nuestro patrimonio musical común, no consigue evitar trasladar ese poso de amargura hacia lo bueno que se acaba, y no precisamente la monarquía, sino esa vieja idea de una Europa unida, libre de fronteras y de restricciones, una Europa de ciudadanos y no de mercaderes, una Europa que nos ha sido secuestrada y devastada por los mismos que han continuado machacando nuestros derechos, nuestras leyes, nuestro futuro. Una comedia notable que no busca el lado amable sino el retrato feroz de un continente machacado y hundido. Una sonrisa que se nos queda helada en la boca cuando pensamos en la realidad que existe detrás del gag, que Brossens y Woodworth no ocultan gracias a su ingenio, a su guion estupendo y a la labor formidable de su camarógrafo. 
…per quanto guardi dalle parti di Omero e dell’Odissea, Un re allo sbando non riesce a elevarsi al di sopra della barzelletta. Tra uno sguardo al Kusturica meno ispirato e prevedibile e un occhio alla battuta salace – sulla carta –, il film finisce per accumulare per lo più una lunga serie di luoghi comuni, dalla rigidità ai limiti dell’autoritarismo dei turchi al serbo metà criminale metà compagno di bevute.
Potrebbe ergersi a viaggio a ritroso nell’Europa mai più unita, Un re allo sbando, ma Brosens e Woodworth non hanno alcuna intenzione di prendersi sul serio, e sembrano più che altro interessati al già citato romanzo di formazione. Nicola III è un uomo buono, amico del popolo, che soffre le ingerenze di un’istituzione che lo vorrebbe standardizzare. Tutti gli uomini che lavorano per lui fingono di credere in qualcosa – nello specifico il Belgio e la monarchia – solo per potersi adeguare a questo standard. Costruito visivamente come un finto documentario, con tanto di voce narrante del fantomatico regista inglese, Un re allo sbando conferma l’impressione lasciata anche dai precedenti lavori di Brosens e Woodworth, quella di un cinema pulito, mai compiutamente sincero, imbellettato al meglio per nascondere la fragilità del proprio racconto; senza le pretese intellettuali del precedente La quinta stagione, per fortuna, ma forse ancor per questo più evidente nella sua vacuità. Si ride a sprazzi, e senza la necessaria continuità per poter reggere senza fatica il ritmo, e si partecipa ancor meno alle disavventure di questi personaggi della politica, che devono riscoprire il contatto con la terra per poter tornare a esercitare il loro ruolo. Resta solo lo scherzo, adornato dalla colonna sonora che mette in fila Ravel, Beethoven, Grieg, Vivaldi e Bach. Ma è davvero innocuo, e finisce ben presto per stremare lo spettatore.

Un re allo sbando ha il pregio di rappresentare il grottesco nella meccanica di potere. Un re senza regno, incapace di scrivere un discorso riappacificatorio, allampanato e impotente di fronte agli eventi è la perfetta espressione di un sovrano “ubuesco”, ridicolo e apparentemente ignobile. Eppure, proprio la sua volontaria natura grottesca finisce col riattivare la sua posizione istituzionale e moltiplicare gli effetti di potere. Nicolas III è sì un re, ma un re della derisione che agisce indossando una maschera clownesca e mostra come l’indegnità del potere non finisca con l’annullarne gli effetti, bensì con l’accentuarli.

Per questo Un re allo sbando è un film importante. In un mondo dove il potere politico si prende troppo sul serio, Brosens e Woodworth mostrano la potenza del ridicolo poiché, dopotutto, la più grande instabilità è sempre la conseguenza di qualcosa un poco fuori asse.

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