mercoledì 18 novembre 2020

Il fabbricante di gattini (Katzelmacher) - Rainer Werner Fassbinder

chissà l'effetto che ha fatto ai suoi tempi un film così diverso dagli altri film che si vedevano in giro.

un po' teatrale, un po' ripetitivo, abbastanza cattivo da scandalizzare il tedesco che viveva alle spalle degli immigrati, milioni e milioni negli anni '60.

la storia è quella di alcuni giovani un po' vitelloni, tristi, ubriaconi, che trattano le ragazze come fossero oggetti da scopare, e nulla più.

appare Jorgos (interpretato da Fassbinder), un immigrato greco, di poche tedesche parole, scambiato per un italiano dai giovani tedeschi.

solo Marie lo considera, e quei tedeschi annoiati, sempre alla ricerca di soldi, si risvegliano dal torpore perché in Jorgos hanno trovato un nemico.

ma come si fa a raccontare un film così?

guardatevelo, non ve ne pentirete - Ismaele

 

 

 

QUI il film completo, con sottotitoli in italiano

 

 

Inizio di stile documentaristico, quasi godardiano, forse esagerato, che proietta lo spettatore nel vuoto che questi giovani tedeschi vivono tutti i giorni. Giovani senza speranze e senza ambizioni che non fanno altro che pensare a perdere il loro tempo dietro a donne di facili costumi. Questa routine viene interrotta da un elemento estraneo al loro ambiente, uno straniero che sembra diverso da loro e che pagherá per il fatto di essersi intromesso nella loro esistenza vacua.
Uno dei primi film di Fassbinder, in cui si produce anche in veste di attore, che tratta in modo poco velato del tema della xenofobia che ancora attanaglia la Germania del tempo. Ma non solo. Si parla anche di invidia, di pettegolezzi che infangano, di gioventú bruciata.
Epiche quelle passeggiate con sottofondo di piano.

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Cibo, soldi , sesso , chiacchiere svuotate di senso, un vegetare più che vivere in attesa degli eventi.
Però quando questo particolare (dis)ordine precostituito viene "alterato" dalla presenza di un immigrato greco che vuole solo lavorare per mandare i soldi a casa, questa gioventù(per modo di dire, sono tutti trentenni o giù di lì)  ariana si ricompatta dietro lo scudo della xenofobia arrivando a pestare il giovane greco all'apice di un crescendo di pettegolezzi e falsità dette sul suo conto.
Girato in un bianco e nero molto contrastato e con una fotografia molto nitida è un film a cui è difficile avvicinarsi per la particolare struttura(evidente l'influenza godardiana) ma una volta entrati nella lunghezza d'onda di questa generazione piegata e disillusa , Il fabbricante di gattini lascia intravedere il talento accecante di Fassbinder in una disamina generazionale in cui prevalgono amarezza e accenti grotteschi.
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Ogni personaggio, in Il fabbricante di gattini, è chiuso con i suoi pensieri, isolato da un contesto invero vuoto e privo di significato, fatto di un arredamento sobrio e quasi assente su sfondi sempre bianchi chiari come in accecanti oblii. E l'arrivo dello straniero, interpretato proprio da Fassbinder, colora per un attimo le vite dei personaggi facendo focalizzare l'attenzione su di sé senza alcuna intenzione né interesse, facendo, in fondo, fare tutto a loro e alle dicerie svolazzanti che amano provocare e si deformano in bugie inclassificabili. Cosicché la vita, divenuta successione di inutili e "letali" riflessioni, si appiattisce in quadri di duro sarcasmo e abbacinante minimalismo, in cui è proprio il mantenimento dell'immobilità della mdp a dare paradossalmente "movimento" a uno stile apparentemente sobrio ma scoppiettante, straniante, sperimentale nel momento in cui gioca con i silenzi, tramortisce con le onnipresenti voci e avvolge nelle inestricabili intersezioni della figurale cecità umana.

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Katzelmacher è un’espressione bavarese spregiativa con cui venivano chiamati i lavoratori immigrati dell’Europa meridionale. L’appellativo allude alla loro presunta intensa prolificità, mentre l’etimologia corretta indica il “fabbricante di cazze“, artigiano proveniente per lo più dalla Val Gardena, specializzato nella produzione di mestoli (Gatzeln) in legno e in rame. Un’ulteriore etimologia deriva dallo svizzero-tedesco e individua specificatamente i lavoratori italiani (soprattutto del Sud) molto presenti dalla fine degli anni ’50 alla fine degli anni ’70 in tutta la Svizzera interna, con contratti stagionali. L’accezione è riferita appunto all’attitudine ad avere molti figli (Katzenmacher significa, infatti, “fabbrica gatti“).

Cominciare dal titolo, per parlare del secondo lungometraggio di Rainer Werner Fassbinder (il primo era L’amore è più freddo della morte, 1969), Katzelmacher (Il fabbricante di gattini), è utile per comprendere quanto disprezzo già serbava a ridosso degli anni ’70 la piccola borghesia della Germania Federale nei confronti dell’altro, di chi veniva percepito come non appartenente al proprio ordine di simbolico di riferimento. Nel film di Fassbinder il Katzelmacher (da lui stesso interpretato) viene appellato con termini assai dispregiativi, quali, per esempio, “negro” e “comunista”; fin dalla sua prima apparizione è visto come un elemento di disturbo, un pericolo che dev’essere estirpato, che non si esita a calunniare, pur di ridurlo a sacrificabile capro espiatorio…

…Con Katzelmacher Fassbinder inaugurava una nuova modalità di fare cinema, contrassegnata dalla possibilità di produrre opere a bassissimo costo e con grande velocità di esecuzione, a dimostrazione di come a fronte di un’idea di cinema (e non un cinema di idee) fosse possibile sganciarsi dai circuiti convenzionali, raggiungendo comunque risultati egregi. Un film, l’opera seconda del regista tedesco, da vedere e rivedere, su cui non smettere di tornare a meditare.

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Un'arguta critica alla società xenofoba, questo il secondo film di Fassbinder, forse troppo godardiano e ridondante in certi punti, ma riuscitissimo.
Ritratti curati e particolareggiati di trentenni nullafacenti tedeschi alla fine degli anni '60. La mancanza di ogni valore, interesse, aspirazione concreta, sensibilità, trova sfogo attraverso lo stigma per un immigrato greco (Fassbinder, eccezionale nel ruolo), in un crescendo di pettegolezzi e luoghi comuni beceri e insensati, uniti tra loro da sequenze a volte davvero geniali, perchè combinate in modo da dare un'idea di moltiplicazione e aumento dell'intensità, fino alla parte finale che ovviamente non svelo.
Scenografie volutamente asettiche, scevre di qualunque elemento di calore e conforto.
Grottesco e amaro, vale davvero la visione anche se ammetto che lo stile quasi documentaristico può risultare un pò indigesto soprattutto nella prima parte.

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Scopertissimo apologo antifascista, Il fabbricante di gattini, nella sua apparente banalità, nella sua rivendicazione di uno stile asciugato sino alla decolorazione di ambienti, anime e psicologie, è opera totalmente fassbinderiana, abitata da un’ironia ed una disperazione che, a volte, diventano indistinguibili. La telecamera inquadra i personaggi nella loro fissità e quasi li inchioda ad una vita che, infestata da elementi e manufatti interiori di bassa lega, si constata pervasa da noia e pochezza assolute. Il tocco di Fassbinder sta nell’ingenerare un senso di pietas verso le meschinità e le piccole corruzioni, nel lambire le disperazioni con un tocco di umorismo nerissimo e surreale (le voci che si rincorrono incontrollate e perlopiù false sulle caratteristiche del greco, le passeggiate delle varie coppie nel quartiere, a mostrare ed ostentare un impettimento che è semplice ansia di riconoscibilità sociale), nel lasciare che parlino, più che le immagini, dialoghi di pochezza programmatica in grado di rendere palpabile il disagio esistenziale di una società tedesca alla deriva.

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le cinéaste refuse tout drame ou tragédie et la bastonnade qui devait être l’acmé du film n’en est qu’un épisode sordide qui ne résout rien. Si la fin engage des projets (partir en Grèce, s’engager dans l’armée), on a des doutes sur leur réalisation tant leur quotidien poisseux les englue. Vision pessimiste, certes, aride, certes, qui fait par moments penser à une vision d’un enfer sans religion, sartrien si l’on veut. On pourra aussi y voir ce qui deviendra un leitmotiv dans la suite de sa carrière, la condamnation d’une société de petits bourgeois qui, comme le disait Flaubert, « pensent bassement », mais sans émotion ni grand discours. À sa manière lente et minimaliste, cette œuvre tout en retenue peut néanmoins toucher, bien qu’étouffante et singulièrement aride. Elle rend compte aussi à la fois d’un début d’un grand cinéaste et d’une certaine conception moderne du cinéma, exigeante mais passionnante.

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It should be noted that Fassbinder had to rely on state funding to make his films, and he can certainly be challenged for biting the hand that feeds him. The filmmaker’s attitude is that he’s an outsider and that even though outsiders are needed to bring new life to the stagnant German culture, they are never welcome. In order for Fassbinder to achieve success in this milieu, he aped the Hollywood director by organizing his own production base and made it function like the American studio system. As in most of his early films, Fassbinder fills the screen with despair and his subject matter themes always seem to be about the exploitation of feelings. Here, he does this in a highly stylized and artistic manner by examining the dynamics among couples from both “without” and “within” themselves. This film was the winner of the German Film Awards as outstanding feature film.

As in all Fassbinder films, there are slogans spoken by the characters or flashed across the screen. This film opens with the crawl: “It’s better to make new mistakes then to perpetuate old ones.” A bunch of aimless youths hang out in their neighborhood street and interact with each other in such a disarmingly comfortable way as only intimates can. The men act bored, macho and abusive toward the women; the women unhappily yearn for love and walk together arm in arm conveying a false sense of solidarity while talking harshly about the others and their own delusional aspirations…

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