venerdì 5 marzo 2021

La collina del disonore - Sidney Lumet

film poco conosciuto, eppure potente e con una tensione che non cede mai, anzi.

una critica spietata della vita militare e delle sue regole schifose.

la fotografia è un personaggio del film, e, come tutti, fa benissimo la sua parte.

mancano le donne, in questo film, e sarebbero state fuori luogo, è uno scontro di potere tutto maschile, fino all'ultima goccia dell'altro, senza mezze misure.

film imperdibile - Ismaele


QUI  il film completo, in inglese

 

 

Cinq cent ouvriers sont employés pour fabriquer de toute pièce la colline de dix mètres de haut qui écrase le camp de sa présence inquiétante. Lumet tourne pendant cinq semaines, sous une température de 45 degrés : les acteurs sont exténués, surtout ceux qui incarnent les prisonniers et qui doivent réellement grimper la colline sous cette chaleur écrasante. Tout cela fait que le film est d'une rare intensité, celle-ci étant bien entendu encore renforcée par les choix de mise en scène de Lumet. Le cinéaste filme au départ en 28 mm puis change de focale progressivement, passant au 21, puis au 18mm afin de s'approcher au plus près des visages et de capter la peur ou la colère des hommes perdus. Ce choix d'objectifs lui permet aussi de déformer les perspectives, ce qui renforce encore la douleur des victimes et la folie sadique des tortionnaires. Une occasion de rappeler que Sidney Lumet est un immense metteur en scène qui sait trouver d'instinct les réponses techniques appropriées aux enjeux de ses films. C'est cependant le scénario qui retient l'attention du Jury du Festival de Cannes, prix qui aide ce film radical à trouver son public en Europe, ce qui n'est pas le cas aux États-Unis où il reçoit un accueil glacial. Il est depuis devenu un petit classique et l'une des œuvres les plus réputées du cinéaste.

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Aquí Lumet recurre a su mano maestra a la hora de adaptar obras de teatro o de dar forma cinematográfica a guiones muy basados en la interrelación dialógica entre los protagonistas, talento que puede verse en el trecho profesional que va desde 12 Hombres en Pugna hasta Equus (1977), una capacidad realmente inusual en el contexto del séptimo arte porque el realizador era un especialista consumado en esto de transmitir la tensión arrolladora del material escrito/ teatral sin renunciar a la puesta en escena muchísimo más rica que habilita la pantalla grande, logrando además transportar al espectador a las temperaturas sofocantes que debió sobrellevar el elenco durante el rodaje en la locación central, nada menos que la aridez semi desértica de Almería, en España. En este sentido, resulta supremo el tramo final del metraje desde la acusación de Roberts contra Williams, pasando por la salvaje paliza, el glorioso altercado verbal entre Joe y Wilson, la “locura” y dimisión de King, y la hilarante escena en el despacho del Comandante, hasta el remate en la celda cuando se terminan de perfilar las posiciones en pugna dentro de la cárcel y parece resultar victorioso el bando del doctor y Harris, no obstante el despiadado Williams a último minuto se propone chantajear al Oficial Médico y asesinar sin más a Roberts, generando así una golpiza contra el guardia por parte de unos King y McGrath asimismo cansados de sus atropellos mafiosos al amparo de Wilson y de payasos castrenses ortodoxos semejantes, quienes se ufanan de su autoridad pero suelen convertirse en títeres del esquema enrevesado y maquiavélico de psicópatas ambiciosos y de cotillón como Williams, clásico producto del entramado hegemónico del ámbito estatal/ militar/ político/ policial/ capitalista/ cultural/ económico/ institucional de nuestros días. La enorme crueldad de estos “soldaditos de juguete”, como los llama Joe de modo despectivo, aunada al genial desempeño de Connery, Andrews, Davis y compañía, viabiliza una estupenda reflexión sobre la banalidad de las instituciones de disciplinamiento y control social, metaforizadas en una montaña del castigo ridículo símil regocijo caníbal…

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Seppur ambientato durante la seconda guerra mondiale, il film porta sullo schermo l'avversione di un'intera nazionae per la guerra del Vietnam che stava iniziando (il film è del '65). Raccontando semplicemente la segregazione di 5 persone, Lumet da un affresco della verticolità opprimente delle gerarchie militari e dell'uso sistematico e sistemico della violenza, con riflessi di vero e proprio razzismo, che sia quello verso l'uomo di colore o le presunte inflessioni omosessuali di un altro prigioniero. Lumet, con una regia assolutamente perfetta nel muoversi tra primi piani e poche stanze, da vita ad un film potentissimo senza aver bisogno mai e poi mai di calcare la mano o enfatizzare tutto con le musiche (sostanzialmente inesistenti). Insomma, un affresco brutale della realtà carceraria militare e di un mondo violento, razzista e legato alle proprie aspirazioni di comando e potere. Con almeno 3 scene memorabili: il finale (devastante e crudissimo nella sua semplicità da "fuori campo"), la sequenza della collina e della maschera di gas e infine quella dell'uomo di colore che si comporta da scimmia.

Un film che a più di 50 anni dalla sua uscita conserva tutta la sua potenza e è un altro tassello della maestosa filmografia di un gigante della storia del cinema.

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Da una sceneggiatura di Ray Rigby (cui andò il premio al Festival di Cannes del 1965), La collina del disonore è il film grazie al quale Sean Connery, dopo un esordio puramente commerciale, inizia a dimostrare le sue raffinate doti interpretative. Si tratta di un potente atto d'accusa nei confronti del militarismo, raccontato con la stessa durezza tratteggiata nel sergente, che non arretra mai di fronte a nulla. Munito di affilatissimo spunto polemico e di uno stile asciutto e funzionale, Sidney Lumet porta la storia e il destino dei suoi personaggi sino alle estreme conseguenze, rivelando la natura inarrestabile e circolare della violenza e della sopraffazione. Un'opera sentita e coraggiosa, che raggiunge nel finale inquietanti toni di disperazione (cui contribuisce la notevole fotografia di Oswald Morris). L'assenza di commento musicale priva lo spettatore di qualsiasi consolazione emotiva, lasciandolo in balia di sentimenti contrastanti. 

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…Film sorprendente e decisamente sottovalutato, che evoca molto più di quanto non dica la trama. Scritto e recitato in maniera splendida da un cast in prevalenza britannico. Non c'è ombra di musica ma non se ne sente la mancanza, ha infatti un gran ritmo per merito del tempismo dei dialoghi, del minuto intreccio di personalità e di una regia che ricorre a un montaggio più serrato e alla veloce intromissione di primi e primissimi piani per esaltare i momenti più eccitati. È anche un caso raro e opportuno di opera antimilitarista che riesce a non far spettacolo di eventi bellici. La forma è infatti quella del "prison movie" ed è proprio questa veste che, oltre ad evitare di dar soddisfazione agli amanti del giochi di guerra e lungi dall'essere penalizzante, consente una visione più articolata delle differenti mentalità e del loro significato nell'apparato militare. L'interesse in tal modo può rivolgersi non solo dicotomicamente al rapporto tra chi il potere lo esercita e chi lo subisce ma anche agli effetti che generano i diversi tratti caratteriali all'interno di ciascun gruppo e rispetto al sistema militare nel suo complesso. La cosa è particolarmente evidente se prendiamo in considerazione il gruppo di chi il potere lo detiene e lo esercita (c'è anche chi lo detiene e non lo esercita: il comandante, esempio supremo di inutilità e inconsistenza dei valori militari, passa le notti in dolce e remunerata compagnia e ogni tanto fa una scappata al campo per firmare quel che il sergente maggiore gli dice di firmare: "Firmerebbe la sua morte se gliela passassi", sottolinea Wilson)…

Ha detto Woody Allen: "In una filmografia come quella di Sidney Lumet, che comprende diversi film straordinari, forse THE HILL è il più riuscito. Di certo io lo considero uno dei migliori film americani. La realizzazione di questa storia avvincente è perfetta, dall'impeccabile performance degli attori al movimento ispirato della macchina da presa. È un'esperienza immediata e totale. Tutte le volte che lo vedo mi stupisco che un film così bello possa passare inosservato e cadere nell'oblio com'è invece successo".

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