giovedì 12 dicembre 2013

Captain Phillips - Attacco in mare aperto - Paul Greengrass

un’americanata ben fatta, regista un inglese.
in fondo è anche un western, alla fine arrivano i “nostri”.
bravo, come sempre, Tom Hanks, che per la maggior parte del tempo è prigioniero dei banditi indigeni, anche se in acque internazionali.
la tensione è sempre viva, con punte altissime.
quasi commovente il desiderio, la stima, l’invidia, l’amore d’America, di Muse, il capo dei pirati, che è un ragazzino ingenuo, i “nostri” lo catturano come un pollo, e poi è l’unico che sopravvive.
la fine è già scritta, come farebbero quattro disperati a vincere l’impero, con la sua potenza di fuoco e la sua furbizia?
comunque l’impero trema, per qualche ora, ma non ci sono dubbi sulla vittoria, l’unico dubbio è il punteggio, se 4 a 0 o 4 a 1, e la morale, se c’è, è sempre la stessa, è impossibile che gli indiani vincano.
è un film che merita la visione, per lo spettacolo e per la bravura dei due comandanti, sia Phillips che Muse - Ismaele




…La scrittura non è mai stato il punto di forza dei film da lui diretti, e i dialoghi di Captain Phillips non si segnalano per particolare smalto, ma questa volta la dinamica narrativa è più semplice e al contempo più sofisticata. Dalla condizione di assedio, che vede tutti contro tutti, il film vira ad un certo punto verso un contesto più asfittico e cardiopatico: l'Iliade si trasforma così in Odissea e Philips si ritrova a vivere una serie di peripezie in solitaria. Per tornare a casa, dovrà ricorrere alle sue doti umane (il rapporto tra i due capitani è lo spazio emotivo del film), all'astuzia e alla fede in un'entità superiore (i Seals).
L'ambientazione in alto mare, il ritratto lucido della Marina statunitense nei suoi vari gradi, l'impatto visivo e metaforico della piccola scialuppa circondata dalle enormi navi da guerra sono parte integrante dello spettacolo inscenato da Greengrass. Completa il quadro la performance di Tom Hanks e il cast di non professionisti che dà sguardo e sangue ai pirati somali. Non si cerchino, però, grandi spunti etico-politici: that's entertainment.

In "Captain Phillips" Greengrass lavora molto sul corpo (o meglio sul volto) degli attori e gioca sulla contrapposizione chiuso/aperto (la nave, le sale di comando militari, la scialuppa/l'oceano) mettendo in scena la limitatezza delle azioni umane, il senso di ineluttabilità, vale a dire deve andare per forza in questo modo, non ci sono alternative.  
Oltre la messa in scena di un episodio reale e all'utilizzo personale del mezzo cinematografico da parte di Greengrass, il film non presenta grandi spunti di riflessione. Vediamo in modo palese: ancora la grandeur a stelle e strisce con la Nazione Americana che non abbandona mai un suo uomo in pericolo, costi quel che costi; i somali poveri pescatori, costretti a fare i pirati perché non è rimasto altro; Phillips che rappresenta l'icona del buon marito e padre di famiglia, che fa il proprio dovere fino in fondo ed è tutto sommato un eroe per caso; ecc... Temi un po' abusati  e qui trattati con una certa superficialità. Greengrass non riesce a dire nulla di più di quello che si vede sullo schermo, la realtà - anche se romanzata - rimane cronaca che scivola dallo sguardo e non penetra nel cuore e nella mente dello spettatore…

Captain Phillips è in gran parte il suo film più maturo ma anche, tra le altre cose, il più didattico. Una parentesi della filmografia del regista di Bloody Sunday che stavolta non parte da una premessa così civile come potrebbe sembrare, traducendosi in una celebrazione dell’eroismo americano in fondo statica e senza troppo da dire, che mal si presta a essere dibattuta in termini controversi e ben si guarda dall’aprire squarci o imbandire tavolate intorno alle quali consumare diatribe ideologiche. Ne deriva un intrattenimento solido che finisce col vergare il film col suo imprimatur rendendolo avvincente ma allo stesso tempo in gran parte prevedibile dall’inizio alla fine, sebbene Greengrass sia come al solito molto abile nel capitalizzare il dinamismo, nel metterlo a frutto, nel sopperire alla carenza di memoria dell’immaginario contemporaneo che tutto frulla e rielabora nel calderone dalle ansie postmoderne con un classicismo non tanto stilistico quanto morale…
da qui

2 commenti:

  1. francesata e italianata non significano niente, americanata, per miracolo, sì.
    si dividono in buone e cattive, ben fatte e mal fatte.

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