lunedì 25 febbraio 2019

La paranza dei bambini - Claudio Giovannesi

ragazzini senza nessuno, se non loro stessi e il gruppo.
hanno un'idea di giustizia, ma non si cerca più coi pugni o con i bastoni, come nella guerra dei bottoni, ma direttamente con il kalashnikov.
la potenza delle armi è piena di fascino e di morte, ma quei ragazzini non ci pensano, o meglio il bisogno di rispetto, vittoria, amicizia, e anche amore, è più forte del rischio di morire.
gli adulti sono i cattivi esempi, crescere è molto difficile.
interpreti davvero bravi, e convincenti.
il film è ancora in sala, non perdetevelo - Ismaele






Infinite guerre, da quella di Troia in poi, sono iniziate per un dispetto, per una sciocchezza, per un gioco. Anche i bambini della paranza iniziano la loro guerra come se fosse un gioco. Si trovano in mano armi letali che non avevano mai visto prima, imparano a usarle guardando i tutorial su youtube. Come in un gioco abbattono l’albero di Natale della Galleria Umberto e lo ardono come ossessi in una folle danza tribale.  Ma è un gioco che non dà scelta né via di scampo. Vanno inconsapevolmente verso la morte a quindici anni, in un percorso breve, spesso brevissimo, nel quale concentrano una intera esistenza e perdono in fretta l’innocenza.
Il protagonista, e gli altri come lui, inizia volendo fare del bene, alla mamma e al suo quartiere, taglieggiati brutalmente dalla camorra, dove dei disgraziati pretendono il pizzo da chi è ancora più misero di loro. “Il paradosso – spiega con lucida semplicità Francesco Di Napoli (Nicola) – è che cercano di fare del bene attraverso il male”…

…Con l’ottima direzione della fotografia di Daniele Ciprì, il film racconta questa “ascesa agli inferi” che si consuma quasi con una sconcertante semplicità, in un’ascesa e declino all’interno del comando sul quartiere fatta di alleanze, di tradimenti, di attentati, di drammatiche rinunce e di ancor più drammatici epiloghi. Senza il furore né il rumore di molti film sul genere, rievocati giusto al momento di provare le armi al fiume e nella scelta di scritturare fra i boss il feticcio garroniano ed ex-camorrista Aniello Arena, i quindicenni protagonisti sono però profondamente inadatti alla guerriglia che volontariamente intraprendono, costretti a guardare tutorial su youtube per capire come usare una mitragliatrice e disastrosi nel fare inceppare la pistola e poi schiantarsi in motorino proprio nel momento in cui si dovrebbe scappare più velocemente. Più che minacciare, sparare e uccidere sembrano quasi giocare con le armi, quando si esercitano sui tetti della città, ma il loro percorso sembra lo stesso inevitabile, avviluppati come sono da una società soffocante e criminale, spietata, pericolosa e mortifera…

Giovannesi ama i suoi personaggi, profondamente, e per questo non li giudica. Li accompagna nel loro inesorabile declino lasciando che la frenesia di una scelta insensata si realizzi, pian piano, davanti ai nostri occhi, rendendo la messa in scena verosimile e credibile. La purezza che scivola via è negli occhi del suo protagonista, Nicola: quando, per un breve istante, crede di avere il potere nelle sue mani, cerca di restituire una qualche forma di etica alle sue azioni criminali: niente più estorsioni nel quartiere, un vero campetto da calcio e magliette per la squadra del fratellino, mobili nuovi e sfarzosi per la mamma. Buone azioni perpetrate attraverso il male. Ma è, ancora una volta, un equilibrio precario, illusorio, tipico di chi non conosce le regole del “gioco” – perché è proprio così che viene percepito da Nicola e i suoi amici – e di chi è troppo giovane per comprendere quanto possa essere profonda e irreversibile l’oscurità. Capirlo, per quelli che sono poco più che bambini, suona come un paradosso ma, come ci lascia intendere il finale, ad un certo punto saranno costretti a farlo. Sarà troppo tardi, ma comunque troppo presto.

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