sabato 23 aprile 2016

Le confessioni - Roberto Andò

dopo “Viva la libertà”, con Toni Servillo, film che mi è piaciuto molto (qui), Roberto Andò fa un altro film con lo stesso (grande) attore, non so niente, vado a scatola chiusa, sulla fiducia.
all’uscita il giudizio oscilla fra il mah, boh, e la cagata pazzesca.
vince senza troppi dubbi la cagata pazzesca.
andate al cinema, se avete coraggio :) - Ismaele

ps: grazie a Lorenzo Bottini, la cui recensione è una stroncatura perfetta, inarrivabile e meritata



la recensione di Lorenzo Bottini:
Ci sono dei film che riescono nella mirabile impresa di trasformarsi in bignami di tutto ciò che non funziona nel cinema italiano: è un club esclusivo, che accetta solo chi riesce attraverso indicibili fatiche a toccare tutte le idiosincrasie che da anni tempestano i cinema nostrani. A prima vista diventarne membri non sembra impresa ardua, invece quando si arriva ai timbri ne manca sempre qualcuno e tocca rifare la fila.
Così uno su mille ce la fa e Roberto Andò, con le sue Confessioni, riesce dove molti hanno fallito compiendo di fatto un piccolo miracolo. In centro minuti racchiude come in uno scrigno tutti i luoghi comuni su cui nidiate di sceneggiatori si accalcano da decenni rendendolo una specie di “messaggio in bottiglia” per le future generazioni, una capsula spaziale alla “come eravamo” sponsored by Mibact. Quando i posteri la apriranno dentro ci troveranno di tutto, dalla tirata contro il tirannico neoliberismo pronto a distruggere le nostre caste esistenze fino al potere taumaturgico della vita contemplativa, sbandierata come unica speranza per sottrarre il mondo ai sanguinosi piani economici. A quest’Armageddon contabile Salus, il monaco interpretato da Servillo, oppone un renitente silenzio, una forma di difesa che man mano si trasforma in un formidabile strumento d’offesa. Tutti i potenti davanti alla sua taciturna saggezza crollano in ginocchio e rivelano le loro tremebonde malefatte, così, tanto per ricordarci ancora una volta come tutto il cinema d’autore si regga sul senso di colpa.
Gli stessi spettatori sono chiamati a rimettere i loro peccati come il Fus li rimette ai loro debitori, in un esperienza di sala cinematografica che diventa una specie di pellegrinaggio al Divino Amore, già pronti ad inchinarsi all’ennesima metafora urlata come se fosse l’apertura del Mar Rosso. Va vissuto così questo weekend con il morto architettato da Andò, indignandosi il giusto per l’incestuoso rapporto tra politica e finanza ma in realtà senza aver ben chiaro ciò di cui si parla. Lo si fa per sentito dire o per partito preso, come quando si commenta sotto un articolo postato su Facebook senza aver avuto prima l’accortezza di leggerlo. Si è comunque in buona compagnia visto che lo stesso regista siciliano dimostra come il suo interesse verso le congiunture economiche globali si limiti al puntare il dito sul degrado morale, di cui ovviamente il G8 ne è massimo rappresentante...

… la premessa del film era lì ben più forte, con una minaccia di morte iniziale fatta all'indirizzo del prete perché esso assolvesse con la propria uccisione agli abusi compiuti da un parroco qualche anno prima. Piuttosto in Le confessioni tutto si appoggia su un’aleatorietà delle atmosfere, su una pregevole fattura estetica – spesso però si pensa all’ambientazione e al ritmo di Youth - La giovinezza – e sulla bravura di un gruppo di attori, tra i quali si arruolano lo stesso Toni Servillo, Connie Nielsen, Pierfrancesco Favino e Daniel Auteil, che pur non dicendo nulla di così unanimemente comprensibile riescono a dare tensione e ritmo drammatico a ciascuna scena. 
In conclusione, forse Le confessioni ha voluto fare troppo dimenticandosi del pubblico. O forse invece abbiamo ancora bisogno di tempo per capire un film così complesso e simbolico.

La regia di Andò è nitida e squadrata, racconta un mondo inerte persino nell'emergenza, muove le sue pedine in un tempo sospeso che diventa immateriale non perché "variabile dell'anima" ma perché non rivendicabile nemmeno da chi mette a punto gli orologi che segnano il ritmo di vita del resto del mondo. Salus, che si è congedato dall'universo materiale e dalla sua (presunta) codificazione matematica, diventa con la morte di Roché la "lettera d'addio" del capo degli dèi: una lettera da non aprire, impedendo a quel "grido dell'anima" che è ogni confessione il suo sfogo. Da un punto di vista cinematografico, l'immobilismo che Andò racconta rallenta la narrazione luminosa e poetica: chissà se lo spettatore medio saprà sincronizzare il proprio tempo interiore a quello dilatato della storia narrata.
Il cast di Le confessioni asseconda la visione metafisica e stupefatta del suo regista: Toni Servillo è un catalizzatore morale passivo e sibillino, Pierfrancesco Favino un ministro agìto dal suo ruolo e condannato ad essere estraneo a se stesso. Nessuno scambio verbale è spontaneo perché ogni frase è un testamento, ovvero una confessione. Ma per questi dèi condannati a governare il caos non c'è assoluzione, solo la possibilità di compiere una presa d'atto della propria intrinseca manchevolezza.

Se le premesse sono interessanti, gli equilibri del film traballano dalla seconda metà.
E così l’esperimento di ricerca, quasi una sottotrama, tra cinema e letteratura, che gioca con il realismo, con l’intuizione e con il disincanto, si annebbia e non riesce a sprigionare totalmente quel senso di sfida. Il film è retto dalla bravura di Servillo che arricchisce il film di eleganza e profondità.



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