mercoledì 9 marzo 2016

Alléluia - Fabrice Du Welz

con Fabrice Du Welz il confine fra la follia e la normalità non esiste, racconta storie che non si misurano con i metri usuali.
qui due infelici si trovano e si perdono, per ritrovarsi e stare insieme, non si sa chi con chi.
si conoscono, si amano, Gloria gli dà dei soldi, Michel ne ha bisogno, poi sparisce, è la sua strategia, ma non sapeva quanto è tosta Gloria.
lo ritrova, lascia la figlia, diventa la sua partner in tutte le sue attività, al di là del bene e del male.
ma come si fa a raccontare un film di Fabrice Du Welz?
bisogna entrare nella storia e farsi prendere per mano, mica facile, ma non si dimentica - Ismaele





il belga Fabrice Du Welz conferma con Alleluia di disporre di un tocco ineguagliato per disturbare lo spettatore, trasmettergli inquietudine e trascinarlo poi con sé sui binari del delirio. Un talento di certo consapevole, ma non per questo meno impressionante, che non lascia al caso neanche un'inquadratura: nella scena di seduzione iniziale, ad esempio, i primi piani parziali, in cui la figura di un personaggio copre il viso dell'altro, prefigurano già la simbiosi che si verrà a creare tra i due e la singolarità di questo rapporto. Per Michel (già con Du Welz in Calvaire) sono i traumi dell'infanzia ad averlo portato con la sua dura scorza ad essere ciò che è, un mercante di attenzioni sessuali e sentimenti. Per Gloria sono le radici profonde e insondabili di una solitudine aggravata dalla macabra professione notturna all'obitorio ad aver gettato i semi per la trasformazione…

…Le figure dei protagonisti sono talvolta ridotte a silhouette oscure o frammentate in dettagli anatomici, deformati fino a diventare mostruosi.
E’ il concetto artistico attraverso cui Du Welz sbalza i suoi protagonisti e ce ne restituisce l’interiorità sepolta.
Dialoghi e interazioni avvengono spesso tra occhi, bocche, lingue, denti, dita, inquadrature ravvicinate che contribuiscono ad acuire il senso di irrealtà e angoscia che pervade e incrementa durante tutto il film fino alle sequenze finali, ambientate in una frontiera di catarsi mentale ormai disconnessa da qualunque appiglio visivo alla realtà.
La pellicola è sgranata, materica, sfilacciata, in un contrasto all’inizio destabilizzante, ma infine ben riuscito, fra la ricerca di naturalismo e l’innesto di elementi grotteschi e assurdi (con una coraggiosa disinvoltura nella direzione di una scena sconcertante in cui la rottura della quarta parete si accompagna a un numero musicale che non sfigurerebbe in un film di Ozon, se non fosse per la presenza di un cadavere e di una sega, una rappresentazione della follia amorosa così intrisa di differenti toni e sensazioni che tra qualche anno la riconosceremo come geniale).
La camera a spalla la fa da padrona eppure potreste affermare il contrario…

…La sensazione che si ha, dunque, vedendo Alleluia e quella di una percezione della realtà trasformata in rappresentazione. Una rappresentazione delirante e questo perché Du Welz si cala completamente nello sguardo di Gloria, particolarmente suggestionabile dalla personalità paranoica e fanatica del proprio partner. Da qui si capisce il perché di una regia allucinata, che dà forma ad un paesaggio psichico convulso: questa si plasma sulle spinte pulsionali della protagonista, sui flussi mentali che scaturiscono dalle zone più oscure del suo essere. Per dirla pasolinianamente, Du Welz realizza una soggettiva libera indiretta capace di restituire un'immagine «onirica, barbarica, irregolare, aggressiva, visionaria» (Pasolini 2003, p. 179).

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