giovedì 24 aprile 2014

(The) Grand Budapest Hotel - Wes Anderson

in una storia del cinema Wes Anderson dovrebbe avere un capitolo tutto per lui (come tanti, probabilmente).
fa film così a parte che solo gli altri suoi film (di Wes Anderson) possono assomigliargli.
e tanti attori, che spesso sono protagonisti con altri registi, qui fanno la fila per una parte anche piccola (George Clooney qui appare per due o tre secondi, più che un cameo è davvero un'apparizione).
nel film tutto è perfettino e folle, con una sceneggiatura pazza, tutto è gioco, slapstick, sincronismi, inverosomiglianza.
e però alla fine è una gioia per gli occhi, meno per la memoria, la storia sembra quasi un esercizio di stile.
bravissimi gli attori, il ragazzino Zero (Tony Revolori) e Gustave (Ralph Fiennes) sono i più bravi fra i bravi - Ismaele





Come il Chaplin de Il grande dittatore e il già citato Lubitsch di Vogliamo vivere Anderson vuole farci sorridere delle innumerevoli avventure a cui sottopone i suoi protagonisti. Questo però non cancella, anzi accentua, la riflessione su quelle frontiere che troppo a lungo in Europa hanno costituito punti di non ritorno per decine di migliaia di persone arrestate e fatte sparire e oggi si ripresentano con altre modalità meno tragicamente evidenti ma sempre fondamentalmente ostili. 
Questo film però vuole essere anche, fin dal suo tanto astratto quanto acutamente lieve inizio, una riflessione sull'arte del narrare. Un'arte che può permettersi di parlare della realtà profittando di quanto di meno realistico si possa escogitare. Le stanze del Grand Budapest Hotel sono innumerevoli quanti i personaggi che le abitano o vi entrano anche solo per un'inquadratura. L'instancabile e vivace fantasia di Anderson possiede la chiave di ognuna di esse.


Calligrafico. Un film di cui non sentivo il bisogno. Molto belle le scene, ma non mi basta. Del resto è quel che mi succede un po' con tutti i film di Anderson e con quelli di Burton. Non penetro nel loro mondo, ma resto freddo ed estraneo. Peccato perché alla fine mi attrae, e mi piacerebbe che mi piacesse...

Film incantevole, dunque. Un vero paradiso per cinefili che strizza l'occhio al cinema europeo degli anni '30 (da Ernst Lubitsch a Frank Capra) senza però mai scadere nella violenza e nella volgarità. Dedicato alla memoria di Stefan Zweig (scrittore austriaco perseguitato dai nazisti e morto suicida in Sudamerica) è una vera e propria gioia per gli occhi, da vedere e rivedere.

L’impatto è spettacolare, ma con il passare del tempo il film perde consistenza accontentandosi di un accumulo visivo che stupisce ma non scalda il cuore. Le caratterizzazioni sono strepitose ma senza respiro, destinate a lasciare il passo all’ebbrezza del regista bambino, divertito dalle infinite varianti di un meccanismo narrativo che torna prepotente in gioco nell’ultima sequenza quando il dettaglio sul libro che si chiude interrompendo la visione, ci ricorda l’importanza del lettore/spettatore, utilizzatore finale ed anello indispensabile al senso stesso dell'opera d'arte.

il film all'inizio prometteva altro, prometteva di sorprendermi a ogni inquadratura, prometteva di raccontarmi una storia incredibile, mi prometteva l'emozione, il coinvolgimento.
E invece ahimè, poi si stabilizza tutto, poi la storia altro che incredibile, diventa persino più che verosimile, e il coinvolgimento non c'è, o non quello della promessa.
E anche il finale arriva rapidissimo, due inquadrature e tirate su  il sipario.
Eppure avrei voluto essere immerso nella storia di un albergo così incredibile, eppure in quella struttura rosa in cima alla montagna pensavo di trovar dentro qualcosa di indimenticabile.

…Si rimane sempre stupiti con un film di Anderson. Forse questo suo modo soprannaturale di raccontare storie che non troveremmo da nessuna parte. Il suo modo di strutturare ogni passaggio e curarlo fin nel minimo dettaglio, ottenendo un disegno perfetto, eppure mai freddo. Ne viene fuori un affresco leggero e surreale. Un carosello di infinite sfumature, che rende usuale ogni cosa, anche quando non lo è.

Quizá sea “El gran hotel Budapest” la película en la que Anderson más deja fluir la ternura de sus personajes, todos ellos tan imposibles como reconocibles en su humanidad. Ralph Fiennes está simplemente colosal dibujando uno de los mayores iconos de la contención y la elegancia del cine reciente, al frente de un reparto tremebundo en el que podemos destacar, por la dificultad que requiere siquiera el hacerse notar ante tanto monstruo, el trabajo del joven Revolori. Todos corren, saltan, se desean, se persiguen y se observan en un marco excepcional, en un ambiente belicoso e inquietante pero tan dulce en su pureza que resulta imposible no dejarse llevar. Reservad vuestra habitación.

…"El gran hotel Budapest" tiene unos problemas narrativos enormes, pero Anderson los compensa con una parte visual personalísima y genial, y con toneladas y toneladas de encanto e imaginación. Habiendo visto las últimas tres películas de Anderson, yo diría que esas son las constantes del cine de Anderson. Si sus guiones estuvieran un poco mejor estructurados, manteniendo la forma tan personal con que cuenta las historias, sus películas serían obras maestras.
Lo peor de "El gran hotel Budapest" es su comienzo, ya que tarda una barbaridad en arrancar. Por algún motivo que se me escapa, Anderson utiliza la narración enmarcada: te mete una historia dentro de otra historia. En esta película primero te muestra la escultura de un escritor en la actualidad, luego ese escritor en los 80, interpretado por Tom Wilkinson, que va a recordar un viaje en los 60 al hotel del título; entonces Jude Law hace del autor en esa época, y después de demasiado tiempo, se pone a hablar con el dueño del hotel, que le va a contar la historia.

Un film trépident, dont le rythme ne faiblit jamais, mais dont encore une fois l'émotion est la grande absente, l'humour semblant mettre une telle distance entre spectateur et personnage, que l'empathie ne fonctionne que moyennement. Reste un vrai spectacle, qui vous en mettra plein les yeux... et vous donnera l'envie de revenir visiter ce lieu si particulier. On en redemande.
da qui

5 commenti:

  1. io non sono riuscito a vedere clooney...qualcuno mi dice dov'è e che fa?

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    1. appare alla fine, 2-3 secondi, in canottiera, nella sparatoria

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  2. più o meno siamo d'accordo ma io sono stato molto più cattivo di te....

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    1. La maschera del cattivo (Bertolt Brecht)

      Dalla mia parete pende un lavoro giapponese, di legno,
      maschera di un cattivo demone, laccata d'oro.
      Con senso partecipe vedo
      le vene gonfie della fronte mostrare
      quanto sia faticoso esser cattivi.

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    2. la prossima volta prendo io la maschera :)

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