mercoledì 25 gennaio 2023

The idol - Hany Abu-Assad

Mohammed ha un dono, una voce angelica.

nella prima parte con la sorella e due compagni forma un gruppo, sono ancora bambini, ma sono a Gaza, poi la sorella muore...

nella seconda parte il giovane Mohammed tenta l'impossibile, partecipare a un talent, Arab Idol, e tra mille vicissitudini e colpi di fortuna riesce anche a vincere.

diventa un simbolo e un ambasciatore di Gaza nel mondo, alla faccia dei razzisti israeliani.

buona (musicale e anti-apartheid) visione - Ismaele

ps: di pochi anni fa è anche un bel film mongolo, nel quale un ragazzino tenta la fortuna dei talent per cantanti e riesce ad arrivare in finale a Ulan Bator.

 

 

 

Nonostante le interessanti premesse poste nella sua prima frazione, The Idol scivola tuttavia successivamente, e nel modo peggiore, su una retorica d’accatto e di scarsa presa emotiva, che non riesce a far scattare l’empatia e dà per scontata l’adesione dello spettatore alla vicenda che trova rappresentata sullo schermo. La sceneggiatura mostra fin dall’inizio la tendenza a presupporre troppo sul piano della partecipazione empatica, facendo già nella prima parte un uso eccessivo delle ellissi narrative (che in certi casi si traducono in veri e propri buchi di trama) per descrivere l’evoluzione della vicenda; nella seconda metà del film, tuttavia, questi difetti si aggravano oltremodo, componendo un racconto schematico, arduo da accettare nelle sue premesse e nel suo svolgimento, privo di credibilità e sostanza narrativa…

da qui

 

Hany Abu-Assad decide di rappresentare sullo schermo il problema palestinese attraverso una commedia musicale, nella quale, se si presta la giusta attenzione, si ritrovano le difficoltà, i soprusi e le ingiustizie alle quali sono costrette quotidianamente le persone di Gaza, ma lo fa tratteggiando una storia semplice, una favola, attraverso il sogno che la passione e il talento siano in grado di rompere i muri, di essere più forti del filo spinato e delle bombe, che la musica sia in grado di creare unione, che il soave canto di Mohammed sia capace di amplificare la voce di un popolo schiacciato e farla risuonare forte e chiara al di fuori della gabbia palestinese. Purtroppo questa impostazione favolistica ha spesso l’effetto di togliere spessore al personaggio: Mohammed non ha mai una reale difficoltà: ne incontra nel corso del suo cammino, ma sono tutte all’acqua di rose, risolte secondo modalità poco probabili, specialmente in tale contesto. Questo non fa altro che creare problemi di empatia con il protagonista. Certamente una scelta, probabilmente dettata dalla volontà e dalla necessità di creare un’opera accessibile a tutte le fasce di pubblico, che alimenti la speranza di un possibile cambiamento, anche attraverso forme di spettacolo appartenenti a valori culturali antitetici.

da qui

 



canta il vero Mohammed:

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