domenica 27 ottobre 2019

Boris - Il film - Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Luca Vendruscolo

anche per chi non ha visto la serie, il film riesce a farsi seguire bene.
è una piccola storia sul cinema, la tv, e tutto quello che c'è in mezzo e dietro, ma in fondo è una storia sull'Italia e i suoi (nostri) vizi.
gli attori funzionano, il regista Renè Ferretti è bravissimo a galleggiare in un mare complicato e ostico.
anche Boris fa la sua figura.
un piccolo film da non perdere - Ismaele



Il salto di Boris dal piccolo al grande schermo, ma soprattutto da un pubblico di nicchia al grande pubblico, "laurea" definitivamente i suoi tre autori con lode, per l'umorismo finissimo (anche laddove fa della volgarità il suo humus), lo sguardo implacabile, la scrittura diretta e coraggiosa, la capacità di scelta (nell'abbondanza da loro stessi prodotta, in fase di sceneggiatura e di riprese) e soprattutto l'eleganza e la coerenza con cui sono passati dal ritrarre la televisione in televisione al fotografare il cinema nel cinema. Non di parodia si tratta, infatti, spessissimo, ma di fotografia vera e propria, ritoccata ad arte e virata sul comico.
Sono tante le battute o le scene del film che potrebbero essere estrapolate come costole per offrire un'idea dell'organismo nel suo insieme; dal produttore cinematografico che spiega: "non c'ho i sordi per tutta 'sta sensibilità", al regista che paventa: "non si esce dalla televisione, è come la mafia, non se ne esce se non morti". Ma è nella scena in cui Antonio Catania alias Lopez immagina il destino di René qualora lo abbandonasse per passare alla concorrenza e, dopo avergli fatto chiudere gli occhi, gli riappare davanti uguale identico a pochi secondi prima esclamando: "eccola la concorrenza!", che il film si rivela maggiormente. Nella terribile verità di quello sketch ci sono, infatti, sia un'indicazione di tono, cinico, dissacrante, spoetizzante, sia l'indicazione sulla natura dell'umorismo in gioco -si ride per non piangere- sia la lucidità e la schiettezza di sguardo e parola rispetto all'argomento trattato, vale a dire lo stile, che fanno di Boris qualcosa di unico in Italia.
La prima vera serie televisiva italiana di qualità (che aveva per soggetto la pessima qualità della televisione italiana) si congeda dagli schermi, parrebbe, con questo maxi episodio dedicato al mondo del cinema nostrano, massacrandone il mito con straordinaria capacità di sintesi e umorismo, nonostante il cinema non solo abbia già raccontato spesso il suo dietro le quinte ma soprattutto abbia sempre avuto maggior autoironia rispetto alla nipotina televisione…

…Perché, al di là del giudizio non completamente positivo sull’insieme dell’opera, Boris – Il film va difeso perché ha il coraggio di inserirsi nel contesto della commedia nostrana da box office – zona liminare piuttosto intasata nel corso degli ultimi anni – operando una scelta popolare e mai populista: per questo la critica ai cinepanettoni, pur “semplice” nella sua goliardia visiva, coglie decisamente il nocciolo della questione. Certo, è indubbio che nel complesso la serie vinca a mani basse nel confronto diretto con il film, ma nel passaggio tra due medium espressivi troppo spesso assimilati senza una reale ragione, ha la capacità di non disperdere il motivo della propria esistenza: Boris – Il film fa ridere, a tratti in maniera quasi irrefrenabile, e allo stesso tempo dimostra di avere le capacità per raccontare a un pubblico italiano inebetito da una pletora di commediole senza arte né parte, la mediocrità di una “nazione dello spettacolo”, anche nei tratti meno immediatamente percepibili. In attesa di capire come reagiranno le masse, il bicchiere appare comunque mezzo pieno. Un (piccolo) passo in avanti è stato fatto. Buon(in)a la prima…

…L'autoconsapevolezza di Boris è più profonda, struggente: perché non c'è vittimismo, perché i suoi protagonisti sono frutti, certo, ma anche, insieme, responsabili dell'immaginario di un Paese. Perché se René non riesce a liberarsi dal linguaggio e dal mondo della Tv è – ed è ciò che determina lo spessore dello script - anche colpa sua. Perché, in fondo, si tratta di una tragica questione antropologica, di un circolo vizioso soffocante. “Non si esce dalla televisione: è come la mafia, non se ne esce se non da morti”…

Nessun commento:

Posta un commento