lunedì 21 ottobre 2013

La prima neve - Andrea Segre

bella la fotografia (quando si inizia con “bella la fotografia” non è un bel segnale).
un film di assenze, mogli, mariti e padri, e di dolore, nessuno ne è esente, tutti soffrono, ognuno a suo modo.
il problema del film, secondo me, è che è troppo politicamente corretto e prevedibile, è più un documentario che un film, a differenza di “Io sono Li”, il primo film di finzione del regista, che è un film vero.
merita comunque di esser visto, visto che tratta argomenti che difficilmente arrivano in sala 

ps: curiosa la coincidenza col film di Giorgio Diritti “Un giorno devi andare”, anche lì erano trentini i “benefattori” dei poveri del mondo - Ismaele



…Una delle peggiori delusioni di Venezia 70. Ci si aspettava molto da Andrea Segre dopo la sorpresa del suo Io sono Li, uno dei pochi nostri film recenti ad aver varcato i confini, fatto il giro dei festival e ramazzato premi ovunque, compreso il Lux 2012 del parlamento europeo. Ma questo La prima neve è di un buonismo imbarazzante, come non usa più, una favola dolciastra e fintissima, un apologo edificante quanto improbabile sull’arcadia (arcadia?) della nuova Italia multikulti cui solo i duri di cuore e i reazionari irriducibili si ostinerebbero a non credere…
La prima neve somiglia a quei vasetti di miele che il falegname Pietro e poi anche Dani confezionano in serie, con un tasso zuccherino da coma diabetico. Il bello è che verrà preso per un film di massimo impegno sociopolitico, per un esemplare e imperdibile apologo sull’Italia multietnica e il buono della convivenza tra più culture. Se ne scriverà e parlerà molto nei migliori salotti e tinelli ben orientati ideologicamente, si scomoderanno ministri, ministresse e ministeri e si apriranno dibattiti. Invece è solo un presepe di montagna con gli immigrati a fare i nuovi re magi.

Dani l'emarginazione ce l'ha dentro come il piccolo Michele ed è data dal dolore profondissimo di una perdita, di un lutto che sembra impossibile elaborare. Hanno a fianco persone che vorrebbero aiutarli (l'anziano apicoltore per l'uno,la madre per l'altro) ma è come se avessero eretto un muro a difesa della loro sofferenza. Il bosco finisce così per diventare non il luogo fiabesco dove incontrare pericolosi lupi (qui semmai a fare danni è un orso) ma lo spazio, tra luci ed ombre, dove trovare una solitudine che può farsi cammino comune. "Le cose che hanno lo stesso odore debbono stare insieme" dice il vecchio a proposito di legno e miele. Dani e Michele sono impregnati dello stesso odore della deprivazione che li porta a pensare di non essere più capaci di amare coloro che hanno invece più bisogno di loro. Potrebbero avere entrambi bisogno di quella prima neve che offra una nuova visione del mondo, esteriore ed interiore…

Mosso da un umorismo che rende leggero lo svolgersi della vicenda e da paure ancestrali come quelle legate a un orso che può palesarsi dietro una porta da un momento all’altro, La prima neve regala sprazzi di poesia attraverso immagini da cartolina che solo l’occhio attento di un esperto documentarista come Segre riesce ad accogliere. Senza celare le drammatiche vicende che sovente accompagnano le rotte di fortuna delle imbarcazioni che provengono da oltre lo stretto di Sicilia, La prima neve fornisce anche un ottimo e ottimista esempio di integrazione multirazziale e multiculturale, che passa per una società sulla carta tradizionalista e chiusa come quella agricola, oltre ad avere il merito di portare sullo schermo due attori (Jean-Christophe Folly e la rivelazione Matteo Marchel) capaci di muoversi in uno spazio teatrale insolito che lascia interagire realtà e finzione, corpi e anima, senza sembrare mai artefatto.

Segre combina di nuovo la sua profonda vocazione documentaristica con la finzione. Mostra padronanza nei mezzi d'espressione cinematografici, ma l'effetto stavolta, rispetto al suo primo film, è meno riuscito, sbilanciato. I personaggi sono poco incisivi e lo script non è all'altezza della bellissima fotografia di Bigazzi e dei meravigliosi scorci ambientali. Il regista insiste con improvvise panoramiche, riprese pure e dettagliate pulite della natura alpina e prealpina, ma non sembra prestar la stessa attenzione al lato "umano". In questo senso è un film economicamente "sprecone", che non ha saputo sfruttare al meglio gli elementi a disposizione. Molti binari morti o spunti poco utili, che non vengono sviluppati e finiscono per appesantire il film. Fra i personaggi si riscontra un'incuria simile. Come nel suo film precedente Segre sceglie pochi personaggi, ciononostante alcuni di questi sono incompiuti o non sviluppati.  Lo zio Fabio (Giuseppe Battiston) ad esempio, come i compagni di Michele, sono marginali non tanto nel minutaggio, quanto nella mancanza di spessore, non rispondono alle aspettative, non si inseriscono fino in fondo nella storia. Lo stesso Dani - meglio invece per Michele - non è abbastanza caratterizzato e si fa fatica ad affezionarsi alla sua storia…

2 commenti:

  1. "Un giorno devi andare" l'ho apprezzato e già questo, nonostante le varie critiche (ma tengo in considerazione la tua, di segnalazione ;) mi sembra un buon motivo per gettare uno sguardo anche al film di Segre. Grazie!

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    1. mi è sembrato troppo "lineare", probabilmente questa è una sua caratteristica e così bisogna prenderlo.
      quando imparerà ad essere antipatico e scomodo, come lo è stato nei documentari, andrà meglio, secondo me.

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