domenica 11 giugno 2017

Il racconto dell’ancella - Volker Schlöndorff

tratto da un romanzo di Margaret Atwood, sceneggiatura di Harold Pinter, siamo in un mondo così lontano e così vicino al nostro, le donne conquistate sono animali da riproduzione o schiave o puttane, tutte attività che le padrone di casa non fanno più, si vive in quartieri protetti che neanche l'ambasciata Usa a Kabul, fuori c'è la guerra, ma non si sente niente, sembra tutto tranquillo, immutabile, sembra.

non sarà all'altezza di capolavori su storie simili, ma fa la sua figura - Ismaele





Trasposizione non eccelsa del best-seller della Atwood, malgrado la penna di Pinter alla sceneggiatura. L'opera, un'utopia negativa che si pone sulla scia di testi fondamentali come 1984 e Fahrenheit 451 (pur rimanendone ad una certa distanza), lascia tuttavia il segno. Il sistema, che punisce spietatamente ogni digressione comportamentale, è stato creato ed è retto dagli uomini che sono, quindi i padroni di tutto. Le donne, che indossino il rosso delle ancelle, o l'azzurro delle matrone, o il marrone delle istitutrici-sorveglianti, o il bianco delle novizie, sono in realtà tutte schiave dei rispettivi ruoli in una società ritualizzata in ogni sua manifestazione (esemplare il "parto-party": in una villa, una ancella sta avendo un bambino; da una parte il coro scarlatto delle compagne che all'unisono simulano le doglie, in giardino le matrone, tutte in blu, che consumano cocktail e pasticcini congratulandosi con la padrona di casa, madre "ufficiale" del nascituro)…

In un futuro prossimo, dominato dal fondamentalismo religioso di matrice biblica, quasi tutte le donne sono diventate sterili (idea che verrà portata all'estremo ne I figli degli uomini). Le poche che possono ancora procreare vengono messe a disposizione delle donne di una casta superiore, che le fanno fecondare dai mariti e allevano i figli come fossero loro (allo stesso modo in cui le mogli dei patriarchi della Genesi Abramo e Giacobbe, non riuscendo a partorire, usavano le rispettive ancelle), ma covano in cuore l’odio per quelle che sono le “vere” donne dei loro uomini. Il soggetto di questa allucinante visione antiutopistica è ottimo, lo svolgimento non altrettanto: probabilmente la principale responsabilità è del regista Schlöndorff, un po' troppo teutonico, privo della visionarietà di un Gilliam…

The world inhabited by these people looks more or less like our own. They live in suburban houses and drink whiskey in the den and plant flowers in the yard, and somewhere far away a war is raging, which they follow on television. The movie is a little vague about the conditions of the war and the society; this is not a political fable, like Orwell's 1984, but a feminist one. The purpose is to isolate, exaggerate and dramatize the ways in which women are the handmaidens of society in general and men in particular.
Childbearing is the movie's metaphor of choice. Children are seen as the rightful possession of a wealthy, powerful couple like Duvall and Dunaway, and of course adoption will not do; the male must father the child himself. The methods by which this takes place are perhaps intended as a satire on the ultimate reaches of the touch-me, feel-me movement; the wife (Dunaway) is present during conception as a sort of coach and spiritual godmother…


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