lunedì 11 aprile 2016

Chocolat (Mister Chocolat) - Roschdy Zem

Rafael Padilla è figlio di schiavi, in tutto il film Chocolat non lo dimentica mai.
e quando diventa famoso sarà sempre uno schiavo, figlio di schiavi, le sirene del successo lo coccolano, ma gliela fanno pagare.
è un sans papier, in fondo, solo che qualcuno lo protegge.
Chocolat non si risparmia, le donne lo amano, come i bambini, l'alcool lo cattura, il gioco d'azzardo lo tiene prigioniero, noi, come Foottit, gli vogliamo bene.
ottimi gli attori, cito Omar Sy, James Thierrée (nipote di Charlie Chaplin, e si vede), Olivier Gourmet, Alex Descas.
bellissima l'amicizia fra Chocolat e Foottit, non sono solo compagni di lavoro.
quando assaggia la galera, Chocolat conosce Victor (Alex Descas), e ascolta cose che non conosceva, la dignità e la negritudine (Victor è di Haiti, e ci ritorna, inseguendo il sogno della rivoluzione, vogliamo pensare).
poteva essere un altro film, dicono molti critici, ma questo è, ed è un film da non perdere.
buona visione - Ismaele



QUI la storia di Chocolat




…Prodotto interessante, ben scritto, ben interpretato e con un importante tema universale, ma decisamente sopravvalutato. Cosa che, però, capita fin troppo spesso. In Italia come all’estero.
Piccola perla del lungometraggio: il riferimento alle origini del cinema, mediante la presenza dei fratelli Lumière che si accingono a filmare la coppia di clown. Il filmato originale ci verrà riproposto, in seguito, appena prima dei titoli di coda. E, si sa, scelte del genere non possono che deliziare lo spettatore particolarmente cinefilo.

Una sceneggiatura solida – affidata a Cyril Gély – un duo di protagonisti molto ben assortito e affiatato, un cast azzeccato (un nome su tutti è quello di Clotilde Hesme) e una cura attenta dei costumi e degli spettacoli clowneschi d’epoca rendono Mister Chocolat un film efficace e capace di mescolare diversi elementi e registri, evitando di soffermarsi eccessivamente sul tema della discriminazione razziale per raccontare piuttosto una storia dimenticata di un artista e di un uomo che vive la sua parabola di gloria e inevitabile caduta. E fra le tante riflessioni che suscita questo film, spicca proprio quella relativa al successo che si dimostra tanto luminoso quanto effimero.
da qui



…Omar Sy coglie e trasmette con sentimento e umiltà la triste storia di Rafael. Il talento carismatico di James Thierrée (nipote di Charlie Chaplin, figlio di Victoria Chaplin e di Jean Baptiste Thiérrée fondatori del Circo Immaginario) dà il volto e il corpo a un meraviglioso Footit.
Abdellatif Kechiche aveva narrato una storia simile con il suo Venere Nera, ambientato circa 70 anni prima, ma i toni erano decisamente diversi.
Roschdy Zem, regista dall’interessante carriera, è riuscito nel compito di ricreare l’atmosfera di fine XIX e inizio XX secolo, e così facendo attira e fa appassionare il pubblico alla storia, mantenendo un necessario distacco emotivo nel dirigere questo film.

…Un altro pregio da parte del regista è di aver saputo far tesoro del bagaglio di competenze ed emozioni dei suoi interpreti, a partire dal divo comico Omar Sy, a sua volta da sempre protagonista di una battaglia per imporre la dignità del suo percorso attoriale, ancorché condotto a partire da uno status di autodidatta, che rappresenta un segnale di speranza per tanti artisti afrodiscendenti, in Francia e altrove. 
Di grande rilevanza anche l’apporto offerto da James Thierrée, che oltre a interpretare con nervosa e plastica energia Footit, ha coreografato tutte le scene di clownerie, mentre Alex Descas dà a Victor il carisma e la credibilità che gli riconosciamo in molti altri ruoli costruiti negli anni, in un cinema di ricerca e senza compromessi.
Se un limite dobbiamo trovare nel film di Zem sta nell’impalpabilità di uno sguardo registico che non diventa mai cornice, ma rimane sempre finestra, limitandosi a registrare, con efficacia, un lavoro d’insieme condotto pure con rigore ma anche notevole capacità di reinterpretazione. La presenza-assenza di questo sguardo non marcato non toglie però nulla alla forza politica e umana di Mister Chocolat, anche se probabilmente impedisce al discorso filmico di fissarsi con forza nella memoria dello spettatore cinefilo tipo.

… Certo, resta l’accorata interpretazione di Omar Sy (seconda generazione francese di origini senegalesi e mauritane, ben distante dall’origine caraibica di Padilla; dettaglio secondario, ma che rafforza l’impressione di un prodotto studiato a tavolino e non troppo interessato alla pur sbandierata verità), sempre più rivolto a una riedizione d’Oltralpe di ciò che Eddie Murphy rappresentò negli anni Ottanta per Hollywood, ma non incide sulle sorti di un progetto prevedibile, fin troppo misurato, conservatore nella forma e forse anche nella sostanza. Cinema per platee socialdemocratiche, pronte a commuoversi e indignarsi, lavandosi la coscienza prima di tornare alla vita di tutti i giorni.
Nel ragionare su Padilla/Chocolat e su tutti i figli delle colonie considerati pari solo sulla carta, ben altra lucidità e coraggio mostrò nel 1916 Giuseppe Ungaretti con In memoria, poesia composta dal fronte e dedicata all’amico Moammed Sceab, maghrebino trapiantato in Francia e morto suicida con il nome di Marcel. Per comprendere cosa comportano termini come ricordo e verità basta rileggerla…
Si chiamava
Moammed Sceab
Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome
Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè.
E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono
L’ho accompagnato
insieme alla padrona dell’albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa.
Riposa
nel camposanto d’Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera
E forse io solo
so ancora
che visse.


Roshdy Zem s’est fort heureusement entouré d’une très belle équipe technique. On aura peu à redire sur la reconstitution des décors et des costumes, tout étant plus vrai que nature. En s’adjoignant les talents de James Thierrée (le petit-fils de Charlie Chaplin et artiste complet) dans le rôle du clown blanc, Zem bénéficie d’un virtuose de la scène qui réussit à créer d’authentiques numéros de cirque et à donner vie à des spectacles drôles et vivants. S’il est aisé pour Thierrée d’enfiler le costume du clown, soulignons qu’Omar Sy, moins habitué à l’exercice, s’en tire avec les honneurs. Il faut dire que Roshdy Zem capitalise merveilleusement sur les atouts de l’acteur césarisé pour "Intouchables" : son sourire, son charme et son rire communicatif ! Omar Sy séduit autant en clown adulé qu’en homme parfois surpassé par ses démons (le jeu et l’alcool, sur lesquels le scénario aurait pu être plus incisif). Quant à James Thierrée, il est plus subtil encore dans la peau d’un personnage très ambigu hors de la scène (son attirance pour les hommes est malheureusement à peine effleurée)…

Côté mise en scène, ce biopic retrace la vie de ce célèbre clown en prenant quelques libertés notamment sur sa rencontre avec Footit. En dehors de ces petites libertés, le film n’en est pas moins intéressant. La rencontre entre ces deux artistes nous montrera un parcours glorieux grâce à leur succès, mais nous révèle également l’envers du décor. Bien souvent les biopics nous montrent les bons côtés, ici Roschdy Zem prend le parti prix d’en faire un film plutôt sombre. On remarque assez rapidement la complexité des personnages et que leur vie privée est loin d’être joyeuse. Bien que les faits se soient déroulés durant la Belle Epoque, les thèmes abordés comme le racisme, l’addiction à l’alcool ou au jeu sans oublier l’amitié sont encore d’actualité et universel. Outre les tensions qui règnent en coulisses, les différents numéros présents sont réglés au millimètre. Les différents numéros seront nous surprendre et nous faire rire…

Le récit aurait pu être captivant. Le destin du « Clown Chocolat » permet une immersion singulière dans la réalité de la Belle Epoque où le racisme est loi tandis que l’argent est plus ravageur que l’opium. Toutefois l’angle d’approche pour lequel opte Roschdy Zem est à ce point superficiel que CHOCOLAT transparaît comme une vulgaire litanie. Platement narratif, le scénario sert de terreau à une démonstration sans saveur – épinglons les flash-backs ridicules qui ont pour fonction d’exacerber l’émoi du protagoniste. L’évolution est grossière tant elle se veut distanciée.
La mise en scène pique souvent aux yeux. Artificielle au point de nous donner l’impression d’être confrontés à un bal costumé, elle est risiblement audacieuse lorsque le réalisateur tente des effets de travelling qui n’ont rien de vertigineux. L’humour du duo « Chocolat-Footit » est daté – au point de nous mettre franchement mal à l’aise. CHOCOLAT aussi…

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