mercoledì 16 ottobre 2024

I quattro dell'apocalisse - Lucio Fulci

un film sorprendente, sembra un film a episodi, in realtà è una storia unica, con i quattro disperati e un'ultima parte sorprendente e commovente.

appare anche Tomas Milian, nel ruolo di un cattivissimo.

non perdetevi questo film, sceneggiato anche da Ennio De Concini, se mai capitasse, per sbaglio. in qualche canale tv.

buona (maschile) visione - Ismaele


 

 

Fulci segue le orme di Sam Peckinpah e dei suoi western rivoluzionari ed anarchici: addio antiche faide tipicamente a stelle e strisce tra indiani e cowboy; basta duelli frontali a mezzogiorno in punto, baciati dal sole a picco e coperti dalla polvere e dal sudore; basta lotte di liberazione in favore del popolo messicano e alla loro causa rivoluzionaria; addio trielli e piani messicani tesi, adesso si dà voce agli emarginati, alle figure che da sempre popolano il sottobosco western ma che non hanno mai avuto ruoli alla ribalta. Il protagonista, Stubby, è l’antieroe guascone e romantico, che da perfetto baro bugiardo compie, attraverso l’arco narrativo del film, il suo viaggio interiore fino a trasformarsi in un eroe atipico, un “cavaliere pallido”, un giustiziere solitario dalla morale ambigua che prende il sopravvento sull’antagonista effettivo della pellicola, Chaco, caratterizzato da Milian come una sorta di rockstar maledetta dotata di un fascino perverso e magnetico tanto da rubare la scena al personaggio di Stubby/ Testi, almeno finché i due compaiono insieme.

La sceneggiatura fu scritta da Ennio De Concini, che si ispirò ad una serie di racconti del 1868 pubblicati da Francis Brett Harte con il titolo di The luck of roaring camp.

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…La scena per me più bella non è però legata a torture, spari o morte, ma al loro opposto. La nascita di Lucky, che la prostituta Bunny porta in grembo, è un momento emozionante, il momento che rende il film morte e vita insieme. Il villaggio di montagna, abitato solo da uomini in cerca d'oro con più di un problema con la giustizia alle spalle, si stringe attorno al parto, i freddi e disillusi minatori ritrovano la loro umanità e un sincero affetto verso il neonato che li porterà ad adottarlo. 
Un western che fonde così bene tanti aspetti, sfumature e contorni non può passare inosservato, né essere bollato come prodotto di scarso valore. Anzi, è un film da scoprire e custodire. Non a caso inserito nella retrospettiva sul western all'italiana tenutasi a Venezia.

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Imperfetto, erratico, indeciso; eppure il film possiede una sua indubbia malia. A causa, forse, di quelle languide melodie folk? Per la simpatia che ispirano i personaggi, tutti emarginati o diseredati o freak? Oppure per i temi del viaggio e della perdita che soffondono la storia d'una tenera malinconia? Fulci non risparmia scene forti, ma tutto è ammorbidito, come se lo si osservasse dalla lontananza del ricordo. Adeguati tutti gli attori; un plauso alle presunte seconde linee dei Lastretti e Corazzari, volti degni del western maggiore.

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Un giocatore d'azzardo, una prostituta, un alcolista, un nero medium sono in prigione e sfuggono allo sterminio dell'intera cittadina. Inizia poi il viaggio dei quattro, lungo il quale incontrano Chaco (Milian), un messicano apparentemente amico. Il film è uno spaghetti western brutale e psichedelico (musiche simil-primi Pink Floyd) e deve molto al carismatico Milian (non doppiato), che interpreta un messicano sadico fatto di pejote. Nella versione censurata sono tagliati lo stupro e lo sceriffo scuoiato vivo. Un piccolo diamante grezzo.

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Il West di Lucio Fulci è un west malinconico ma sognante, delirante quanto dolce. Allo stesso tempo sa essere incantevole come un sogno, come un altrove che tutti vorremmo, ma sa anche essere spietato e triste come un’inferno dal quale scappare. Anche la colonna sonora e le sue canzoni anacronistiche, incidono sul film come in poche altre occasioni, e sanno creargli quel lirismo difficile da raggiungere, senza però scadere nella retorica di una grammatica ricattatrice. Come in “Pat Garret and Billy the Kid” del Maestro Peckinpah, omaggiato da Fulci nella iperrealistica sparatoria iniziale a Salt Flat, anche ne “I Quattro dell’Apocalisse” ci troviamo in un west malinconico, e come in tutte le malinconie c’è un qualcosa di sensuale che richiama l’abbandono dei sensi, i piaceri dell’alcova più intima e segreta. Quei sogni ad occhi aperti, dell’adolescenza più sognatrice, dove le passioni e le pulsioni sessuali sono irrefrenabili e ci si sente sempre come ubriachi buttati sotto il sole di luglio. C’è un piacere, un orgasmo silenzioso e lento, che pervade tutte le scene, tutte le inquadrature, grazie alla sapiente fotografia e alle intuizioni registiche di Fulci stesso.
“I Quattro dell’Apocalisse” è un sogno che vira nell’incubo più volte, ma preserva sempre lo status di altrove onirico in cui tutto e possibile, e in cui ogni sensazione è provabile.

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Molto buono: Lucio Fulci realizza un western in cui il Mito dell'West (classico o post-leoniano che sia) viene smitizzato, a partire dai personaggi.

I/la quattro dell'Apocalisse indicati/a dal titolo, infatti, non possono essere considerati eroi/na, e l'omissione del termine "cavalieri" sembra quasi evidenziare tale aspetto: infatti i/la protagonisti/a di questa opera sono un ubriacone, un nero mezzo pazzo, una prostituta incinta e un baro appena scarcerati/a. 

 

A loro si oppone, per carisma e ferocia, il personaggio di Chaco, un personaggio tanto carismatico quanto sadico: in alcuni momenti sembra quasi una sorta di figura messianica (la scena in cui droga i/la protagonisti/a ricorda, almeno al sottoscritto, una sorta di "eucarestia" blasfema, accentuata dai movimenti 'manuali' della macchina), in altri rivela una spietatezza quasi inumana (la scena in cui si mostra il risultato della strage della carovana cristiana incontrata precedentemente dal quartetto è spiazzante, specialmente per la presenza di vittime infantili), ma alla fine, di fronte all'approssimarsi della Morte, è la codardia e la bassezza che prendono il sopravvento, ridimensionando notevolmente quello che può essere considerato l'unico personaggio davvero "mitico" (in quanto è l'unico che segue davvero i codici dettati dal Genere) del film.

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