lunedì 9 gennaio 2017

Il cliente – Asghar Fahradi

Asghar Fahradi è uno che fa capolavori o film bellissimi, e quindi si perde molto chi fa le classifiche e guarda i film facendo confronti.
la storia parte lenta e poi diventa un gioco a incastri senza possibilità di fuga, per chi vede il film.
qualcuno penserà che la storia sia irreale, si ricordi che siamo a Teheran, e non a Parigi.
ma anche a Teheran il motore della vendetta è sempre in moto, come dappertutto, solo che qui gli esiti sono imprevedibili.
e cosa succederà, dopo, a Emad e Rana, nel grande teatro della vita, non lo sapremo mai.
da non perdere - Ismaele







Siamo a Teheran. Un uomo, che non è suo marito, è entrato nella casa di Rana e l’ha vista nuda mentre si faceva la doccia. Magari è successa anche qualche altra cosa, ma non lo sappiamo perché lei è svenuta e non ricorda. Il marito, Emad, è disperato e indaga su chi possa essere stato. Rana perde qualsiasi allegria che aveva dimostrato fino a lì. E ci si prepara alla vendetta…

La narrazione di Farhadi ha fascino e sentimento; riesce a trattare questioni profondamente umane con una sobrietà formale e con un’intelligenza lucidissima che lascia senza fiato.
Interpretato con un senso di straziante autenticità, questo gioiello di Farhadi è un congegno impeccabile, che mantiene lo spettatore sul filo tagliente della suspense, dove in gioco ci sono la vendetta contro la morale e l’orgoglio contro l’amore.
Come nei film precedenti di Farhadi, la casa e la città occupano un posto fondamentale all’interno delle storie che racconta.
Il Cliente è una tragedia dentro la tragedia…

Come sempre in Farhadi, un fatto innesca un effetto valanga, per cui niente e nessuno sarà più come prima, tutti son costretti a nascondere qualcosa di sé, e tutto rischia di crollare. Come il palazzo dell’inizio. Si resta ammirati, esattamente come in Una separazione, di fronte all’escalation delle rivelazioni e dei colpi di scena, e di come la realtà e le stesse persone cambino velocissimamente sotto ai nostri occhi mostrando ambiguità insospettabili. Il solito gioco à la Farhadi della dissimulazione, della doppiezza, dell’inganno, del depistaggio. Gioco condotto ancora una volta con maestria assoluta…

Appena da spettatori si entra all’interno del meccanismo generale della rivalsa, dell’indagine, della cura, l’empatia con i personaggi si fa assoluta, ma non tutto è prevedibile. Le linee di sceneggiatura creano infatti almeno due grandi fazioni ed è assolutamente soggettivo parteggiare per una o per l’altra alla fine della rappresentazione. Chi si sente dalla parte di Emad, sente crescere per tutto il film un senso di rabbia, di violenza, di rivalsa, chi è più vicino alla sensibilità di Rana è invece più propenso a perdonare, a restaurare una situazione già drammatica di suo, senza renderla ancor più dolorosa. L’unica certezza è che la ritorsione, il regolamento di conti, è un automatismo animalesco, un procedimento che annega nella colpa anche chi è sempre stato dalla parte della ragione, generando nuovi colpevoli. Per rinascere davvero e andare incontro alla redenzione, sia a livello umano che politico, tocca guardare oltre, diventare esseri umani e porgere l’altra guancia. Anche se questa è già martoriata.

Il cliente riesce miracolosamente a parlarci sia della possibile ambiguità di chi ha il compito di mettere in scena un mondo, sia di quello stesso mondo, di una società come quella iraniana in rapido mutamento dove non vi è più spazio per i ‘salesman’, per chi prova a vivere alla giornata, per le incarnazioni del neorealismo italiano e iraniano. E in un accesso di odio di classe, Amed guarda con disprezzo i miseri palazzi che ha di fronte e impreca: “Bisognerebbe buttare giù tutto e ricostruire”. “L’hanno già fatto e guarda cosa ne è venuto fuori”, gli risponde saggiamente un amico. Ecco, siamo sempre al discorso dello sviluppo senza progresso, dei paraventi e degli ostacoli che una società avanzata ci mette davanti agli occhi per nascondere il suo potere e il suo falso benessere. Farhadi ha trovato il modo per raccontare tutto ciò e questa sua condizione lo pone in una rosa ristrettissima di cineasti contemporanei, tra cui va annoverato senz’altro anche Jia Zhangke, capaci di raccontare il presente e le sue mistificanti contraddizioni.

Nessun commento:

Posta un commento