lunedì 9 settembre 2013

Infancia clandestina - Benjamín Ávila

sono ormai numerosi i film ambientati nel periodo della dittatura argentina della seconda metà degli anni '70, tutti necessari.
alcuni, come questo, raccontano con lo sguardo di un bambino l'enormità del dramma che si viveva.
Juan/Ernesto è il protagonista, ha come "consigliere" lo zio Beto (bravissimo), che assomiglia molto a Frank Zappa (una coincidenza, ma bella). 
le scene violente sono a fumetti, una scelta perfetta.
se arriva nella vostra città, non fatevelo scappare, non ve ne pentirete - Ismaele




...Una parte della storia dell’Argentina viene restituita attraverso gli occhi di un bambino, fin troppo maturo per la sua giovane età ma allo stesso tempo ancora troppo giovane per poter capire le implicazioni delle azioni sue o degli altri. Così, riesce ad accettare di buon grado la prospettiva di cambiare completamente identità, diventando per tutti Ernesto; si stupisce quando i suoi nuovi compagni di classe gli intonano una canzone di “buon compleanno” in un giorno che a lui non dice nulla ma che fa fede al suo nuovo documento; riesce a far rientrare nella sua vita diversa la normalità di una festa.  La sua è semplicemente una vita diversa. Anche il giovane amore con Maria, la sorella di un suo amichetto, viene vissuta con la goffezza di un ragazzino e la risolutezza di un adulto, riuscendo allo stesso tempo a commuovere e a far sorridere. Ruolo non da protagonista ma sicuramente predominante è quello di zio Beto, magistralmente interpretato da Ernesto Alterio. L'uomo, infatti, sembra essere una sorta di alter ego di Juan: mentre il piccolo affronta la vita con gli occhi da adulto, zio Beto riesce a lanciarsi nella mischia con l’innocenza di un bambino, cogliendo il senso più profondo della capacità di disfrutar (che non ha una traduzione univoca in italiano, ma si avvicina al concetto di “godere di ogni momento”). E per concludere, quando la violenza potrebbe ferire gli occhi, le immagini si trasformano in una sequenza di disegni, come se quelle scene non fossero state vissute ma facessero parte di una storia a fumetti. Questo film ha tutte le carte in regola per poter fare strada.

Infanzia Clandestina pone domande complesse e non dà risposte, se non nell'insegnamento fondamentale che il magnetico zio Beto, anche lui guerrigliero, tramanda al nipote Juan, esortandolo a non tradire mai se stesso, qualunque cosa decida di fare nella vita.
Al valore di tematiche così importanti si aggiungono meriti squisitamente cinematografici: un cast sempre all'altezza del difficile compito, una sceneggiatura ben scritta - che sa far ridere e piangere subito dopo, senza mai appesantire, anche nelle situazioni più drammatiche - e una regia sicura, non invadente, ma capace di soluzioni peculiari, come l'uso del disegno animato nelle sequenze più violente, quelle che la mente di un bambino non può concepire, persino quando i suoi occhi ne diventano testimoni innocenti.

…Quello che davvero convince di questo film è però la complessità di relazioni e temi che riesce a fare affiorare senza mai sbattertela in faccia con discorsi esplicativi e pomposi, senza mai cercare facili scappatoie e soluzioni semplicistiche. Con estrema delicatezza e naturalezza, attraverso scene costruite in modo semplice e diretto e fotografate con maestria da Ivan Gierasinchuk, seguiamo la storia di un bambino costretto a crescere prima del tempo, e le scelte sofferte e consapevoli di genitori che, vivendo nella clandestinità, portano con sé anche i figli nella lotta per i propri ideali. Una complessità che non vuole cercare prese di posizione, ma rispecchia semplicemente l'affacciarsi del protagonista all'età adulta.
Infancia Clandestina è stato per me la sorpresa di questo Festival di Cannes e, due anni dopo Il segreto nei suoi occhi, una nuova conferma del valore del cinema argentino oggi.
Il film è stato seguito in sala da dieci minuti di standing ovation. Se bastasse questo a garantirgli una distribuzione in Italia... 

Il primo lungometraggio a soggetto di Benjamin Avila, figlio di una desaparecida,parla del retroterra umano dell’ideologia militante, della necessità di essere uomini, prima che soldati. Questa è la parte più difficile della missione, ma è parte integrante dell’obbligo a non avere paura. L’anima non si può mutilare per il timore di finire in carcere, o, peggio, uccisi a sangue freddo. Il martirio, prima che sacrificio di sé, è testimonianza, concreta, esemplare e coraggiosa, di una realtà che sfida le logiche del tempo, però è certamente possibile. È in questo senso che l’innocente semplicità coltivata da Juan diventa grande: un bambino riesce ad essere se stesso, fino in fondo, senza riserve, fuggendo quando dovrebbe restare, fermandosi quando le circostanze imporrebbero di correre via per mettersi in salvo. L’eroismo è una questione di sincerità e coerenza, di fiducia incondizionata nel domani, che sdrammatizza la pericolosità dell’avversario, sottraendogli autorevolezza fino a farlo sentire impotente, sotto la facciata della sua ostentata arroganza. Questa è una storia come tante; è continuamente insidiata dallo spettro della morte violenta, che però non ne intacca la tensione emotiva fatta di piccoli sobbalzi del cuore. I proclami ideologici e le condanne politiche possono urlare, dentro le teste e nelle piazze, ma, nell’universo segreto della nostra interiorità, siamo tutti i silenziosi sovrani di un regno che, senza brame di potere né ambizioni di conquista, vive intensamente la sua umile pace.

…Fantásticamente presentado, prácticamente espontáneo de puro meticuloso en su puesta en escena, lleno de ecos de las voces de aquellos que se fueron para no volver, este drama desarrollado en torno a garajes, falsos cumpleaños y reuniones familiares de rostros vendados encuentra en Teo Gutiérrez Moreno un sorprendente enganche universal, tal es el equilibrio entre sobriedad y emoción que respira la interpretación del muchacho en el que supone su primer trabajo cinematográfico. “Infancia clandestina” debe degustarse despacio, con consciencia y un poso de amargura. Como un recuerdo del pasado que no se debe olvidar. Como rememorar a nuestro tío favorito aconsejándonos acerca del misterio de la mujer, comparada imposiblemente con el disfrute de un sencillo maní con chocolate.

Teo Gutiérrez Moreno, comme l’ensemble du casting, est formidable dans le rôle du jeune garçon, arrivant à rendre complexe son amour partagé entre une vie réelle et une autre imaginaire. Mais celui qui emporte encore plus notre adhésion, c’est Ernesto Alterio qui joue l’oncle Beto. Avec force humour, humanisme et romantisme, il est ce modèle pour l’enfant mais aussi pour le spectateur, qui sera immortalisé dans une scène tournée en film d’animation, un parti pris intéressant, réussi et finalement logique pour un film dont l’histoire est vue (ou imaginée) au travers des yeux d’un enfant !
Si le sujet sent le déjà vu – et au bout du compte ennuie un peu – force est de constater que Avila a souhaité ajouter de l’audace dans la mise en scène, le rythme et le montage, plutôt bien maîtrisés. « Enfance clandestine » rappelle aussi l’existence du militantisme des années 1970 en Argentine et au-delà, l’importance de se battre pour ses idées. Avec « No » de Pablo Larraín, également présenté à la Quinzaine des réalisateurs de Cannes 2012, le film de Benjamin Avila est le deuxième porte-étendard d'un cinéma latino qui se porte très bien !

…Et tous ces problèmes, auxquels sera confronté le jeune garçon, seront comblés par un peu de beauté. Benjamin Avila a choisi de ne pas faire que dans la tristesse ou l’horreur facile. Il ne s’agit pas ici de démontrer. Mais d’émouvoir. Et cette émotion passera par l’horreur, mais également par la beauté. Car au milieu de tout ce carnage (à cause de la politique), le jeune garçon va tomber amoureux. Et là, Benjamin Avila nous offre des scènes splendides où lyrisme et amour se mélangent. Cela sonne comme une échappée dont tout le monde aurait voulu en ces temps de tourmente…
Enfance Clandestine est un film entre récit initiatique et fresque historique. Entre la pression familiale et la guerre, nous avons ici un jeune garçon qui subit. Il subit les choix et règles des adultes, alors qu’il n’a rien demandé. Il veut juste vivre sa vie, et être heureux. De là apparaît deux contrastes : un côté d’horreur avec la guerre, et un côté beauté avec le jeu de l’enfance. A travers une réalisation ludique et inspirée, Benjamin Avila nous sert un pan de l’Histoire de l’Argentine sous le prisme de l’enfance. Un film fascinant doté de suspense et d’émotions.
da qui

2 commenti:

  1. Me lo consigliò bombus e mi piacque subito. Film intelligentissimo, da vedere. Credo di averlo passato almeno ad una decina di persone, temendo non uscisse al cinema

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  2. io ho aspettato che passasse al cinema, questa volta sono stato fortunato.
    il regista è figlio di una desaparecida, e tutto sembra ancora più vero

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