ultimo film di Wakamatsu, uno che mancherà moltissimo. "Caterpillar" è un film antimilitarista, critico delle strutture sociali e dei rapporti di violenza dell'uomo sulla donna, e molte altre cose, chi vedrà capirà quanto c'è dentro. Shigeko, la protagonista, è indimenticabile. Wakamatsu fa Cinema, e anche questo è un film da non perdere - Ismaele
…La
critica dell’espansionismo imperialista passa per la distanza esistente tra la
retorica di regime (il falso solenne, l’artefatto politico) e la tragica realtà
del ritorno dal fronte. La forza persuasiva dell’informazione deviata finisce
così per condurre a epiloghi comici, quando due abitanti del villaggio
incontrando il tenente Kurokawa vestito della divisa e trasportato in una
carriola lo appellano “dio della guerra” e gli chiedono “come va la salute?”.
L’addestramento degli abitanti del villaggio, idilliaca oasi di pace lontana
dal teatro delle operazioni, si tramuta in una sorta di parodia; le ripetute
celebrazioni in onore del tenente Kurokawa sono canzonate dallo scemo del
villaggio (vero controcanto dell’enfasi mistificatoria del potere) e si devono
misurare con gli impietosi primissimi piani su mutilazioni e ustioni del
reduce. Il montaggio alternato è qui serratissimo, con le onorificenze di
guerra e la divisa attentamente ripiegata a legare le inquadrature dedicate al
corpo e allo strazio della fisicità, che ripropongono uno dei temi centrali nel
cinema di Wakamatsu…
…La
bellezza dell’opera è infine debitrice dell’eccezionale prestazione di Terajima
Shinobu, che rende alla perfezione l’ampia gamma di sentimenti che caratterizza
il personaggio di Shigeko: l’orrore e lo spavento al ritorno del marito più che
mutilato, l’accettazione rassegnata del proprio ruolo familiare e sociale, la
maturazione del proposito di vendetta, il pentimento, la follia e la quiete
finale, una volta liberatasi, per sempre, del marito - padrone.
…Tadashi aside, the film also takes on another more
important and engrossing perspective through that of Tadashi's wife Shigeko
(Shinobu Terajima, who got the Silver Bear for Best Actress at last month's
Berlin Film Festival), intially shocked by the image of a husband who's more
than a cripple, being maimed both physically and emotionally, and to balance
that expectation set by society of the dutiful wife who will stand by her
husband no matter the costs, and live the vows of being there for better or for
worse. Keigo Kasuya may have the more technically challenging role of
expressing himself through his eyes only, but Shinobu Terajima brings forth her
character's development superbly, as one initially very reluctant and fearful
of other's perception, to one who learns how to capitalize the turning of
tables to dish out revenge long overdue, especially when she holds the upper
hand in rewarding good behaviour brownie points to a sex-addicted husband (yeah,
he can still function below the waist). In many ways, it's a close examination
of the live of the Japanese woman during war, and societal pressures put on
them at the time…
…Caterpillar inizia
e finisce tra le fiamme, inizia e finisce con la morte. Dalle immagini di
repertorio, che già avevano contraddistinto la messa in scena di United Red Army, alle sequenze
nella casa della famiglia Kurokawa e poi nel villaggio e nei campi, per
chiudere nuovamente con un calibratissimo e più che efficace utilizzo di found
footage: il fungo atomico, la devastazione, i corpi, i numeri dell'orrore. Caterpillar ammutolisce,
lascia basiti, può persino infastidire, respingere. E anche per questo è
un'opera dannatamente necessaria. Un'opera che allarga ancor di più gli
orizzonti e l'analisi di United Red Army,
rileggendo la storia del Giappone, ferita dopo ferita. Caterpillar è
una ferita nell'animo. È la ferita che ha portato alla generazione delle
contestazioni violente, è il prologo e la contestualizzazione di United Red Army. Caterpillar è
un uomo che striscia come un bruco verso il suo destino, è un amplesso rubato
seguito da un amplesso rubato seguito da un amplesso rubato, è lo shock insistito
dei flashback, della verità che non si vuole guardare, che il montaggio rende
insopportabile come uno schiaffo.
Malheureusement
le contenu de "Caterpillar" (« Le soldat Dieu ») s'arrête
presque au résumé fait ci-dessus (une femme s'occupe de son mari plus que
diminué). Car hormis la révélation cauchemardée d'un secret presque entièrement
contenu dans la première scène, le récit, pénible et laborieux, n'avance
jamais, tournant en rond autour d'interrogations stériles sur la nature des
"Dieu de guerres" décorés par l'empereur.On suppose que l'intention du
réalisateur est d'en faire un discours universel, valable pour tous les
conflits. Mais la forme, voyeuriste en diable, emplie de cris et colères certes
compréhensibles, mais rapidement inutiles et redondants, agace très vite…
…Il est
toujours agréable de constater qu’à plus de 70 ans un artiste peut encore être
aussi enragé que s’il en avait quarante de moins. C’est le constat qui vient
immédiatement à l’esprit à la vision de ce soldat dieu, dernier
film en date de Koji Wakamatsu, vétéran du cinéma japonais. Remarqué dans les
années 60 pour une série d’oeuvres extrêmes qui se rattachent à la nouvelle
vague nippone, le réalisateur n’a jamais fait mystère de son engagement contre
toute forme de guerre et de barbarie. Souvent trash, ses longs-métrages les
plus célèbres (Quand
l’embryon part braconner, Les anges
violés ou encore Va va vierge
pour la deuxième fois) ont marqué leur temps par leur jusqu’au-boutisme
formel et thématique…
…Koji
Wakamatsu ne nous épargne aucune humiliation dans ce rapport
sado-masochiste difficile à encaisser.Et il ne s’interdit
rien, allant jusqu’à filmer les ébats sexuels entre cette femme et cette chose,
devant le portrait de l’empereur et les décorations militaires. On pense
beaucoup àJohnny s’en va-t-en Guerre même si
le regard est totalement opposé mais également à l’Empire des Sens auquel
le réalisateur avait participé pour la relation de domination malsaine. En
résulte une oeuvre profondément dérangeante car elle pose des questions
essentielles sur les limites du sacrifice – cette femme vit un calvaire
insoutenable psychologiquement et physiquement – et nous balance à la gueule ce
qu’il y a de plus terrible et d’animal dans notre nature d’être humain.
…Wakamatsu
è sublime, nell’azzerare l’automatico dato sociologico, quand’anche
repentinamente politico, in laconica impersonalità genitale, ossessa ma mai
compiaciuta, come se l’immagine tutta non foss’altro che questa seppiosa – e
trita ritrita torta ritorta – fine indecorosa e pervertita dell’Impero (sempre
in The Sun di Sokurov, il generale MacArthur commenta,
riferendosi all’Imperatore: “È come un bambino”, non esimendosi tuttavia dal
dichiararlo criminale di guerra). Il torlo d’uovo non sarà più sodamente
inserito nella vagina come ne L’impero dei sensi, ma infranto con
violenza sul volto deturpato del caterpillar. Ciò che resta del corpo, coincide
con il vuoto di qualcosa che si consuma perché è in sé consumato: fatale
vigilia della bomba. Wakamatsu diluisce l’assunto di partenza – che può essere
tratto, come lui stesso ha più volte spiegato, anche solo da un trafiletto in
un giornale - in una zona fatta d’aria, di correnti, di pulsazioni (il
suo nome è film, niente a che vedere con facili etichette crtiche quali
cinema-pop), che vorrebbero oscillare esattamente nel punto fra il prima e il
dopo lo scoppio atomico, e inventarsi un mondo non più atomico proprio perché
per sempre nuclearizzato. Imamura, con Pioggia sporca, aveva
intrapreso appunto il racconto di questo sgomento anonimo, popolare e dunque
universale, che precede, e poi cede, alla bomba. Wakamatsu, come gli è proprio,
ne narra l’avverarsi, traducendone il picco esplosivo in disperata coazione a
ripetere.
Jennifer Lawrence è bravissima, e l'oscar lo meritava tutto, subito dopo Jessica Chastain. il film si vede bene, un po' scontato, pensi all'uscita dal cinema, va meglio il giudizio il giorno dopo, quando apprezzi meglio sceneggiatura e dialoghi, e interpreti tutti, da Robert de Niro, a Bradley Cooper, alla madre, già matriarca in "Animal Kingdom", e Jennifer Lawrence, qui vedova (l'avevo già vista indimenticabile sorella maggiore con responsabilità da madre, in "Un gelido inverno"). "Il lato positivo" non è un capolavoro, ma un bel film di sicuro, merita - Ismaele
Una commedia coraggiosa, che sfugge ai
cliché del sentimentalismo hollywoodiano oppure li attraversa, senza restarci
impantanata. Un film divertente, drammatico, pieno di vita. Semplice e
complesso, come può essere ogni giorno, ogni cosa, a seconda che la si affronti
con onestà verso noi stessi, o con timore del giudizio, nostro e degli altri.
Il film si presta subito a un parallelo con l'opera precedente del regista
newyorkese, "The Fighter" del 2010. Anche ne "Il lato positivo" Russell
racconta le vicende di una famiglia, con al centro il personaggio di Pat
(doveva essere di nuovo Mark Wahlberg, ma alla fine è stato scelto Bradley
Cooper) e intorno un solido e bizzarro - quale non lo è? - universo familiare
destinato a rimettersi in gioco e trasformarsi, in seguito all'incursione della
variabile esterna, la bellissima Tiffany (il fresco premio Oscar Jennifer
Lawrence)…
…One of
the ingenious and sort of brave accomplishments of Russell's screenplay
(inspired by a novel by Matthew Quick) is the way it requires both father and
son to face and deal with their mental problems and against all odds finds a
way to do that through both an Eagles game and a dance contest. We're fully
aware of the plot conventions at work here, the wheels and gears churning
within the machinery, but with these actors, this velocity and the oblique
economy of the dialogue, we realize we don't often see it done this well.
"Silver Linings Playbook" is so good, it could almost be a terrific
old classic.
…David O. Russel a ainsi
aisément réussi son pari en sublimant la rencontre entre un bipolaire bercé
d’illusions et une jeune veuve dépressive complètement délirante. Entre un humour noir
ravageur et de purs moments de folie galvanisants, Bradley Cooper et Jennifer
Lawrence nous offrent des compositions à fleur de peau, faisant jaillir à
l’écran l’étendue de leurs talents (preuve en est les multiples récompenses
qu'ils reçoivent). Véritable cure contre les clichés et les codes convenus des
rom-coms, le film est aussi un efficace médicament contre la tristesse, de par
sa bonne humeur contagieuse. À
consommer sans modération !
…Silver Linings
Playbookcuenta con eso
que los entendidos llaman un reparto coral, donde cada una de las piezas es
(im)permeable a la trascendencia dramática del resto: los arcos de
transformación se describen sutilmente en el transcurso de una trama redonda,
cuyo nudo no para de arrancarte sonrisas gracias a situaciones que son en
realidad dignas de la mejor tragicomedia, ya que basculan conmovedoramente
entre esa clase de humor que desarma por su limpieza (y punch) y la catarsis
familiar más perniciosa…
…Storia molto a stelle e strisce, bilanciata tra dramma e commedia
(molti sono i sorrisi strappati dai bizzarri atteggiamenti dei protagonisti),
con un protagonista anomalo che cerca di vincere una sfida con se stesso,
riuscendo alla fine a trovare il perfetto equilibrio secondo quanto insegna il
pensiero occulto puritano alla base del modus vivendi degli Stati Uniti; cioè
che solo chi esce vittorioso da una sfida piccola o grande che sia, è
"blessed by God" (benedetto da Dio e quindi degno).
Pioggia di candidature Oscar, una statuetta per la Lawrence
premiata come migliore attrice, attori bravissimi a non scadere né nel ridicolo
né nel pietismo, a seconda delle situazioni imposte dal copione, vicenda
originale che però verso la fine perde lo smalto iniziale per trasformarsi in
una commedia sentimentaletout court. Interessante.
Gesù non è biondo, né
bello, e forse era così davvero, a Pasolini sarebbe piaciuto, secondo me.
le facce sono quelle che uno crede esistano solo nei film turchi o georgiani,
la storia è sempre la stessa, ma non è la solita storia, qui è buia, sporca,
concreta, crudele, dolorosa, non si vede quasi niente, ma si sente tutto, il
dolore della madre è senza pari, la lingua è davvero perfetta, a molti sembrerà
aramaico.
a me il film è piaciuto molto, non privatevene - Ismaele
Stamattina, avviandomi sotto la pioggia
alla proiezione stampa delle 9, già sbuffavo leggendo le note di presentazione
di Su Re. Figuriamoci. La ri-messa in scena della Passione
di Cristo nella Sardegna più interna e selvaggia, naturalmente in lingua sarda
con gente del posto a interpretare i ruoli. Come in una sacra rappresentazione
di paese da settimana santa. Una roba anni Settanta, mi dicevo, di quel
populismo-miserabilismo-terzomondismo che allora intrideva tanto cinema nostro,
e oggi insopportabile. Invece, signori, questo è un gran bel film…
Le
ultime dodici ore di Gesù tradito da Giuda, rinnegato da Pietro, processato (e
flagellato) dai gaglioffi del Tempio, condannato dal popolo e pianto da Maria,
che lo ricompone nel sepolcro. Ultima cena prima della comparizione davanti a
Caifa e a Pilato e della Passione che lo "passerà da questo mondo al
Padre". Condotto sulle pietre di Supramonte, Gesù verrà impietosamente
'conficcato' alla croce tra il clamore dei suoi avversari e il silenzio
compianto delle donne. La sete spenta con aceto cede all'ultimo respiro e al
sospiro scosso della terra, che trema prima di ritrovare Cristo e la luce…
… il Cristo di Columbu è rappresentazione in bilico tra sacro e profano, capace di
veicolare grazie alla sua immagine ruvida - come i luoghi e la gente che lo
circondano - il dolore a un livello più primitivo, inconscio, strettamente
legato all'asprezza essenziale della natura. Un ritratto che s'ispira alle
parole del profeta Isaia: "...non ha apparenza né bellezza
per attirare i nostri sguardi, non splendore per poter compiacere" e che cerca il contatto con una dimensione
puramente interiore, quella dimensione visibile solo ai "puri di
cuore". La stessa purezza che Columbu ricerca anche nella gente che affolla le tappe
del martirio di Cristo, e sul cui volto e sui cui sguardi Columbu si sofferma più di ogni altra cosa, lasciando
spesso la scena ferma sui loro volti scavati, e i loro occhi gravidi di astio,
incomprensione, sofferenza, mentre il supplizio di Gesù si svolge fuori campo.
È infatti proprio attraverso i volti e il rimbalzare da un sogno e da un
ricordo all'altro che Su Re riesce
a imprimersi nella mente e a ripercorrere con rara pregnanza e intimità il
calvario di Gesù, conseguenza di quell'astio innato e di quella voglia di
vendetta ingiustificata connaturati alla natura umana…
…Il film racconta e mostra i fatti come in
un sogno in cui quasi nulla procede con semplice linearità e ricorda il rituale
collettivo della messa cristiana.
Sicuramente come punto di riferimento
immediato ci viene in mente “Il Vangelo secondo Matteo” di Pasolini, ma non
solo, infatti la pittura, e in particolare quella di Caravaggio è l’altra
grande protagonista del film.
I personaggi sono tutti intensi e
magnifici nelle loro espressioni corrugate e accigliate. È Fiorenzo Mattu ad
avere la parte di Cristo e non è esattamente il Cristo che ritroviamo nella
storia del cinema o della tv finora nota. È basso, scuro e ricoperto di peli:
molto mediterraneo, effettivamente “fatto uomo” nella cornice di un’isola
selvaggia e spartana.
Sia Dio che la Madonna sono due esseri
umani come tanti altri, non c'è niente di divino in loro. Una prospettiva e un
punto di vista decisamente dal basso che rende il mito qualcosa di estremamente
concreto, non solo nella passione, ma anche nell’aspetto.
Un film toccante e una vera e propria
eccezione del cinema sacro: tutto si svolge davanti agli occhi dello
spettatore, niente è nascosto o inspiegabile.
La Sardegna più intima, quella misteriosa
e tormentata delle montagne del Sopramonte, la stessa, proprio il Monte
Corrasi, che accolse alcune scene drammatiche della Bibbia di Houston, viene
rappresentata dal regista come luogo significativo, senza dimensioni
spazio-temporali delimitate, dell'eterna e tormentata storia dell'uomo.
Attraverso la lettura sinottica dei Vangeli, Giovanni Columbu restituisce
all'umanità l'essenziale, indissolubile legame religioso (di tutte le
religioni) con la terra. L'illusione atavica (e blasfema) dell’umanità di
liberarsi da questo legame, viene svelata e irrisa attraverso le immagini
immense di una natura che parla: attraverso il suono del vento, l’incombere
freddo delle nuvole, l’inviolabilità degli anfratti rocciosi. E restituisce
all’uomo il ruolo di piccolo essere, partecipe della complessità infinita e
misteriosa del creato: un essere fragile e sgomento, pronto a farsi carnefice e
vittima, esule senza pace dopo la preclusione assoluta al paradiso perduto…
la prima parte è lentissima, poi il film prende quota. il regista non dice niente più del necessario, e il film è un crescendo fino alla decisione finale. non è un film che estusiasma, ma si vede bene, fatto di particolari, che arricchiscono la storia, come se si aggiungesse, come nelle costruzioni Lego, un pezzo dopo l'altro per fare una costruzione compiuta. bravissima Nina Hoss, e bravo Petzold, che ha fatto altri film almeno altrettanto meritevoli.
un problema è che tutti i personaggi sono troppo prevedibili e manca davvero lo scatto per farne un film che "sorprende".
è "solo" un bel film che merita di sicuro la visione - Ismaele
…Petzold sceglie di non alzare la voce e di non
calcare la mano, praticando invece un cinema della sottrazione e della
rarefazione. Cinema austero che tra le sue ascendenze ha, inevitabilmente,
oltre all’obbligatorio Haneke, anche il binomio Dreyer e Bergman (vedendo le
sequenze delle traversate in bicicletta di Barbara in una campagna dove l’unico
rumore e l’unica voce è il vento, vien da pensare aOrdet).
L’altra faccia, quella meno piacevole, di un film come questo è la bassa
velocità, il ritmo blandissimo, una contemplatività che può diventare subito
noia.Barbararichiede
attenzione e pazienza, e se per una buona mezz’ora può spiazzare e irritare per
le scarne informazioni che ci dà sui personaggi e lo stile scarnificato fino al
quasi niente, poi si rivela man mano, si scopre sempre di più e alla fine il
puzzle del racconto si compone perfettamente, ogni parte va al posto suo e
tutte le risposte vengono date…
…Un Petzold in
forma smagliante prende tutta questa frustrazione, quest’aria tristanzuola
dell’est e questa smania di escapismo e le amalgama in un film che solo sulla
carta appartiene al “genere” cristallizzato da Le vite degli altri (2006), vale
a dire laVergangenheitsbewältigungincentrata sull’ex Repubblica
Democratica. Gli elementi, in apparenza, ci sono tutti, dalla fotografia
marroncina alla paranoia di Stato, dal bosco di betulle in stile scambio di
spie alle Trabant. Ma Petzold, al solito coadiuvato in sede di sceneggiatura daHarun
Farocki, manovra il genere come un cubo di Rubik e sforna una
storia d’amore – trattenuto – screziata diunheimlich, di situazioni
inattese e fiabesche, nere come la pece ma deturnate dall’ironia…
…nel 2013La
scelta di Barbaraaltro
non è che un racconto didattico, stilisticamente impeccabile nonché
prevedibile, che soddisfa le aspettative dello spettatore lasciandolo però del
tutto freddo: un problema prodotto sia dalla costruzione narrativa del film che
dal sedimentarsi dell’immaginarsi collettivo. Infatti, di fronte al tempo che
passa, il cinema storico deve affrontare la sfida della graduale banalizzazione
a opera della memoria degli eventi passati. Ciò che prima era il nostro
presente, o passato prossimo, muta con gli anni nella trasmissione del racconto
epico di ciò che fu; ma l’epica per sua natura deve sempre tendere a
semplificare la realtà. Allora ci sono i buoni, gli eroi, e i cattivi da
sconfiggere per conquistare la libertà, eLa scelta di Barbaranon è da meno nel narrare non i fatti
storici quanto l’impressione che hanno lasciato nel ricordo: non può mancare
perciò una protagonista stoica, leale e altruista, alle prese con
l’indifferenza schiacciante di una dittatura impersonata da agenti, poliziotti
e cittadini spietati, quasi monolitici nella loro apparenza…
…La valeur
ajoutée de Barbara,
tant au cinéma allemand qu’à la filmographie traitant de cette époque, réside
dans sa tension et la force de son propos. Renouant par son style avec le
cinéma d’auteur, Christian Petzold offre un témoignage authentique et
juste d’une époque douloureuse pour plusieurs générations
d’allemands, qui montre avec psychologie la complexité de la
situation à laquelle la population a été confrontée, tant sur un plan professionnel,
moral que privé. De
très bons — et beaux — acteurs, en particulier Nina Hoss. De quoi
avoir envie de découvrir le filmographie de Christian Petzolz.
… It's also
interesting to see how closely the direction matches the character arc. The
more Barbara opens up, the more Petzold's camera seems to move in closer to her
perspective, giving us a more intimate vantage point. It's a change in tone
that happens so slowly it's barely even noticeable, and it takes us all the way
from the opening frames where we are staring at her from a measured distance,
to the brilliant closing shot of actually looking out through her eyes. This is probably too slow moving and subtle of
a picture to get much love from Academy voters, it hasn't got the immediate
appeal or power ofFlorian
Henckel von Donnersmarck'ssimilarly
set 2007 Oscar winnerThe
Lives of Others, but for those who love quietly intelligent, low-key
character driven dramas, it is a masterful example that you don't want to miss.
…Andre, after examining the boy who
attempted suicide, confides to Barbara, "I don't know. Something is wrong.
I can feel it." One could say that about the entirety of the world
portrayed in "Barbara," a world filled with everyday objects:
bathtubs, pianos, bicycles, cigarettes, all of which take on portentous
significance when seen in the context of totalitarian culture. Something is
wrong in East Germany, and everyone can feel it. Doctors examine a patient and
make a guess at a diagnosis. The reality of Barbara's world, and the world of all East Germans, is one of
constant surveillance, omnipresent informers, and a huge gap between private
and public behavior. Petzold is a master at creating the kind of tension that
can be felt on a subterranean level, a sort of acute uneasiness that can't be
easily diagnosed, fixed, or even acknowledged by the characters. This is
well-trod ground for Petzold, but never has it been so fully realized, so
palpable, as in "Barbara”.
… que serait «Barbara» sans
son interprète principale ? Nina Hoss, prix d'interprétation au Festival de
Berlin 2007 pour« Yella »(film du même réalisateur flirtant avec le
fantastique), fait à nouveau des merveilles dans un rôle qui amène
malheureusement peu d'empathie. Elle est l'âme du film de Christian Petzold,
celle par qui la dénonciation d'un totalitarisme se fait concrète, stigmatisant
dans ses actions les pires exactions d'un système : amours et carrières
brisées, envoi en camp de travail forcé, criminalisation du suicide... Elle est aussi celle qui hésite, entre devenir un
monstre ou garder son humanité, entre un avenir dangereux et l'amour d'un
métier et d'un peuple. On aimerait la voir plus souvent sur nos écrans
français...
film strano e visionario, con un protagonista che a tratti sembra Antonio Rezza e un capo della polizia quasi cieco che sembra arrivare da "Stranamore" di Kubrick. divertente, inquietante, folle, satirico, assurdo e tanto altro. un piccolo capolavoro, senza capo né coda, forse - Ismaele
Dire cheThe Nine Lives of Tomas Katz (2000)
è un film scombiccherato è dire un eufemismo.
Nelle intenzioni
del regista Ben Hopkins nato a Hong Kong nel ’69 e poi trasferitosi in terra
britannica per gli studi, c’è quella di inscenare una variazione sul tema
dell’apocalisse (importante notare la data di produzione) edificando il film in
un continuo susseguirsi di situazioni paradossali intrise di humor
specificatamente inglese...
Quasi
annunciato sinistramente da un'eclisse solare, un misterioso straniero - forse
un extraterrestre - fa il suo ingresso a Londra, confondendosi tra la folla,
assumendo a piacere l'aspetto di chi incontra e innescando una drammatica
sequenza di disgrazie che conducono, letteralmente, alla biblica apocalisse.
L'uomo - o la creatura - che si presenta con il nome di Tomas Katz, deve essere
fermato prima che sia troppo tardi (...ha già sconvolto il traffico nella
città, dirottato la metropolitana e perfino fatto scoppiare una guerra
sostituendosi in Parlamento ad un ministro guerrafondaio), ma la sola persona
in grado di seguirne le tracce è un ispettore cieco il quale, convinto che si
tratti dell'incarnazione di un demone astrale, tenta di combatterlo con le arti
dello spiritismo. Ma Katz prosegue indisturbato nel suo cammino di morte fino a
proclamare - novello Dio mascherato da funzionario della sicurezza - l'inizio della
fine del mondo dagli schermi della televisione.
Grottesco e visionario alla maniera di un film di Buñuel,
irriverente e provocatorio come le migliori prove dei Monty Python, The Nine
Lives of Tomas Katz è una inquietante storia di "fine millennio" che sa
cogliere atmosfere e tendenze paranoiche ed autodistruttive della società
contemporanea raccontandole sulle righe di una metafora surreale. Applaudito
dalla critica anche per la bella fotografia di Julian Court, il film è stato
presentato in Italia alla XXI edizione del Fantafestival. Titolo tedesco Die
Neun Leben des Tomas Katz e francese Les 9 vies de Tomas Katz.
This has to be one of the strangest films of the
year,a weird apocalyptic vision shot in the most mundane of London
surroundings, with all too obvious budgetary constraints pushed asunder bythe sheer energy of the director's imagination.
An extra-terrestrial, looking like an
early 19th century bagman, materializes near the M25 and hails a cab. Soon
afterwards he has exchanged his appearance to that of the cabbie, then assumes
the body of a passenger, the Minister of Fisheries, and in that persona causes
havoc at an international conference, unleashing war in the Far East. Later,
having taken charge of the London Underground he reorganizes it to transport
dead souls.The only person who has any inkling of what
is going on is a blind senior police officer with a Ouija board and a more than
passing acquaintance with astral planes…
Shot
completely in black and white,The
Nine Lives of Tomas Katzseems
to want to be an homage to various films, most notably Kubrick'sDr. Strangeloveand its take on Doomsday. Mind you,
the film has many more zany and off-the-wall segments than any film in recent
memory, poking fun at politics and at our modern society in all its dizzying,
silly ways, mixing biblical end-of-the-world conceptions with modern ones.
Unfortunately, it's hard to keep up all this burlesque and pointed stabs at the
same fast rate over 90 minutes, and there are some obvious slow downs. The
comparison to a Monty-Python film, with various sketches knitted together is
also valid, and again some scenes work better than others. Still, though the
story occasionally bogs down a bit,The
Nine Lives of Tomas Katzremains
an entertaining and very imaginative, original, and madcap adventure to the end
of the world.
A
great absurdist surrealist comedy from the UK. A being emerges from the sewer
on the day of a solar eclipse and starts the apocalypse. Only this isn't raging
fire and brimstone or a comet, but chaos. He exchanges personalities with
various people and antagonizes the system and reality, shutting down the London
Underground by turning it into a cult and passage to the afterlife, policemen
report window conspiracies, fishery ministers declare war, the government's
assets are transferred to an old man's bank account, a talk show spouts random
nonsense about the situation, a man with god-like powers makes things
disappear, etc. A blind policeman tries to stop this through the astral plane.
The cinematography shifts chaotically from MTV to silent film, the soundtrack
changes from middle-eastern chants to trance, and people get stuck in a
film-loop. The atmosphere is as if David Lynch were filming absurdities instead
of nightmares. Fascinating and amusing.
la fine di una storia e l'inizio, manca la parte intermedia, ma ciascuno la può intuire. bravissimi Ryan Gosling e Michelle Williams (qui è una bravissima Wendy), sempre dentro i personaggi, sembra quasi un documentario, loro "sono" Cindy e Dean. un po' mi viene in mente "Once", per via della chitarra, un po' "Shame", Michelle Williams sembra la sorella diCarey Mulligan. da non perdere - Ismaele
…“Blue
Valentine” è un capolavoro del privato. Perché quando si raccontano storie o
eventi straordinari è più facile risultare “spettacolari”, ma il vero plauso va
– e deve andare – a chi è capace di rendere l’ordinario speciale e
indimenticabile. Ed è proprio quello che fa il “Blue Valentine” di Derek
Cianfrance. Cindy e Dean sono due persone normali, con una storia più o meno
normale di quelle che è toccata o potrebbe toccare a ognuno di noi. Eppure
questa normalità ci entra dentro ed esplode come una bomba, illuminandoci e
ferendoci clamorosamente al tempo stesso.
Perché e come è possibile
che un grande amore finisca? Succede con il tempo o accade in un giorno
particolare, in un momento preciso? E poi, è possibile ritornare indietro o
quando ci si perde la strada è inevitabilmente segnata? “Blue Valentine” ci
porta dentro tutte queste domande e soprattutto ci lascia senza risposte. O,
peggio, con tutte quelle possibili.
Solo di una cosa non resta
nemmeno un dubbio: la straordinaria bravura di Ryan Gosling e di Michelle
Williams capaci entrambi di ipnotizzare, frame dopo frame dopo frame, chiunque
li guardi e chiunque li ascolti.
In sostanza, uno film
splendido che non dovete assolutamente lasciarvi sfuggire.
… Film depressivo fino al midollo, dove la routine del quotidiano
logora ogni passione, e ogni frase può essere usata come un’arma contro
l’altro, è invece emotivamente più complesso. Piace tanto,Blue
Valentine, perché, nonostante tutta la parte finale sia una discesa
in un incubo realista, ci fa comunque vedere cose bellissime, rese ancora più
preziose dal rapporto che hanno con gli orrori della vita che non ci vengono
risparmiati. Perché affiancato all’immagine di un uomo che piange disperato,
c’è un tip tap improvvisato sulle note di un ukulele nel cuore della notte.
Momenti di bellezza unica, di amore puro, intoccato, schegge di
romanticismo altissimo e mai melenso: perchéBlue Valentineè, paradossalmente, una celebrazionefinaledell’amore. Ci piace,Blue
Valentine, nonostante ribadisca brutalmente cheyou
always hurt the ones you love, e non possiamo farne a meno. Ci
piace perché, nonostante tutto, alla fine ci sono i fuochi d’artificio.
… la beauté de ce film
réside dans sa transposition de la réalité et sa justesse. Rien n’est surjoué.
Cette situation de couple est tellement plausible, qu’elle en devient réelle à
l’écran et renvoie à nos angoisses et doutes quant au travail du temps sur
l’unité que peuvent former deux êtres… idée qui se reflète dans la chanson que
chante Dean à sa belle au yukulele : « You always hurt the Ones you love »…
Loin d’être une comédie romantique, c'est une histoire de couple tragiquement
juste que nous propose Derek Cianfrance, un "Blue Valentine" qui
restera longtemps en mémoire de ceux qui auront la chance de le voir.
una storia verso la verità, rischiando tutto, uno dei film migliori di Ralph Finnies. e Rachel Weisz non è da meno. un film che ti tiene incollato fino all'ultimo minuto, il racconto va avanti e indietro, ma si segue benissimo. non trascuratelo, vale davvero il tempo che gli dedicherete - Ismaele
…"The Constant Gardener" begins with a strong, angry
story, and peoples it with actors who let it happen to them, instead of rushing
ahead to check off the surprises. It seems solidly grounded in its Kenyan
locations; like "City of God," it feels organically rooted.
Like many Le Carre stories, it begins with grief and proceeds with sadness
toward horror. Its closing scenes are as cynical about international politics
and commerce as I can imagine. I would like to believe they are an
exaggeration, but I fear they are not. This is one of the year's best films.
…The constant gardener est
un film qui est beau, graphiquement, avec une photo magnifique rendant hommage
aux paysages africains, à leur âpreté et à la sécheresse environnante. Mais
c’est aussi un film dur, terriblement dur, dans un monde où le mensonge et la
duperie règne en maître, un monde où les actes infimes et sans conséquences
apparentes, entraînent des drames épouvantables. Mais il se révèle être aussi une magnifique déclaration
d’amour…à titre posthume. Du grand cinéma, véritablement du 7 ème art.
…The Constant Gardenerdisturbs, lingers in
the mind, for its images of Africa, images of corporate thuggery, images of
well-meaning people drowning in their own self-deception (Woodrow), for its
inner look at the machinations of imperialism with its mendacious servants, and
so forth. Society is in deep crisis, and cinema is called on to continuously
address this fact.
The
Constant Gardener(2005), one of the best films of the past
decade, has had numerous admirers, but because of its many themes, it has been
viewed, and criticized, from a number of different angles. Based on John Le
Carre’s 2001 novel of the same name, the film can be variously experienced as
primarily a mystery/thriller, an expose of the pharmaceutical industry, an
expose of Western statecraft’s subservience to globalized capitalism, or a love
story, depending on one’s predilections. In fact the task of taking Le Carre’s
typically intricate novel of 550-plus pages and somehow fashioning an
entertaining, not to mention comprehensible, two-hour movie out of the material
must have been daunting. But I would say Brazilian director Fernando Meirelles
was definitely up to the task, and he made superb choices to create something
special – a gripping cinematic story that has a reflective philosophical motif
at its core. Meirelles had already attracted international intention with his
spectacular previous outing,The
City of God(2002), which was
a startling, visceral drama about crime in the Rio de Janeiro suburban slums.
WithThe Constant Gardener,
his first English language film, he displayed further mastery and an impressive
new expressive dimension…
…At the end of the film while awaiting his
grim fate, Justin soliloquizes aloud to his departed Tessa, "I know your
secret now". That secret was Tessa's feeling of engaged compassion towards
the entire world. Justin had moved in the film from the withdrawn world of the
gardener, to the passionate embrace of his beloved, and on to that level of
comprehensive compassionate engagement. We need to do that in a more inclusive
fashion and think about empathy in a wider, social context. PerhapsThe Constant Gardenermay be a little bit helpful in getting
us to think and feel along these lines.
un piccolo capolavoro,
sconosciuto ai più (se ricorda qualcuno a me ricorda Douglas Adams), pieno di
invenzioni e di umanità.
ogni parte del film ti stupisce, senza effetti speciali, ma con una fantasia
grande e speciale, e ti affezioni ai personaggi del film, davvero.
da non perdere, ku - Ismaele
QUI e QUI il film completo (con sottotitoli in
inglese)
… cosa rende così stramaledettamente
alieno e inedito Kin Dza Dza? Sicuramente gli abitanti di Pluk
contribuiscono molto, con la loro follia dilagante, le loro manie, la loro
delirante esclamazione “Koo!” e la loro struttura sociale basata sul niente. Ma
può bastare così poco? Assolutamente no. Il segreto del film è, molto
probabilmente, in quel mix emotivo che trapela da ogni scena: si ride di brutto
ma sempre con mestizia. Serenità e malinconia, umanità e disumanità, glacialità
e partecipazione, comicità demenziale e addirittura angoscia convivono assieme
e, mescolandosi, rivestono ogni cosa rendendola nuova. Ed ecco che un film di
fantascienza così, non l’avete visto mai. Correte a recuperarlo, è una di
quelle cose da non perdere.
…Gli spettatori del film riconoscevano nella società di Pluk una parodia
grottesca di quella sovietica. I poliziotti di Pluk non fanno che chiedere
soldi. Le persone sono rigidamente divise in due caste, i ciatlani (prevalentemente
privilegiati) e i pazachi (rassomiglianti ai comunisti e ai
non aderenti al partito). Mentre tutti erano capaci di telepatia, ingannavano
gli altri mentendo nei pensieri. Questo fatto, e il fatto che molti a Pluk
affermassero di amare il capo del planeta, Pe-Gè (ПЖ),
facevano venire in mente la realtà sovietica.
Il regista Georgi Daneliya nelle interviste ha sempre affermato di non
avere avuto lo scopo di riflettere l'URSS, ma
piuttosto di immaginare che cosa succederà se il mondo andrà avanti. Daneliya
dice scherzando che molte cose si sono avverate, come la divisione in pazachi e
ciatlani, o la lingua che si semplifica sempre più (vedi sotto).
Kin-Dza-Dza è rapidamente diventato un film cult tra i
giovani nell'URSS. Certe parole e molte espressioni vengono citate tuttora.
Molti di quelli che erano collegati ad Internet nell'ex URSS riportarono una
forte impressione del film, al punto tale che tuttora uno dei saluti comuni
nelle chat, soprattutto in IRC, è ku (russo
"ку")…
… La sceneggiatura è stata riscritta molte volte, sia prima, che durante e
dopo riprese.
Durante le riprese Konstantin Ustinovic
Černenko divenne capo dello stato, e nella parola
"ku" i censori videro le sue iniziali (K. U.) e dunque ritennero che
il film potesse irriderlo. Mentre il regista stava inventando una nuova parola
da sostituire ("ko", "ka", "ki"), il capo dello
Stato morì e la necessità decadde.
Il successivo capo dello Stato, Gorbačëv,
promosse una campagna contro l'alcolismo, e il regista
dovette riscrivere e rigirare alcune delle scene del film. Inizialmente il
personaggio di Ghedevan teneva infatti una bottiglia di alcol georgiano
prodotto a casa. Secondo la sceneggiatura originale erano capitati sul planeta
Alfa invece della Terra perché si erano ubriacati. Il regista cambiò la parola
"alcol" con "aceto" e rigirò alcune scene…
Ah, Soviet socio-political satire, ah
Russian dystopia. Could anything be greater than a combination of both, in
movie format? Unlikely, says Kin Dza-Dza! – a minimal and
clever sci-fi masterpiece from the ’80s. Written and directed by revered
director Georgi Daneliya, this film from my early years was only allowed to see
the light of day thanks to its creator’s reputation. The plot revolves around
the story of two oddballs who accidentally teleport to the mysterious planet
Pluk in the Kin Dza-Dza galaxy. Fiddler and Uncle Vova unwittingly activate a
device belonging to a hobo who claims to be an alien, and the fun begins.
Pluk’s inhabitants are a strange bunch;
far advanced in technology, though scarcely evolved socially, with command of
only a 2-word vocabulary. They look exactly like humans, have the power of
telepathy, yet use a tool that divides all being into two groups – superior and
inferior. Uncle Vova and Fiddler have many interesting encounters in store, and
much to overcome if they’re ever to make it home.
Kin Dza-Dza! is rich with [not
entirely subtle] critique of Communism and the poignant bitter humor I expect
from Soviet Era films along with crunchy puns, rust, dust, and a Mad Maxy
landscape throughout. Steampunk costumes and gadgets make appearances and are
actually utilized in a way that makes sense! It’s a shame this Russian cult
favorite isn’t better known – I deem it worthy of the pickiest sci-fi fans,
provided they can get past the complete lack of any special effects.
opera prima, o quasi, di Santiago Mitre, già (giovane, del 1980) sceneggiatore, tra l'altro, di Pablo Trapero in "Carancho" e "Elefante Blanco". il film racconta l'ascesa di un giovane studente nel potere politico universitario, nell'Argentina di questi tempi (o di qualsiasi paese, in qualsiasi tempo), Roque, un giovane capace di capire e destreggiarsi nella babele dei gruppi, fino a essere cooptato in alto e dover scegliere. un buon ritmo e una storia universale, declinata in modo nuovo, non ti fanno distrarre fino alla fine, merita, merita - Ismaele
…¿Por qué (es una pelicula) inteligente? Por dos razones.
1º:El estudiantees como un western, mejor dicho, como aquellos westerns «de causa mayor». Esos donde el héroe, presentado como un tipo sin excesivas convicciones y que suele conseguir lo que quiere, se ve envuelto en algo superior a sus deseos y abandona sus motivaciones principales por una causa mayor. Hay miles, desde Tourneur (Great Day in The Morning), hasta Peckinpah (Wild Bunch). EnEl estudiantela causa «menor» son las chicas y la «mayor» es la política. El protagonista, Roque (Esteban Lamothe, de gesto torcido y poderoso, conocido ya enHistorias extraordinarias,CastrooTodos mienten), tras saltar un poco de cama en cama termina cayendo en la de Paula (Romina Paula, la gélida, hipnotizante y cegadora presencia en las películas de Matías Piñeiro), que pertenece a una agrupación política en la universidad (Brecha), y queesabsolutamente la chica por la que cualquiera se dejaría meter en política (en esta película los personajesson, noestán). No sólo Roque cambia de objetivo sino que la película lo hace: entre la descripción y la narración encadenada más propia de unthriller, empezamos a perder de vista a Paula, empezamos a ver más a Acevedo, líder político admirado (¿y amado?) por Paula. Lo inteligente en todo esto es que en ningún momento sabemos si tanto Roque como la película están tirando un farol, si en realidad no dependerá todo constantemente de Paula. Aún cuando parecemos estar sumergidos en la política, nos preguntamos ¿no se lo estarán jugando todo con un farol? Se lo juegan, sí, y encima ganan.
2º:El estudiantees una película infiltrada. Ante la falta de medios, ¿cómo hacer una película sobre la actividad política? Filmando poco y bien. Filmando con teleobjetivo, siguiendo al personaje de lejos, pues no se pueden hacer muchas tomas, aprovechando la realidad de la universidad e introduciendo a los personajes en ella. Los pobres pueden ser los ricos (la película también va un poco de esto)…
…Santiago Mitre, qui tourne là son premier long-métrage, édifie son
œuvre avec intelligence et subtilité. « El estudiante » est un film long,
bavard et dénué de projet esthétique ; une voix off désagréable vient de temps
à autres fournir des précisions sur les événements ou les changements dans le
caractère de Roque, venant alourdir inutilement le récit ; et les multiples
tours et détours du scénario, entre références à l’histoire politique argentine
du XXe siècle et démonstrations stratégiques au sein des mouvements étudiants,
pourraient laisser quelques spectateurs en arrière. Ce serait dommage. Car
Mitre puise dans un vaste champ référentiel qui va du style documentaire, avec
une caméra portée à l’épaule, au cinéma militant, tourné avec trois francs six
sous, en passant par une stimulante mise en relief des paradigmes politiques.
Citer Machiavel et Rousseau n’a rien de gratuit dans un film qui, non content
de se poser comme une œuvre militante, a été produit et tourné de façon
quasiment clandestine : production menée par la propre société de Mitre, 30 000
dollars de budget, absence de subventions de l’État, aide bienvenue de
l’Université de Buenos Aires et des mouvements étudiants, prises de vues
sauvages dans les couloirs de la fac, tournage étalé sur sept mois au gré des
disponibilités des comédiens et des locaux… Voilà une œuvre dont la forme et la
genèse font efficacement écho à ses thématiques... da
qui
…Sin develar nada más de la trama, esta
película tiene un excelente ritmo que nunca se pierde. La definiría como un
Thriller dramático Político-Estudiantil (jeje), donde además hay momentos
simpáticos y cómicos. Con un guión muy notable, donde abundan los diálogos,
muchos de ellos muy cuidados y precisos, sin fisuras.
Es realmente muy buena, buen trabajo de
dirección, la tensión se mantiene durante todo el filme, y siempre estas
esperando que pase algo. Los 124 minutos que dura, no se sienten para nada. En
términos generales, Mitre nos muestra en un “pequeño” escenario (la
universidad), algo tan general como son las relaciones de poder y todo lo que
esto incluye…
…El Estudianteretoma la
idea de un cine político dentro del sistema independiente. A partir de la
espectacularización de la vida política, el film apela al sentido de la
hiper-emotividad, generando un juego de identificación con el espectador de
modo directo. Con lo emotivo se pierde la eficacia del cine crítico-político y
de debate, pero se gana un éxito de audiencia y crítica. Por eso, el triunfo
del film (articulado en las bases del modelo trágico genérico) es el triunfo de
la emotividad del espectador.
Ahora bien, ¿dónde está la
eficacia política de un texto? ¿En sus contenidos o en sus mecanismos de
articulación del film? Si las funciones están asignadas, ¿dónde queda la
indeterminación o el desvío que funda lo político en el cine de los noventa?
Una obra que no permite ambigüedades en un relato cerrado limita la
responsabilidad interpretativa en manos del espectador. Quiérase o no, tanto en
ficción como en documental, todo film es un gesto político en tanto productor
de sentido.
un film coraggioso e forte, Kassovitz è sempre più bravo, come regista e come attore. qui racconta una pagina nera (delle tante) della storia coloniale francese, dell'altro giorno, si può dire. il mediatore va a risolvere problemi e a salvare delle vite, ma la ragione di Stato vince e uccide, e crea i nemici futuri. Kassovitz ci mostra subito come finisce la storia e poi (di)mostra come ci si arriva. non ti annoi un attimo, da non perdere - Ismaele
…Girato con un
piglio tutto internazionale a testimoniare la maturità di Kassovitz nel
trattare una materia poco familiare al cinema francese, il film è stato al
centro di non poche polemiche tra il suo autore e le istituzioni. Boicottato e
accusato di riaprire ferite ormai cicatrizzate Kassovitz apre uno squarcio poco
piacevole sulla politica coloniale francese disposta, per ristabilire l'ordine
e la morale del titolo, a sacrificare vite umane e a diffondere notizie non
veritiere sui fatti. L'epilogo drammatico frutto di un escalation di violenza
sostenuta da necessità politiche e incoraggiata dalle forze militari fanno da
sfondo alla vicenda personale e umana del capitano Philippe Legorjus interpretato dallo stesso regista che si trova
ad essere al centro di un'intricata rete di potere in cui ogni buon senso verrà
sacrificato alla ragione di stato. Un film tutto al maschile che tenta di
ristabilire la verità di fatti avvenuti quasi un quarto di secolo fa in una
terra che pochi sanno dove si trovi esattamente…
…Encore une fois, Kassovitz
sait parfaitement user de son sens du montage pour mettre en lumière les
rouages de la manipulation politique comme le désarroi de son personnage, mais
il oublie de diriger ses comédiens, pour leur plus grande majorité, amateurs
(les grands acteurs tels que Philippe Torreton et Sylvie Testud, n’effectueront
que des caméos de quelques minutes). Il est en effet regrettable qu’un film si
maîtrisé pêche finalement par des interprétations qui laissent à désirer. Ainsi,
notamment au début, la plupart des interlocuteurs de Legorjus sont peu
convaincants et nombre de répliques solennelles typiques de l’armée sonnent
faux. Heureusement, la virtuosité de la réalisation
estompe cette impression à mesure que le metteur en scène nous emmène au cœur
des événements. Mais
ce défaut nuit considérablement à la mise en place du récit. « L’Ordre et la
morale » n’est donc peut-être pas à la hauteur des premières perles déjà
réalisées par Mathieu Kassovitz, mais il marque indubitablement le retour sur
le territoire français d’un de ses plus grands réalisateurs.
…Kassovitz chooses to tell the
tale in a straightforward manner, moving through the events with a strict
timeline, chronologically, moving between the hostages in Polynesia and the
politicians in Paris. He also takes a single and definite position on events,
both playing and sympathising with Capitaine Philippe Legorjus, the GIGN
negotiator hamstrung by politics and gung-ho army officers. Kassovitz is firmly
on the side of the liberals, seeing the attack on the hostage takers as clumsy,
the violence unjustified, and the results as a scandal. Stylistically, the
movie is similarly straightforward - the only innovation a very elegant and
subtle flashback scene where a hostage explains to Philippe how the initial
kidnapping took place.
All that seeming
straightforwardness should not detract from the genuine power of the film. It
was utterly compelling - had me on the edge of my seat - even though I had been
forewarned of the conclusion. Even when it turns into a military thriller in
the final segment, the movie never looses its profound concern with the
politics of imperialism and the expediency forced by the electoral cycle.
…"L’ordre et la morale"se veut un film de
personnages face à une situation extrême. Par un certain côté didactique, pour
le sujet inédit, il nous en apprend beaucoup, mais le sujet est dépassé par des
notions de pur cinéma.Mathieu
Kassovitz maîtrise les outils et artifices, et il sait quand les
utiliser. Ainsi, il va créer une zone de flottement que peu de cinéastes
avaient réussi à capter jusque là, un lieu de l’esprit où l’âme du héros et
narrateur s’évade pour philosopher. Et ce sans que jamais cela ne fasse tâche
sur les images, grâce à une merveilleuse justesse de ton.