lunedì 16 settembre 2013

Che Strano Chiamarsi Federico - Ettore Scola

più che un omaggio è un atto d'amore, e un film di grande bellezza.
chi non va al cinema a vedere questo film dovrà portare la giustificazione, senza imbrogliare.
come diceva Vulvia (Corrado Guzzanti): sapevatelo! - Ismaele



…Il film è un susseguirsi di fiction e immagini di repertorio, alternando bianco e nero e colore, sempre sospeso tra poesia e racconto. Certo lo stile di Scola (e soprattutto i suoi tempi filmici) sono un po' desueti, e in certi parti la narrazione assomiglia più a un buon sceneggiato televisivo piuttosto che a un film, ma Che strano chiamarsi Federico ha il merito di riportarci indietro nel tempo all'età d'oro del cinema italiano, e di far conoscere quell'epopea ai giovani spettatori (che speriamo trovino il tempo, la voglia e gli stimoli per andare a vederlo). Un'epoca forse irripetibile, inimmaginabile ai tempi nostri, di cui queste immagini e questo film contribuiscono a tenere vivo il ricordo. E che anche solo per questo merita la visione.

Non c'è abbandono al nostalgismo di epoche dorate perdute, se pur facile approdo per tutti e sovrappiù per chi ha vissuto la floridezza di un vivaio culturale come il Marc'Aurelio, di cui Scola dà una fervida riproduzione su schermo, né si tratta di un articolato e furbastro tentativo autoreferenziale, semmai un intimo omaggio - lo spettatore può sentirsi come l'usurpatore di una confessione privata -  dall'ambivalenza autobiografica, fruita in terza persona. L'idea di utilizzare lo Studio 5 di Cinecittà, dove Fellini aveva la sua "seconda casa" e una folla commossa nel 1993 l'aveva salutato per l'ultima volta, e ancora la trovata di farlo parlare attraverso la sua voce, i suoi personaggi e le suggestioni della sua poetica che ammanta ogni cosa, finanche il finale; tutto concorre a fare di quei 90 minuti trascorsi in sala, non un film, ma il lungo abbraccio di due amici al ritrovarsi alla fine di un viaggio. E regala a Fellini l'uscita di scena che - probabilmente - avrebbe sempre voluto.

Il film di Ettore Scola dedicato al ricordo dell’amico Federico Fellini funziona come il racconto di un nonno fatto al nipote seduto sulle proprie gambe. Una rievocazione alla quale si perdonano lentezze e lacune, che ci commuove per l’uso della prima persona, per il trasporto e la tenerezza con la quale torna alla propria gioventù e agli anni passati, ma che ci inchioda alla poltrona se il nostro vissuto è distante troppe decadi dai fatti che scorrono, come sogni, sullo schermo…
da qui

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