domenica 10 novembre 2019

Parasite - Bong Joon-ho

Bong Joon-ho è il regista di Snowpiercer, e un po' di altri film che vanno dal bellissimo al capolavoro.
Parasite è una commedia nerissima, con due mondi inconciliabili che cozzano senza possibilità di conciliazione.
ci sono i ricchi e i poveri, e anche i poveri poveri, i padroni, i proletari e i sottoproletari (che stanno sotto tutto, anche sotto il palazzo), i ricchi resteranno ricchi e l'assalto al palazzo del grande architetto sarà un fallimento, una carneficina, una follia, per ingiustizie antiche e represse.
gli attori sono bravissimi, naturalmente, in mano a un regista di serie A, e a una sceneggiatura che non lascia un attimo di tregua, e quando sembra che rallenti è solo per ripartire con più forza.
non cercare nulla della trama di questo film e vai fiducioso, a Cannes e ormai dappertutto lo sanno che è un film imperdibile.
buona visione - Ismaele





…Bong – il primo cineasta coreano a vincere la Palma d’oro a Cannes – dà un colpo di grazia simile alla tattica di shock usata in The Host. Ma questa volta il mostro è l’avidità umana, che divora il concetto stesso di giusto e sbagliato. Chi sono i parassiti qui? I Kim che manipolano una famiglia per interesse economico? O i Park che sfruttano i Kim come domestici pagati per essere al loro servizio? Il film analizza il divario universale tra ricchi e poveri con arguzia scioccante, pungente attualità e violenza straziante Parasite è esplosivo a tutti i livelli.

il film di Bong Joon-ho vive sulla fitta trama di corrispondenze tra forma e sostanza: tutto ciò che percepibile in termini non solo di narrazione, ma di filosofia, nasce come risultante linguistico/estetica – movimenti di macchina, inquadrature, luci, ritmo del montaggio; ciò dovrebbe valere per qualsiasi opera, ma Parasite è un assoluto trionfo di cinema come linguaggio visivo. Bong Joon-ho, similmente ad Ari Aster, usa l’immagine per portare alla luce una verità e per esplorare gli strati che la compongono. E’ un analista spietato, capace di cogliere in un dettaglio – si veda la scena di sesso tra i coniugi Park – la morbosità, la malattia che serpeggia in un apparente corpo “sano”.
Parasite non è solo la messa a nudo di una struttura sociale infernale, ma anche delle ambiguità che permeano classi contrapposte: dalle tracce di purezza malata, di innocenza corrotta che fioriscono dall’infantilismo dei Kim, alle perversioni buie dei Park, bloccati nell’immobilità dei propri privilegi. Bong Joon-ho aspira a un cinema totale, facendoci provare terrore, repulsione, disgusto, tenerezza, confondendoci di fronte alle contraddizioni degli esseri umani; tutto sfuma in un’ombra in cui bene e male sono inscindibili, ma allo spettatore restano attaccati gli odori, la “puzza” del ceto sociale e gli abiti bagnati di sangue, pioggia e escrementi.

“Lotta di classe”, leggiamo in tutte le recensioni, anche a proposito di “Parasite”. Perdonateli, è un riflesso involontario, a pari merito con “la violenza sulle donne” o “il degrado delle periferie”. Meglio, cento volte meglio: il regista coreano ha girato un film sui servi e sui padroni. Su una famiglia molto povera e una famiglia molto ricca che fortunosamente entrano in contatto, con risultati difficili da immaginare (e non avremo uno sciopero, come la lotta di classe esige, ma doppi giochi, violenze e tenerezze: uccidete chiunque soltanto osi accennare alla trama)…

Ma chi è il parassita del titolo? La famiglia povera che con un’astuzia da commedia italiana riesce ad infiltrarsi nel dorato mondo dei ricchi o questi ultimi, che “sfruttano” altre persone (anche se ben pagate) per compiere noiose mansioni quotidiane? Il film non fornisce una risposta e d’altronde non dà giudizi morali: non ci sono vittime e carnefici, buoni e cattivi, perché ogni personaggio recita fino in fondo il ruolo che la vita, giustamente o meno, gli ha assegnato. Però emerge molto sottilmente una critica sociale contro un capitalismo selvaggio che ha assunto i tratti della new economy e che, piuttosto che abolire, ha inasprito le iniquità esistenti. È un aspetto apparentemente marginale che però rimane sottopelle dopo la visione del film. Più che mille dialoghi vale quella discrepanza scenografica che mostra da un lato una moderna villa progettata da un famoso architetto, dove non mancano la luce, il verde ed il silenzio e dall’altro uno scantinato infestato dagli insetti, davanti al quale un ubriaco fa la pipì tutte le notti. Ma soprattutto rimane impressa quella corsa che padre e figli fanno sotto il temporale, che sembra portarli dalla Valle Incantata ad un sottomondo oscuro e insidioso.

In Parasite assume un ruolo assolutamente determinante, e simbolico, lo spazio; o meglio le case, i luoghi dove le famiglie vivono, e si fanno carico di raccontare la storia (ah, se quelle mura potessero parlare!). La prima, un seminterrato squallido, dagli spazi stretti e angusti, tra le cui quattro mura i Ki-taek si dimenano alla ricerca di un segnale wi-fi senza password, e una minuscola finestra che dà su un vicolo usato dagli ubriachi per urinare. La seconda, una lussuosa villa progettata da un famoso architetto, e un enorme vetrata su un giardino baciato dal sole, che genera tanta invidia nella famiglia di reietti sociali. Proprio quel giardino sarà il teatro dell’esplosione drammaturgica finale, e luogo della memoria tanto amaro.
In un’epoca di fratture sociali sempre più profonde e laceranti, Parasite mette in scena un’eccellente parabola della lotta di classe, ora riproposta in una dimensione domestica. Bong Joon-ho si destreggia con profonda arguzia e gusto satirico tra la commedia e il dramma sociale, fino al thriller dalle tinte scure. Seppure si passi da una rappresentazione di genere ad un altro, il regista riesce a direzionare il film, e i suoi personaggi con esso, verso una spirale discendente verso la tentazione e i suoi demoni. Bong Joon-ho è tanto ispirato nella componente narrativa – innalzandosi a dio efferato e feroce della sua creazione condotta ad un climax inevitabile – quanto in quella registica. Parasite è costruito secondo un registro impeccabile, dalla composizione geometrica delle scene  fino al montaggio, determinando magnifici contrappunti antitetici tra le inquadrature e le musiche, con un gusto pop per l’antifrasi.

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