un sarto un po' maniaco del lavoro (e della sua vita) incontra una cameriera in un bar e se ne innamora, a modo suo, gli ricorda la mamma.
la porta con sè, diventerà una sua modella, anche se lei non piace alla sorella di lui.
una storia d'amore (chissà), di perfezione (certamente), di potere, nell'Inghilterra grigia negli anni '50.
regia perfetta, attori perfetti, una piccola storia, però indimenticabile.
buona (sartoriale) visione - Ismaele
QUI si può vedere il film completo
…C'è l'uomo, un
dittatore inflessibile, un genio autistico che assorbe e annichilisce le sue
“compagne”. Un uomo che è un bambino innamorato sempre e solo di sua madre, un
bimbo che gioca con gli abiti perché non sa vivere. C'è la donna, una ragazza
acqua e sapone con l'ossessione di conquistare quello stilista affascinante e
irraggiungibile. Due figure incomplete, devianti, che in qualche modo devono
trovare una quadratura del cerchio. C'è tutto il peggio –
e la verità – delle figure maschili e femminile in questa storia, e c'è anche
la soluzione alle loro mancanze, al claudicare delle loro personalità. Una
soluzione meschina, di morbosa interdipendenza e accettazione dell'inganno
altrui, pur di trovare una forma di quiescenza.
Non è necessario
soffermarsi sulla bravura di un Daniel Day-Lewis magrissimo, tanto carismatico
quanto fragile. Da sottolineare invece le prove eccellenti di Lesley Manville e
Vicky Krieps, che con i loro personaggi vanno a comporre un triangolo di
discordie e riappacificazioni che a lungo andare perde ogni logica
concatenazione di causa ed effetto. Il veleno del vivere pare prendere il
sopravvento, ma i risvolti restano sorprendenti – e normali – fino alla fine…
…Il film è un continuo oscillare tra la presa di potere
da parte di Woodcock, il quale, dopo un iniziale attaccamento ad Alma, se ne
discosta bruscamente, infastidito da ogni piccolo gesto della donna, e il suo
cederlo di nuovo alla compagna, desideroso delle sue cure e attenzioni, una volta
regredito a bambino indifeso. Da parte sua, la donna non ha intenzione di farsi
da parte, prendendo in mano le redini affinché l’uomo sia indotto a sentire la
necessità della sua vicinanza e dando vita, così, a un perverso scambio di
ruoli tra vittima e carnefice, fino ad arrivare a un epilogo quasi beffardo,
che lascia lo spettatore completamente spiazzato. Paul Thomas Anderson si
conferma come uno dei più grandi registi americani contemporanei. Il filo nascosto, come i precedenti film di Anderson,
è girato con pellicola 35mm e il regista ha curato personalmente la fotografia
assieme ad altri collaboratori, portando il film a non avere, di fatto, un
direttore della fotografia accreditato. La sceneggiatura, scritta dallo stesso
Anderson, è essenziale, scarna nei dialoghi; piuttosto, ciò che esalta la
bellezza di ogni inquadratura sono proprio i lunghi silenzi che permettono allo
spettatore di seguire ogni movimento di macchina e di cogliere ogni piccolo
dettaglio.
…Woodcock, grazie al genio della recitazione di
Daniel Day-Lewis, fatta di smorfie, piccoli gesti e battute velenose,
rappresenta l'eleganza formale, la perfezione che inebetisce con le sue regole.
Alma è invece il cuore mobile che reagisce e incrina la gabbia fino a evadere,
creando un nuovo equilibrio. La giovane donna si sostituisce alla sorella,
cancella il fantasma della madre e ne ricopre il ruolo: resta musa, modella,
collaboratrice e, pertanto, vessata e snobbata, per poi prendere con decisione
il controllo e prendersi cura di un Reynolds improvvisamente debole, inerme,
ammalato. "Lasciami guidare", gli dice a un certo punto, ma lui, che
accetta, non sa che potrà tornare a condurre solo quando lei lo desidererà.
Anderson tesse il montaggio lungo le traiettorie degli sguardi, operando un
ribaltamento di prospettiva nel momento in cui è Alma a guardare Reynolds,
mentre lui, smarrendo il filo della sua storia, accetta di divenire oggetto del
di lei racconto. "Il filo nascosto" mette in scena l'amore come
patologia, come folie à deux. E Alma rappresenta l'anomalia,
l'elemento eccentrico che sposta il gioco verso regole ancora da scrivere. La
sua sola presenza costringe Reynolds a mutare abitudini e ad azioni inusitate,
come la straordinaria sequenza in cui la raggiunge nella notte di capodanno. È
il suo sguardo a enunciare una strada nuova per ricodificare la sintassi
cinematografica del sentimento amoroso, una strada perversa che può mutare a
ogni incrocio, abdicando all'imprevedibilità dell'emozione…
…Anderson usa
nuovamente e per l’ultima volta un immenso Daniel Day-Lewis,
bravissimo a mostrare quel che non è del suo Woodcock. Immerso in una magione
di sole donne, controlla e si lascia controllare da esse, sia sul piano terreno
che frutto del subconscio. La sua nuova musa e moglie è l’anello di
congiunzione tra l’odio e l’amore, la necessità di far regredire lo stesso
Woodcock ad un infante per mostrare la sua infinita debolezza che rende al
tempo stesso vicino all’assolutezza vitale e creativa.
La sorella cura gli affari come la sua immagine, un legame ideologicamente
incestuoso necessario per l’equilibrio di Woodcock a cui si aggiunge il
rapporto con la madre defunta a cui un giovane Woodcock aveva cucito il suo
primo vestito proprio per lei, nel giorno delle sue nozze, un filo nascosto che
tiene questo rapporto di ricordo e devozione sempre acceso.
Nel dramma familiare, costituito dalla semplice indagine tra uomo e donna, Paul
Thomas Anderson si muove tra le migliori citazioni a Psycho o Rebecca,
firmati Hitchcock, perché Il Filo Nascosto è un’indagine
fuori e dentro il nome della leggenda, tra debolezze e punti di estrema forza
creativa, mosse sempre da zone buie che P.T. Anderson indaga senza indugio e
con una risolutezza sia narrativa che estetica (come fotografa benissimo ogni
dettaglio e lo stato di grazie di Day-Lewis non fa altro che arricchire all’inverosimile
il prodotto finale) da piangere diamanti.
Paul Thomas Anderson con
quest’opera ci ricorda che il cinema ancor prima di scrittura è immagine, che
deve essere curata, confezionata e cucita al minimo dettaglio.
…Paul
Thomas Anderson innesta in Phantom Thread un trattato sui
rapporti di potere, sulla fragilità umana e sulla forza sconquassante dei
sentimenti. Il suo è un film che dichiara l’impossibilità di controllare
l’amore e che al contempo, al contrario, urla a gran voce la necessità di farlo
quando questo viene represso, dissimulato, rinchiuso in uno scrigno che ogni
tanto ha bisogno di essere riaperto, spolverato, coccolato. In una struttura
narrativa che racchiude in sostanza i rapporti umani di Joseph Losey nelle
eleganze claustrofobiche di Alfred Hitchcock, Il servo incontra Rebecca sulla
scala curva de Il sospetto, mentre la centralità della lussuosa casa/laboratorio
dalle pareti color crema apre a una costante ambiguità dei rapporti di
coppia e della coscienza. Ma, al di là delle sue strizzate d’occhio
cinematografiche (non solo) al maestro del brivido britannico e all’atmosfera
suggerita dalle musiche incalzanti composte e orchestrate ancora una volta dal
fido Radiohead Jonny Greenwood, Phantom Thread, ennesimo film
straordinario di uno dei cineasti più indispensabili della contemporaneità, non
è un thriller, non è un giallo, non è un melodramma, e non è nemmeno una
commedia, per quanto non manchino momenti di arguta e irresistibile
comicità. Phantom Thread è tutto questo ed è molto di più: è
cinema personalissimo e inclassificabile, espressivo e sublime, magnetico e
avvolgente, acuto e stratificato, elegante e seducente, carico di possibili
livelli di lettura nella sua ben precisa scelta di evitare tesi e messaggi ben
precisi. È un film carico di suggestioni, carico di ambiguità, carico di
inquietudine, carico di poetica, carico di momenti di cinema purissimo.
Basterebbe la prima volta in cui Woodcock si sente male, resa miracolosa da
Daniel Day-Lewis, dal suo sguardo realmente sofferente, dalle sue quasi
impercettibili smorfie, dai suoi tremolii nella voce. Oppure si potrebbe citare
il sostanziale dialogo muto fra Woodcock e Alma, ormai marito e moglie, quando
lo stilista la va a prendere a una festa di capodanno alla quale sa benissimo
anche lei che non sarebbe dovuta andare. Non serve parlare, basta guardarsi,
basta ascoltare i rispettivi silenzi, basta respirare insieme, ancora una
volta, smettendo di respingersi, smettendo di sfuggirsi. A costo di
(dovere/volere) aprire ancora una volta la bocca, di mandare giù il boccone che
ormai si sa benissimo essere avvelenato, e di lasciarsi andare ancora una volta.
Aspettando impaziente la prossima, a sorpresa, o forse no. Buon appetito
Reynolds Woodcock, buon appetito amore mio!
…PTA è così libero, così consapevole di sé e audace, da
permettersi di sfidare le regole del cosiddetto buon cinema. Parte lasciandoci
intravedere un film sull’ossessione, la ricerca della bellezza assoluta,
l’ansia della perfezione, per poi, attraverso twist narrativi improvvisi, farci
entrare in altre zone e in altre storie. Anderson se ne frega anche di
realizzare un film esteriormente formalista, superficialmente elegante. Il filo nascosto non è sulla moda, come forse
qualcuno si aspetta (le signore del fashion resteranno deluse), non è schiavo
di quelle orrende cose che si chiamano chic e glamour (giustamente Reynolds
Woodcock, il protagonista, si scaglia contro l’uso e abuso della parola chic),
non soggiace all’estetica fashion. Stavolta la moda, peraltro
perfettamente rievocata nei suoi riti e nelle sue maniere e feticismi, è solo
il dispositivo per penetrare la labirintica personalità di Reynolds Woodcock e
mostrarne le ossessioni, le compulsioni, i demoni. E la sua paura del mondo
contaminato dal reale, imperfetto, che sta oltre la maison. Lo stesso sguardo
di PTA sulla moda non è mai estatico e adorante, nemmeno critico se è per
questo, tutt’al più affascinato dalla ferrea disciplina professionale di cui è
intrisa, dall’etica parossistica del lavoro che vi abita…
Non c'è piaciuto ;)
RispondiEliminahttps://www.filmtv.it/film/138782/il-filo-nascosto/recensioni/918991/#rfr:none
capisco tutto quello che hai scritto, ed è condivisibile, ma "purtroppo" su Paul Thomas Anderson (e pochi altri) ho un pregiudizio positivo, nessuno è perfetto
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