venerdì 14 maggio 2021

Come pietra paziente – Atiq Rahimi

Golshifteh Farahani è l'anima del film, regista e autore del romanzo è Atiq Rahimi.

in una situazione deprivata, con un marito in coma, lei (ri)nasce, attraverso i monologhi dei suoi pensieri al marito immobile, che non può mai interrompere la moglie, che pensa e parla.

poi arriva un ragazzo talebano, e lei lo adotta come amante che paga, almeno all'inizio.

un film dove sembra non succedere niente, ma succede tutto.

buona visione - Ismaele


 

 

 

 

…E’ un film coraggioso Come pietra paziente. Perché ha il coraggio di scegliere la luce e le parole come linguaggio predominante. Il lunghissimo racconto della protagonista riempie tutta la pellicola e sarebbe stato molto facile suscitare noia nello spettatore. Invece non succede mai. Perché è evidente la forza delle parole pronunciate dalla donna; è evidente la verità che viene fuori in tutta la sua forza dirompente perché non può essere ignorata. Perché quando si ha il coraggio di tirarla fuori la verità non può più essere nascosta.

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Come pietra paziente parte con lentezza e poi cresce, insieme al processo di maturazione della donna, che impaurita e trascurata via via acquisisce coraggio e malizia. Fino a quel sorriso dell’ultima inquadratura, che racchiude emozioni forti, contrastanti come la lacrima e il rossetto accostati. La splendida Golshifteh Farahani riesce a far vibrare il suo personaggio di rabbia e dolcezza in ogni momento, e a catalizzare l’attenzione dello spettatore anche quando il regista vuole trasmettere la noia esasperante della sua vita, cui fa da contraltare solo la paura. Poi subentra l’amore delicato di chi non comanda e preferisce lasciarsi guidare. Ma la protagonista indiscussa è sempre lei: il suo viso valorizzato di continuo dalle inquadrature, la sua nudità soltanto suggerita, i suoi sorrisi che poco a poco rimpiazzano le sue espressioni scorate…

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…La punta di diamante di questo adattamento è Golshifteh Farahani, la più nota attrice iraniana contemporanea. La più ambita, la più apolide e discussa: dopo una foto di nudo per una campagna pubblicitaria sui diritti della donna si è stabilita anche lei in Francia. L'attrice è praticamente presente in ogni sequenza e, sebbene indiscutibilmente brava, risulta forse troppo bella e di eccessiva personalità per instaurare quel rapporto di necessaria adesione verso un verosimile immaginario in grado di abbracciare tanto la sensibilità occidentale quanto quella locale. Il passaporto iraniano suggerisce una condizione critica che riguarda più luoghi e zone del Medio Oriente. Ma l'autore vuole forse spingersi oltre. A fare da biglietto da visita al suo film basterebbe l'epigrafe di Artaud che ha scelto per il suo romanzo: "Dal corpo attraverso il corpo con il corpo dal corpo e fino al corpo. Non c'è nulla di più politico del corpo, in particolare di quello femminile. Dalla notte dei tempi il corpo ci ricorda che non siamo niente sulla terra. Si nasce, ci si trasforma, ci si ammala, si muore, si sparisce. Per consolarci abbiamo inventato lo spirito, qualcosa di immortale e abbiamo concepito l'anima".
Un proclama sin troppo ambizioso, probabilmente. Il passo narrativo sposa il metodo della Farhadi (e viceversa): basandosi su un impianto realista, travalica l'impatto naturalistico sposando contemporaneamente la forma romanzo e quella teatrale.

I personaggi non hanno nomi - a evidenziare una simbologia aforistica talvolta pretenziosa - ma sono emblemi o semplici comparse di un universo che gira intorno alla figura Femminile.
Quello della protagonista è un incessante monologo che sussurra, indica, confessa, urla, rigetta anima a corpo alla pietra paziente che attende di (auto?)distruggersi. E' in fin dei conti un soliloquio che trascende le quattro pareti nel quale è rintanato.  E' un discorso potente e provocatorio, insoluto nel raccontare il qui e l'altrove, nella necessità di ricorrere a effetti melodrammatici (non di primissimo ordine) per sciogliere i nodi del discorso…

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Come pietra paziente cerca di raccontare i dolori e le speranze che si celano dietro alla stoffa spessa dei burqa portando sullo schermo una confessione intima, delicata e al contempo rabbiosa, incorniciata dalla splendida fotografia di Thierry Arbogast: il film è solido nella sua essenzialità, ha ben chiari i propri obiettivi e riferimenti anche se forse non sempre pare riuscire a restituire concretezza alle sue potenzialità, restituendo talora l’impressione di una impalpabile patina di freddezza e distacco empatico rispetto alla storia. Resta però lo slancio verso la luce di una femminilità ritrovata, che passa attraverso la consapevolezza della propria forza, della propria auto-determinazione, delle proprie aspettative: “Sono diventata profeta!” esclamerà la donna alla fine del suo percorso, dove sesso, amore, famiglia, morte, guerra, libertà si fondono in un viaggio a tutto tondo che scava nel dolore alla ricerca di una nuova rinascita.

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se è impossibile non tener conto del contesto geografico e culturale in cui si sviluppa la storia, il pensiero va, comunque, agli innumerevoli casi di femminicidio, negli ultimi tempi sempre più gravi e numerosi, che non fanno che confermare lo squilibrio di valore tra i due generi anche in civiltà apparentemente più avanzate come quelle occidentali. Il femminile esce come un gigante da questa pellicola, a fronte di un maschile che si dimostra umanamente insignificante nella sua pura ed unica naturale tendenza a soddisfare gli stimoli fisici e ad indulgere alla violenza e alla sopraffazione. E ti chiedi quanto più bello sarebbe il mondo se solo fosse governato dalle donne.

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