martedì 15 aprile 2014

Las acacias - Pablo Giorgelli

una storia piccolina, un viaggio in camion, il camionista, la passeggera e la sua bambina.
eppure si entra dentro un mondo, due storie che si incontrano, da lontanissime sembrano avvicinarsi, entrambi sono timidissimi, paurosi, con una vita difficile alle spalle e un futuro ignoto.
trovare il coraggio di parlare, di esprimere pensieri sinceri, in un mare di silenzi e sguardi, questo è il miracolo, che sembra naturale, scontato, ma è sempre più difficile.
non perdetelo, ma attenti, potrebbe coinvolgervi - Ismaele






…Quanti film ognuno di noi ha visto in cui i silenzi rappresentavano solo una pretesa paraintellettualistica e i tempi morti erano davvero tali perché nulla interveniva a offrirne il senso? In questo caso la memoria cinefila va invece a un modello troppo spesso dimenticato o imitato maldestramente: Robert Bresson. Il grande regista affermava: " Il cinema sonoro ha inventato il silenzio." e "Ripresa. Angoscia di non lasciar sfuggire nulla di ciò che intravedo appena, di quel che forse ancora non vedo e potrò vedere soltanto più tardi". 
Las Acacias può essere sintetizzato in queste due frasi. Perché in esso il silenzio diventa uno spazio fisico che potrebbe segnare una insuperabile distanza tra due esseri umani che siedono a pochi centimetri l'uno dall'altra oppure un territorio da conquistare con pudore palmo a palmo e poco per volta. Ma anche ciò che si vede lascia percepire l'attenzione data al sentire dei due protagonisti con quell'angoscia bressoniana destinata a tramutarsi nello spettatore in una visione ulteriore in cui la piccolissima Anahi offre ai protagonisti, con il suo agire libero da ogni convenzione, un fragile ponte da attraversare per incontrarsi al di là di ogni possibile retorica.

Las acacias, miglior opera prima a Cannes 2011, è una sfida al silenzio, un incrocio di sguardi. Ascoltare il pianto di una donna che finge di dormire, il tentativo maldestro di tenere tra le braccia una bimba minuscola. Non più distante diffidente e avverso, ora disponibile al prossimo, incline all’ascolto e al dialogo. Un’opera prima in cui Pablo Giorgelli fa parlare un ambiente ristretto in assenza di dialogo coadiuvato dal mirabile linguaggio espressivo dei due protagonisti. Un corrugarsi di fronte, un sorriso aperto di denti, uno sguardo contrariato o complice fanno del film un’opera di rara sensibilità dove il non detto è più importante di tante parole.

Questo di Giorgelli è un film che lavora sulla sottrazione. L’essenziale, che come diceva Saint-Exupéry, è invisibile agli occhi, qui lascia spazio al cinema in tutta la sua vera forza. Il cinema fatto di immagini, gesti ed espressioni.
Poche parole, totalmente ininfluenti rispetto alla trama, che è esile ma alla fine arriva dritto al cuore. La storia di un burbero trasportatore di acacie (Germàn de Silva) che beve mate e di una madre (Hebe Duarte) con figlia al seguito (una meravigliosa Nayre Calle Mamani) a cui l’uomo dà un passaggio per Buenos Aires. Tutto qui.
E’ nella mancanza di parole, nell’assoluta assenza di musica, che il gesto degli attori diventa forte e pieno di significato. E’ nella costante presenza del rumore di fondo che si percepisce la presenza della vita. E’ nella carica di ogni singola immagine che il cinema diventa ancora e sempre racconto, al di là delle acacie.
Mi viene voglia di prendere lo zaino e partire, per girare l’Argentina su un camion Scania rosso.
da qui

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