venerdì 4 aprile 2014

America, America (Il ribelle dell’Anatolia) – Elia Kazan

un film epico, dentro c'è un pezzo importante della storia del mondo, quando in quasi tutta l'Europa, in condizioni di povertà e con rapporti sociali spesso di tipo feudale, splendeva il mito dell'America, terra di libertà e di prosperità.
poi non era vero, la maggior parte si continuava  a fare la vita da schiavo, ma la necessità della fuga dal vecchio mondo era troppo forte.
nel film si racconta la storia di molti milioni di migranti.
bravissimo il protagonista Sravros, e tutto il film funziona grazie alla mano sapiente di Elia Kazan.
un film epico, vedere per credere - Ismaele




QUI il film con sottotitoli in italiano



Kazan riesce a restituirci con disinvoltura magistrale un mondo arcaico e misterioso, visto quasi sempre attraverso un occhio documentaristico e accurato.
Una gran parte della pellicola possiede un forte impianto narrativo di genere documentaristico che viene alternato sapientemente alla finzione.
I due elementi narrativi sono sposati alla perfezione e non vi è attrito. 
Il viaggio avventuroso di Stavros viene raccontato esternamente come se si volesse documentare un fatto di cronaca, l’uso sistematico della macchina da presa a spalle, favorisce un linguaggio più spoglio e concreto…
…Stathis Gialleis come ogni scoperta di Kazan si dimostra la carta vincente del film. Questo James Dean greco dagli occhi tenebrosi ricalca perfettamente la figura di Stavros anche non essendo un attore professionista come il suo predecessore americano. Questo da ragione a quella massima, che un attore al cinema deve essere soprattutto personaggio e Gialleis lo è in tutto e per tutto. I gesti i modi l’andatura ma soprattutto lo sguardo mostrano l’assoluta bravura di Kazan nell’utilizzare prima di tutto il modello e poi l’attore. Gialleis non essendo da Actor’s Studio recita misuratamente diretto in questo da un accorto Kazan che sa far misurare le battute ai suoi attori. Gli altri attori sono perfetti e la scelta di casting risulta oltremodo ottima in un film composto sopratutto da volti e non da personaggi a tutto tondo…

Un film che è un capolavoro, un documento storico importante, risultato dei racconti che sono tramandati di generazione in generazione. E’ la storia delle minoranze greche e curde in Turchia alla fine del diciannovesimo secolo, e la violenta repressione che subirono per mano delle guardie del sultano. Genti desiderose di ricominciare la vita da un’altra parte del mondo, con il miraggio della lontana e opulenta America. Tutto questo si riassume nelle gesta di un ragazzo greco coraggioso e sognatore, disposto a tutto pur di riuscire nell’impresa di attraversare l’Oceano. Molte saranno le insidie che incontrerà durante il cammino, che diventerà man mano sempre più doloroso.
Elia Kazan, il regista americano discendente di un emigrante greco fuggito dalla Turchia, compie bene il suo compito di narrare la storia di quelle genti, in un film uscito nel 1963, molto coinvolgente, picaresco, brutale. Gli attori sono per la maggior parte non professionisti, reclutati tra la povera gente per ottenere un effetto reale anche nella sofferenza disegnata sui volti.
Questo titolo però, non è mai uscito in Italia e non è reperibile in commercio. Esiste una copia in pellicola di proprietà di un cineamatore e poi il vuoto. La RAI lo trasmesse in un unico passaggio nel 1980. Questo ostracismo per un’opera di così alto valore è inspiegabile, ed è per questo che un team di appassionati è riuscito a recuperare una vecchissima registrazione su nastro, restaurarla (per quanto possibile) riproponendola al pubblico. 


…I too am surprised that this monument to Americanism and monument of American cinema, seems not very widely known in America itself. It has all the values of classic American cinema - a strong, simple narrative, a limpid visual style which eschews any directorial histrionics to concentrate purely on the characters. It is the story of young men driven from their homeland and making the long voyage to America - the huddled masses yearning to be free. The journey is long and terribly hard, and even as the shore of American comes into view, sacrifices still have to be made. The end of the film is enormously powerful, one of the most moving I have ever seen - the effect is still with me now, 30 years after seeing it.
It is the story of Kazan's father and uncle - the character who makes an appearance, played by Richard Boone, in Kazan's more heavily fictionalised subsequent film THE ARRANGEMENT. It is a personal story, and the simplicity of the telling seems like the end of a process of endless re-telling around smokey fireplaces, and before children go to sleep, a family saga which has almost attained the status of myth. The savagery of the film's first hour, and the dream-like quality of the last act make AMERICA AMERICA a genuine and powerful part of American mythology.
So don't torture yourself about whether Kazan was morally and politically wrong in betraying his colleagues - see AMERICA AMERICA, and you'll see why he could never have acted any differently. Yes, he was a radical, and a leftist, and a deeply intelligent and passionate man; but he was also an immigrant - and his horror of disenfranchisement and ejection overcame his moral and political views. Kazan may criticise aspects of its culture and politics, but he loves and respects and is grateful to America above all. So he made his choice. He could have made no other.

Era, ormai, il 1951. L’America era in piena paranoia anticomunista. Kazan era stato comunista negli anni ‘30, nel periodo del Group Theatre, quando il partito era forte e potente. La commissione del senatore McCarthy lo chiamò a testimoniare. E Kazan parlò. Fece i nomi. Denunciò i colleghi: un tradimento che molti, in America e altrove, non gli hanno ancora perdonato. Pensiamo valga ancora la pena, su questo tema, di sentire cosa disse a Berlino nel 1996, quando venne a ritirare l’Orso d’oro alla carriera: “Sono stato membro del partito comunista per un anno e mezzo. Non mi è piaciuto ciò che ho visto in quel periodo, e ho deciso di dire ciò che pensavo. Ero d’accordo con certe cose, ma non con i metodi. Come iscritto al partito, volevo cambiare l’America, renderla migliore: ho lasciato il partito perché, ripeto, non ne condividevo i metodi, ma quell’idea di fondo mi è rimasta. Amo l’America”. Parole rispettabili se Kazan si fosse limitato a un personale autodafè, come è accaduto molte volte, a molti comunisti, in molti paesi. Ma Kazan, come dicevamo, non parlò di sé. Parlò degli altri. “Cantò”. Rovinò le carriere di alcuni colleghi - e chissà se non lo fece con un certo perverso piacere, ricordando le difficoltà degli inizi e sfogando nella denuncia il proprio senso di rivalsa…
da qui

2 commenti:

  1. Elia Kazan è un regista che apprezzo molto, mi sa che lo vedo :)

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    1. questo è un desaparecido, cercalo...
      si segnalano cose che meritano, come fai tu :)

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