mercoledì 30 luglio 2014

El violín - Francisco Vargas

rimani catturato da Plutarco, il vecchio campesino povero che suona il violino.
non può lavorare (gli manca una mano), ha un figlio e un nipotino che lo accompagnano per guadagnare qualche peso nei locali della cittadina vicina.
vivono in una delle tante parti del Messico dove i militari cercano di distruggere la resistenza dei poveri contadini, che si difendono come possono.
il violino è un protagonista del film, Plutarco ha una forza di volontà fortissima ed è disposto a tutto, per difendere la famiglia e il villaggio.
in più si crea un rapporto strano e difficile con il capo dei militari.
Plutarco (Ángel Tavira) ha girato solo questo film ed è stato premiato a Cannes, dopo un paio d'anni è morto, Francisco Vargas, il regista, non ha fatto altri film dopo questo.
non c'è giustizia a questo mondo, almeno questo piccolo capolavoro sono riusciti a girarlo.
da non perdere - Ismaele 







Storia di un vecchio, di un violino e di una battaglia contro l'oppressione, El violín è un film di puro racconto, l'esordio nel lungometraggio di un regista che desidera intrattenere con una vicenda esemplare, destando l'interesse del pubblico senza cedimento alcuno. Nessun vezzo, nessuna teoria, soltanto la voglia di dare la massima credibilità ad una situazione tipo in cui alcuni uomini ne affliggono degli altri. Non per niente, Francisco Vargas preferisce il bianco e nero al colore, operando una scelta stilistica capace di camuffare nel miglior modo possibile il tempo in cui ha luogo l'azione. Che sia il Messico oppure un qualsiasi altro angolo dell'America del Sud, il nodo centrale rimane quello della necessità di mantenere la propria libertà, valore inalienabile da trasmettere dal più grande al più piccolo come fosse l'unica favola da narrare davanti all'ardere di un fuoco…

Il violino del titolo è la chiave di accesso al territorio sgomberato dall’esercito in cui i resistenti hanno nascosto le loro munizioni. Realismo sociale, una regia impeccabile, con una fotografia in bianco e nero che sottolinea il realismo della storia raccontata, interpretazioni da parte di attori non professionisti di rara efficacia, una spanna sopra tutte quella di Don Ángel Tavira, qui al suo primo ruolo dopo essere stato oggetto del documentario di Vargas del 2004 Tierra caliente… Se mueren los que la mueven, fanno di El violin un film di grande bellezza ed efficacia, grazie anche a un ritmo dettato dalla sceneggiatura che non conosce alcuna forzatura. Volutamente privo di riferimenti temporali, il film narra una storia comunque mai finita.
Semplicemente bellissimo…

…cuando uno se asoma a “El violín”, tiene la sensación de estar haciéndolo a un pedazo de verdad, con la historia de tres personajes (el abuelo, el hijo, el nieto) que se buscan la vida tocando música por los pueblos cercanos a una selva indeterminada (podría ser Chiapas, pero también, tristemente, otros muchos puntos diseminados por América) mientras colaboran con una guerrilla que busca plantar cara, de manera desesperada, a la violencia de un ejército que mata, asola y viola con impunidad a las comunidades indígenas.
Pero este tema, que en manos de otros directores más panfletarios apenas descendería el peldaño de la denuncia social y política sin tomar una verdadera encarnación humana, en el portentoso guión de Vargas Quevedo, en su poderoso blanco y negro y, sobre todo, en las interpretaciones –con el no profesional y anciano don Ángel Tavira al frente– cobra su verdadera identidad, su capacidad de trascender la anécdota para transformarse en una narración universal…

L’histoire pourrait se passer de nos jours dans les forêts chiapanèques du Mexique, où l’armée est encore présente face aux forces zapatistes mobilisées pour défendre les droits élémentaires d’exploitation de la terre. En effet, les soldats ont les uniformes de l’armée régulière mexicaine, les protagonistes sont hispanophones, déambulent dans une situation géographique d’Amérique centrale et le film lui-même est mexicain. Pourtant, à aucun moment il n’est fait mention de lieux, de dates ni mêmes de propos idéologiques de la part des rebelles face à leur oppresseur. On entre très vite dans une fable universelle où les protagonistes ne sont plus qu’un vieil homme seul avec son violon face à un homme massif armé, entouré d’un groupe d’hommes armés qui n’ont de comptes à rendre qu’entre eux. Si le rapport de force est dès les premiers instants totalement déséquilibré, c’est sur celui-ci que repose toute l’histoire du Violon et qu’apparaît la puissance symbolique de cette confrontation. Inutile d’attendre un beau pathos lacrymal ou encore un ange vengeur rétablissant à la toute fin un désordre dont le spectacle aurait satisfait diverses perversités spectatrices. Le ton de cette histoire est entièrement ancrée dans la fable et en possède tous les moyens d’expression…

…La película propone una lectura del presente (momento cuando Lucio sería adulto) en la que la justicia es posible sólo a través de la combinación de todas las armas tradicionales y modernas de las que se disponen: el mito, la memoria, la música popular, el discurso legal y pos-colonial, y la lucha armada. Al mismo tiempo, esta justicia depende de cierto modo de ver y escuchar en el espectador. La imagen final se puede leer como pesimista: frente el fracaso de las generaciones anteriores los ciclos de violencia se perpetuarán en Lucio. Sin embargo, creo que la imagen apunta hacia otra posible lectura, una extrañamente optimista donde el espectador es capaz de oír y reconocer la importancia de la canción reelaborada por Lucio. El violín como herramienta cultural busca definitivamente afectar los modos de ver y oír del espectador; queda en él o ella la agencia para reconocer a los campesinos como vidas que importan y hacer del espacio cultural un móvil político.

Nonostante la mano destra amputata in giovane età per via dell'esplosione di un petardo ad una festa di paese, Ángel Tavira ha imparato a suonare diversi strumenti, divenendo violinista e compositore e dandosi come scopo nella vita quello di insegnare, diffondere e salvaguardare la tradizione messicana attraverso la musica. Un anno dopo aver fatto di questo operaio delle sette note classe 1924 l'oggetto del documentario Tierra caliente... Se mueren los que la mueven, il giovane regista e sceneggiatore Francisco Vargas lo ha voluto come interprete principale di quello che (alla luce della morte, sopraggiunta nel 2008) è rimasto il suo unico film recitato, El violín, che nel 2006 gli ha permesso di vincere il premio come miglior attore a Cannes nella sezione A Certain Regard nonostante la mancanza di qualsiasi titolo specifico in fatto di recitazione…
da qui

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