martedì 21 marzo 2017

Chevalier – Athina Tsangari

un gruppo di uomini su uno yacht, per una vacanza.
solo uomini, alcuni servi, altri privilegiati.
si tratta di gente potente, uomini affermati, con mille debolezze, che non accettano.
le donne sono qualcosa di lontano, che esistono solo perché possono essere utili, in qualche modo, ma sono inferiori, si capisce.
per passare il tempo fanno giochi da deficienti, come si fanno nel mondo, e gareggiano per scoprire chi è il migliore, anzi per capire ed evidenziare i meno forti, in qualsiasi cosa.
sono degli infelici, questi potenti impotenti, in certi momenti il film di Athina Tsangari sembra essere una specie di Perfetti sconosciuti, con più tragedia e meno commedia.
c'è anche una voce inquietante, che guida lo yacht, una specie di deus ex machina, un capitano in carne e ossa o un pilota automatico-computer, chissà.
un film che non lascia tranquilli, una specie di apologo tristissimo sullo stato del genere umano maschio, non è una passeggiata e c'è poco da ridere, ma merita - Ismaele







…Quello di oggi è un film dalla trama inattesa e intrigante. Ci fa sorridere per le tante situazioni che sorgono e per gli inevitabili infantilismi che emergono, e ci inquieta per le assurde tensioni che scoppiano sullo yacht a dimostrazione che anche un banale gioco sia in grado di scardinare vecchi (e giocosi) equilibri e tramutarli in una gara senza esclusione di colpi, potenzialmente rischiosa. Quando le preferenze e le abitudini iniziano ad essere esaminate al microscopio, una sorta d’istinto animale, un riflesso incondizionato esplode e dà il via ad una serie di piccole catastrofi.
CHEVALIER è una bella esplorazione del maschio del nuovo millennio (probabilmente involontaria) ed è sicuramente un’istantanea delle invidie e debolezze insite in tutti noi. Tra una sottile battuta e l’altra, nessuno uscirà indenne da quello che ben presto si rivelerà essere un gioco al massacro senza un vero vincitore.
Ancora una volta il cinema ellenico si è dimostrato una bella sorpresa. L’opera è gradevole e coinvolgente, ha un buon passo e i dialoghi attingono al reale. Peccato non aver sfruttato lo spazio ridotto per spingere su claustrofobia e suspense, ne sarebbe uscito un film esplosivo. In definitiva: imperfetto ma da vedere.

Chevalier ha parecchio del nuovo cinema di Atene, l’impassibilità con cui si osservano i personaggi – insetti da laboratorio entomologico -, l’esplorazioni di microcosmi in cui la normalità trascolora nel patologico e vi si confonde. Un gruppo di amici decide di imbarcarsi su uno yacht per una partita di pesca e immersioni nell’Egeo. Solo uomini. A bordo anche il maggiordomo-chef e il suo assistente. Per ammazzare il tempo si inventerà un gioco, quello di assegnare dei punti non solo alle abilità (sportive, mentali ecc.) di ciascuno, ma anche ai suoi comportamenti, alle sue eventuali manie, lacune, ossessioni. Non ci vuol molto perché l’apparente armonia si spezzi e faccia emergere rivalità distruttive, apra linee di faglia all’interno del gruppo. Tutto è lecito pur di accumulare punti e farne invece perdere gli avversari. Si penetra di notte nella loro cabine a scoprire segreti ben celati, si impone che le telefonate siano pubbliche in modo da poterne giudicare il tono e l’efficacia…

…Chevalier è un film piatto e di una crudeltà precotta, che manca totalmente di coraggio, di velleità umane, di qualsivoglia intento eversivo. Mentre i protagonisti costantemente si giudicano con tanto di blocco degli appunti, l’unica idea che riesce a emergere è quella di un cinema insincero che, con la spocchia di chi si sente senza peccato, pontifica opinabili verità dal proprio palco sopraelevato. Una distanza quasi fisica, dalla quale osservare la marcescenza degli uomini senza rischiare che una sola goccia del loro sangue osi sporcare la macchina da presa, né chi la muove. Una concezione profondamente reazionaria del mezzo che, per noi cresciuti con la simpatetica, onesta e straziante umanità di Alberto Grifi, risulta semplicemente insopportabile e oltraggiosa. Perché all’origine dell’occhio sta sempre una lacrima, ma lo sguardo di Athina Rachel Tsangari si rivela glaciale, alieno, arido. Disonesto, e per questo da rifiutare.


… La realizadora helena usa la cámara como si fuera un bisturí, para ir mostrándonos los comportamientos básicos de un hombre cualquiera de mediana edad. Su mirada es incisiva, irónica, y sobre todo, muy divertida. Todo con el sano objetivo de poner en relevancia la estupidez del género masculino. Crea imágenes de gran belleza, con precisos encuadres, que ponen de relevancia su pesimista visión, porque para ella los varones no tenemos solución, y lo comparto plenamente. Es un mundo cargado de rivalidad y testosterona, donde se antepone la violencia a la negociación. Los seis personajes irán al límite para poder ganar. Para ello no dudarán en usar la violencia psicológica, la física, la manipulación o la traición. En la naturaleza del varón está ser competitivo. A ello debemos sumar otro pequeño detalle, que al varón se le educa para que no admita públicamente sus inseguridades psicológicas, profesionales o personales. De ahí la necesidad del reconocimiento social.
Finalmente, le da un giro de complejidad al guion para pasar de la crítica social a la política. De tal forma que introduce tres personajes más que encarnarían la clase proletaria, frente a la burguesa encarnada por los seis jugadores. Ahí es donde el discurso se vuelve más pesimista. Por todos estos motivos os recomendamos esta genialidad de la cinematografía griega.

Symbole de richesse et de pouvoir, le yacht permet un huis-clos que les scénaristes rendent pourtant physiquement caduc en amarrant le bateau à Athènes. L’absolutisme, aveugle, de l’engagement des personnages à terminer le jeu est alors le révélateur d’une névrose sclérosant la société dans son ensemble. Forte de témoigner de l’infantilisme des hommes (de l’homme), la réalisatrice joue habilement avec la notion même de masculinité qu’elle confronte à d’indépassables tabous : l’impuissance, l’infertilité et, certainement la pire de toute, la contraception féminine. Au-delà, elle met en scène la promiscuité entre les personnages en s’en jouant avec délice, flirtant avec l’homoérotisme et s’amusant d’une homophobie latente.
La dynamique de cadrage et le sensationnel travail sur le son participent à la mise en place d’un climat qui renforce l’impression de huis-clos tout en en soulignant le paradoxe. Parallèlement Athina Rachel Tsangari observe l’arène, nous fondant à son regard d’anthropologue. La musique rythme le film au fil d’une partition magnétique, tantôt hypnotisante tantôt invraisemblable – et dès lors fascinante. Aux résonances de Patrick Cowley répondent celles de Marilena Orfanou tandis que Tchaikovsky côtoie Petula Clark dont le titre « Let it be me » est utilisé avec brio. Notons encore que la réalisatrice nous offre la scène de playback la plus savoureuse qui soit en employant superbement « Loving You » par Minnie Ripperton. Enfin l’ensemble du casting, nous confrontant à la folie de l’ordinaire, est remarquable.

…Con il suo ultimo lungometraggio Athina Tsangari mette in scena un universo maschile tetanizzato dal panico da prestazione, dalla necessità di essere sempre “il migliore”. L’unica cosa che conta è vincere, sempre e comunque.
Le sfide lanciate possono essere apparentemente banali (montare nel minor tempo possibile una libreria Ikea) oppure indecentemente intime (chi avrà la miglior erezione?), sorta di barometro dell’ipotetica “coolitudine” umana. Chevalier propone un universo fatto di assurdità senza freni, di situazioni al limite dell’assurdo che diventano però, grazie allo sguardo acuto e irriverente di Athina improvvisamente razionali e logiche.
I comportamenti sociopatici e a tratti patetici dei nostri eroi del Mar Egeo si dissolvono nell’universo finzionale della nostra regista greca fino a diventare limpidamente verosimili. Lo spettatore è totalmente libero di interpretare gli atteggiamenti dei protagonosti che possono apparire al contempo: irritanti, commoventi o osceni. Il legame che li unisce rimane un altro grande mistero del film, così come il motivo che li ha spinti a partire in vacanza insieme. Tutto è deliziosamente sfuocato e permeabile, sorta di universo parallelo fatto a bivi dove il finale rimane aperto.
Un film terribilmente realista dallo humor irresistibile.

…Premessa e ambientazione sono tutto. Forza, schiavitù e dannazione del film. In questo yacht e da questo gioco non c'è scampo, nè possibilità di fuga o deviazione. Nasce come demolizione dell'uomo, della sua competitività e del suo orgoglio e finisce a demolizione e ridicolizzazione concluse. Non proprio un gioco al massacro, non c'è la giusta crudeltà. La forza che si poteva percepire inizialmente data dai peggiori istinti che emergono per via della competizione e del giudicare liberamente gli altri si stempera nella comicità pura, in percorsi inspiegabilmente tutti uguali, tutti ugualmente diretti al dissolvimento, lasciati andare in quell'unica  direzione come se la regia non ne avesse il controllo. Ed è un peccato. Perché in gran parte,  oltre alla comicità, funziona anche il gioco psicologico, l'addentrarsi nelle dinamiche del confronto a carte scoperte con l'altro. Le diverse personalità sono delineate con chiarezza e si accostano l'una all'altra creando a volte un'atmosfera incerta e sospesa in cui anche la chiacchierata più informale sulla ricetta di un'insalata risulta un'indecifrabile combinazione di manifestazioni vere e studiate, del mettere in mostra le proprie competenze o anche del farsi vedere a proprio agio davanti a ciò che non si conosce. Allo stesso modo anche i gesti più umani, le rassicurazioni di amicizia e la sportività dimostrate durante le gare si tingono per buona parte dell'opera di questo apprezzabile dubbio. Poi però, come dicevo , si sceglie la ridicolizzazione completa e il dubbio sparisce, ma sparisce con lui anche la  forza dei personaggi e del loro percorso, in buona sostanza lasciato andare alla deriva…

Nessun commento:

Posta un commento