venerdì 28 marzo 2014

Il diario di un curato di campagna – Robert Bresson

a un giovane prete inesperto viene assegnata una piccola parrocchia, in una campagna quasi feudale, c'è un signorotto, proprietario terriero, e tanta povera gente.
il prete ha poche certezze, è malato, tiene un diario, che è la sua storia.
cerca la carità del ricco, senza troppo riuscirci, riesce invece a riportare nella fede la contessa, che viveva nel dolore, rifiutando la fede.
il curato ha tutti contro, o comunque lo ignorano.
è dedito al vino, in modo strano, vive in un mondo che non ha bisogno di Dio, davvero complicato per lui che cerca la Grazia.
ci si affezione, a questo prete, timido e pauroso.
da cercare e guardare, e anche se è difficile non delude
e come i film importanti non dice tutto subito. - Ismaele







Bresson conduce con polso fermo questo non breve film, che tuttavia non presenta smagliature o momenti di stanchezza, ma quasi ci avvolge nella sua scarna e precisa narrazione. Forse i tormenti interiori del curato erano quelli del regista, e questo apre anche ad una certa ammirazione per l'artista. Infatti, pur tra lancinanti dubbi di fede, il suo personaggio ogni tanto stupisce con parole che sembrano la spada dello Spirito Santo.
In ogni caso è un film ricco e complesso, che vedere una volta non basta.

Un'opera magistrale e assoluta, di un'asciuttezza e di un linguaggio con pochissimi paragoni; la messa in scena è dimessa e folgorante, spartana e coinvolgente, povera e ricchissima; la precisione esteriore va di pari passo alle mille domande di un animo (disperso) tra le cose, gli oggetti e la fisicità di tutti i giorni.

…The priest’s own death is not shown on camera, either. Instead, we learn of it through another piece of text distinct from the diary – a letter sent from the priest’s seminary friend to the priest of Torcy. In it, he reports that the priest, knowing that he was dying, asked for absolution from his friend. His friend, knowing his sinful circumstances, demurred, but the priest, in his last words said, “What does it matter? All is grace.”…

…Bresson fa miracoli nel rappresentare la vita ingrata di un puro di cuore, pesce fuor d'acqua in un mondo dominato da grettezza, ostilità, cattiveria, cinismo, pragmatismo, maldicenza, presunzione, rassegnazione e tutti i mali possibili e immaginabili. Un calviario tutto terreno, sporadicamente illuminato da una Grazia passeggera, concreta, senza luce, segno materiale di un Dio che è invisibile tanto quanto il Male. Un Nazarin bunueliano ante-litteram, ovviamente senza la placida ferocia del maestro iberico, ma con uno struggimento interiore pari solo alla compostezza con cui il francese lo filma. Bresson imbastisce una struttura episodica, affastellando gli incontri del curato in modo da rendere l'idea di un continuo ed opprimente confronto con una realtà incomprensibilmente malvagia; depura la narrazione dalle pastoie del classicismo filmico; sperimenta alcuni espedienti che poi diventeranno tipici del suo stile, come il sonoro fuori campo e la rivelazione ellittica degli effetti prima delle cause; supera gli ultimi retaggi espressionisti e naturalisti del suo maestro Dreyer, pervenendo ad una concisa, pacata, spoglia, rigorosa forma di realismo, così sobria da non concedere alcuna forzatura luministica o di altro genere; rappresenta con assoluta asciutezza, sincera pietas, infinito rispetto l'intimità tormentata di un umile servo di Dio…

…So for the benefit of those for whom Bresson remains a mystery, here are a few tips for successful viewing, especially if you find Diary of a Country Priest slow-going, hard to follow or even sleep-inducing:
1. Listen carefully to the sounds of what's happening off-screen and what they signify to the character the camera focuses on (usually the priest, of course.) Bresson's use of the audio track is quite thoughtful, deliberate and evocative. He's not simply supplying the sounds you expect to hear to accompany the images on screen.
2. Pay attention to the dissolves (where one picture slowly fades into another,) first to appreciate their beauty and then to observe how they structure and compress the flow of time. Seriously, I am in awe of Bresson's craftsmanship in framing these shots and guiding the editing process (from an original running time of around three hours, where he basically filmed the full novel, down to just under two.) Given that this was just his third film (five years after his second, Les Dames du Bois de Boulogne), I have to wonder how did he get so good?
3. Expect to watch it again - even a third or fourth time, if you really want to "get it." Let the characters sink into your consciousness a bit, then revisit them with an informed sense of what they're going through and why they react the way they do…
da qui

4 commenti:

  1. Va be', qua siamo sulla scia del capolavoro: assieme a Balthazar e Mouchette, il mio Bresson preferito.

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  2. mi manca "Mouchette", lo vedo a breve, sicuro :)

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    1. Quel film è stato un pugno nello stomaco. Forte, fortissimo, quasi fosse stato tirato da Bud Spencer.

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