venerdì 21 febbraio 2014

Il buono il matto il cattivo - Kim Ji-woon

un film che soddisfa più gli occhi che la mente, che tanto stile, sembra a volte che Kim Ji-woon faccia gli esercizi.
dopo qualche giorno ti ricordi più le scene, gli attori, lo spettacolo, bello e grande, ma non troppo di più.
e comunque quello che c'è basta per vederlo con soddisfazione - Ismaele




…Smaltito l'entusiasmo iniziale ci si rende conto che non tutto funziona a meraviglia, a partire da un'inconsulta rivelazione finale sul passato di Tae-gu, e che, rispetto alle precedenti opere di Kim Jee-won, il film sconta la sua natura eminentemente ludica e la volontà di ribadire la supremazia dello stile. E di stile Kim ne ha senz'altro da vendere, tanto da portarlo ai primi posti in un'ideale classifica dei registi coreani contemporanei, ma è uno stile che porta all'assoluta perfezione l'esistente senza innovare, appagato dalle proprie inarrivabili vertigini estetiche ma immune sia alle folgorazioni di Park Chan-wook che alla densità di Bong Joon-hoo...

Ma l'assenza di originalità della sceneggiatura viene sostituita dalla forza dirompente delle immagini, seducente abbastanza da rendere godibile e piacevole il film intero. La fotografia di Lee Mo-kae dipinge le location interne con toni accesi, dal blu cobalto al giallo chartreuse, alternandoli al magenta. Il risultato è un'eccentrica rappresentazione delle ambientazioni western, di solito legate al grigio nebuloso di polvere e sabbia, un tocco stravagante che rende ancora più curiosa l'operazione. A dare i brividi sono anche le vertiginose inquadrature dall'alto (i titoli di testa ne sono un esempio brillante) e gli spostamenti rapidi di angolazione, un modo irrequieto di raccontare e dare forma alla storia, retta su un equilibrio interessante di dramma e ironia che tempera la gravità delle azioni più crudeli con inserti comici irresistibili.

Resta un correre incessante, per arrivare all’apoteosi nella parte finale, con lungo inseguimento nel deserto dove il “mondo” armato è alle calcagna del sidecar del “matto”, per un effetto grottesco che si perde senza la sospensione di incredulità nel vederlo scampare a mille proiettili e decine di cavalli e jeep (che, oltretutto, in un’inquadratura ravvicinata gli sono addosso e in quella successiva a campo lungo sono distanziati). Un gioco che stanca, ma un bel gioco, ad opera di un regista di genere con stilemi autoriali, non viceversa.

un film ad altissimo budget e vertiginosa densità spettacolare che mostra al mondo intero l’emancipazione linguistica del cinema nazionale. Un film capace di testimoniare l’assoluta maturità non solo del suo autore, ma dell’intera cinematografia coreana. Non è fortuito allora che Kim Jee-woon si rifaccia al filone dei cosiddetti spaghetti-western, risposta indipendente e insubordinata a un genere in via di esaurimento. E non è un caso che il suo “Kimchi Western” rinunci deliberatamente all’uso massiccio di effetti digitali e rielaborazioni in computer graphics per gettarsi nella mischia con sguardo atletico, totalmente coinvolto nell’azione, tutt’altro che disincarnato o astratto. A dominare sono le traiettorie fisiche dei movimenti, le performance ginniche di Song Kang-ho, le altezzose rodomontate di Lee Byung-hun e le cavalcate a rotta di collo di Jung Woo-sung. Persino il finale, col suo strisciante disinteresse per l’oro nero e l’instancabile rinnovarsi della fuga, ci parla di un cinema orgogliosamente lontano dalle lusinghe d’importazione e irriducibilmente proteso a continuare la corsa oltre la frontiera. Nei territori di un cinema finalmente libero e spavaldamente fuorilegge.

2 commenti:

  1. Piaciuto poco, onestamente 'ste emulazioni di spaghetti western giapponesi non mi hanno mai convinto del tutto, manco "Sukiyaki western Django" (e io ADORO Miike)

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    1. una visione è sufficiente, come dei fuochi artificiali, belli, ma finisce lì, poi c'è altro da fare.

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