lunedì 4 luglio 2022

Patty Hearst – Paul Schrader

Patty Hearst fu rapita dallo SLA (l’Esercito di Liberazione Simbionese), e divenne una loro compagna e guerrigliera.

Paul Schrader si cimenta in uno dei pochissimi film che ha girato senza averlo prima sceneggiato.

è un film che si mette nei panni di Patty, senza dare giudizi.

erano anni in cui negli Usa i movimenti antagonisti, anche armati, erano numerosi e con un certo seguito popolare, escludendo l'FBI.

non è il film migliore di Paul Schrader, ma i suoi film non migliori sono bellissimi (e gli altri sono capolavori).

buona (rivoluzionaria) visione - Ismaele

 

 

 

 

 

I personaggi di Schrader sono spesso così: sfuggono ad ogni piacevole identificazione o facile approvazione morale. Sono scomodi, riflettono la confusione contemporanea, una moralità idiosincratica. Per la prima mezz’ora del film, mentre l’identità di Patty si sgretola nel buio dello stanzino in cui è segregata, dei membri del commando non vediamo che le silhouette affacciate alla porta. Vittima e carnefici condividono un unico obiettivo: l’autorealizzazione, intesa come il bisogno di realizzare a pieno le proprie potenzialità, le proprie capacità. Di estrofletterle, di portarle nel mondo, di trasformare la potenza in atto. Non senza manipolazioni, come si diceva, senza (auto)convincimenti e (auto)focus, entrando in una pericolosa relazione con se stessi e con gli altri, attraverso la performance. Ecco perché durante l’ultima parte dell’opera, dedicata al processo, il pubblico ministero chiede alla ragazza se stesse recitando o meno durante la militanza nello SLA. L’incipit del film, con quell’estratto di voice over che apre questo breve approfondimento (tratto a suo volta dall’autobiografia della donna) è a tal proposito una vera e propria dichiarazione d’intenti. Un crane shot riprende Patty (Natasha Richardson) mentre cammina nel mezzo di una folla di studenti della University of California, a Berkeley. Per un attimo la sua figura si perde indistintamente tra i corpi dei tanti studenti, per poi riemergere quando la macchina da presa scende verso terra. La voce di Patty accenna ad un’infanzia normale, da privilegiata molto sicura di sé, una che fa piuttosto che pensare, un’atleta più che uno studente, un essere sociale più che un solitario. E’ il caso, l’ignoto (the unknown nella dicitura originale) a sparigliare le carte, a far precipitare l’edificio di una personalità non ancora uscita pienamente dall’adolescenza. Ben lungi dall’essere una critica piena di disprezzo e derisione per le istanze rivoluzionarie come alcuni critici europei si affrettarono a dire all’indomani della proiezione a Cannes, Patty Hearst è un film sulla fragilità dell’identità, sull’ambiguità delle forme che finisce per assumere, sul ruolo degli atti performativi nella sua definizione. Temi che, opportunamente integrati da derive più squisitamente metalinguistiche, saranno al centro del suo cinema che verrà, negli anni Novanta e Duemila, fino a quell’ultimo capolavoro che è First Reformed.

da qui

 

The entire film centers on the remarkable performance by Natasha Richardson as Hearst. She convinces us she is Hearst, not by pressing the point, but by taking it for granted. She is quiet, a little sullen, not forthcoming. She tells people what they want to hear. During all of the tremendous excitement and passion of her ordeal, she hardly seems to be present; this is not a good time for her or a bad time, but a duty.

Schrader also avoids the temptation to make the SLA members into colorful firebrands. They come across as weak, sad people, so hidebound in ideology that they seem shell-shocked. They are all passive personalities, under the will of the leader Cinque (Ving Rhames), who uses revolutionary rhetoric but has created in the SLA a community where no one is free. It’s startling when Schrader re-enacts events we remember from TV (such as Hearst’s bank robbery) or uses actual TV news footage (of the firestorm that engulfed the SLA hideout). This whole story seemed so much more exciting from the outside.

da qui

 

...Patty Hearst non è un film “sbagliato”, ma “splendidamente sbagliato”, e questo a causa del fatto che non imbocca alcuna strada univoca, ma preferisce acuire l’ambiguità e il parossismo della vicenda, esasperando questa scelta attraverso un continuo cambio di registro narrativo: dalla farsa al dramma, passando per il surreale, dentro a un “clima” profondamente claustrofobico, trascrive (letteralmente) i passaggi essenziali della vicenda senza esprimere un giudizio. I terroristi dello SLA appaiono come una massa di “disperati” riuniti in una comune dell’illegalità in cui sesso e violenza sono ambiti interscambiabili, mentre gli ideali sono monolitici e conformisti: lo stato è fascista, i poveri dei bisognosi e i terroristi dei benefattori. Millantando la presenza (inesistente) di altre cellule Sinkiou cerca di convincere il gruppo, e se stesso, che le masse di diseredati che vivono ai margini delle periferie delle grandi città sono pronti a seguirli, mentre non solo non è così, ma gli unici aiuti che trovano vengono da immigrati musulmani, che poco hanno a che spartire con i “presunti” ideali dello SLA. Tutta la vicenda Hearst è infatti trattata da Schrader con disarmante semplicità, non tanto per una scelta irresponsabile (come potrebbe apparire), ma perché le incongruenze e le iperboli che la caratterizzano non possono trovare altra chiave di lettura se non quella del grottesco e (talvolta) della parodia…

da qui

 

Patty Hearst fue un opus extraño y aún lo es dentro de la filmografía de Paul Schrader. Claustrofóbica, oscura y pálida, la obra indaga en la transformación de una joven estudiante burguesa en un icono revolucionario, de víctima de un secuestro a delincuente buscada por la policía. Confusa y polémica, la película captó con gran profundidad la ideología revolucionaria del grupo y las transformaciones que sufrió Patty Hearst, una mujer que tras el estreno cobraría aún más notoriedad y colaboraría con el director John Waters en varios de sus films, como Cry-Baby (1990), Serial Mom (1994), Pecker (1998) y A Dirty Shame (2004).

A pesar de las críticas no muy positivas que la película tuvo en su época, mayormente producto de la incomprensión de la postura del director o de la actitud de los críticos ante la historia y el caso más que sobre el film, Paul Schrader se adentra aquí con éxito en una de las historias más incomprensibles e indefinibles de la década del setenta sobre la maleabilidad de la personalidad y la psiquis humana, cuestión que deja al descubierto la delgada línea entre el lavado de cerebro, el adoctrinamiento y la formación ideológica y política. Patty Hearst demuestra el impacto que el descubrimiento de mundos y de personalidades fuertes y fascinantes tiene en la mayoría de las personas, y el personaje de Patty es sin duda un icono de las contradicciones llevadas hasta sus últimas consecuencias. En este sentido Schrader logra reconstruir muy bien las instancias de las decisiones de una joven que nunca serán del todo comprendidas por la opinión pública para eventualmente dejar en claro que si hay algo que se puede decir sobre el ser humano es que su irracionalidad siempre va de la mano con su imprevisibilidad.

da qui

 


Nessun commento:

Posta un commento