lunedì 22 aprile 2019

Insyriated – Philippe Van Leeuw

la guerra vista da dentro, in una casa di Damasco, fuori ci sono le bombe e i cecchini, dentro la casa una famiglia che cerca soltanto di sopravvivere.
la guerra passa da essere parola di sei lettere nei cruciverba a una cosa concreta, pericolosa, e senza fine.
chi sta al caldo nella sua casa sicura non capisce le parole, e vedere un film così farà capire meglio le cose, e magari vedere che chi cerca di scappare è gente uguale a noi, e solo per caso non ci siamo noi al loro posto.
un film che merita, non si dimentica facilmente - Ismaele







Un film emotivamente devastante, quello realizzato da Van Leeuw, interamente ambientato all'interno di un appartamento nel corso di 24 ore appena. All'esterno di quella casa impazza la guerra siriana, con le bombe che devastano Damasco giorno e notte, gli aerei che sovrastano i palazzi in ricognizione, i cecchini appostati sui tetti uccidono a sangue freddo chiunque osi uscire in strada e gli sciacalli, immancabili, fanno razzia di gioielli e oggetti di valore stuprando donne e rapendo bambini, poi da rivendere tramite mercato nero…

La guerra in Siria, ma quella vista da dietro le tende sempre chiuse, attraverso le finestre che non si possono mai aprire, attraverso lo sguardo delle donne che combattono in casa quanto gli uomini in città. La guerra in Siria è quella che costringe una famiglia qualsiasi in un giorno qualsiasi a nascondersi nella propria casa e a sperare di vivere anche quando la morte sembra a ogni bombardamento più vicina. Con coraggio e determinazione Oum Yazan (Hiam Abbass) difende il proprio nido, raccogliendo attorno a sé i suoi figli, suo padre anziano, la domestica e i vicini, giovani sposi con un neonato, che invece pianificano la fuga in Libano. Divisa tra partire e restare, la famiglia è costretta ad affrontare giorno per giorno la fame, la paura, l'angoscia nel silenzio di un segreto che non deve essere rivelato, nel timore di scoprire che il mondo non sarà più lo stesso.

Un uomo corre furtivamente attraverso il cortile interno di un condominio; un colpo di fucile esplode da un tetto e l'uomo cade a terra, privo di vita. Una domestica raggiunge immediatamente la propria padrona di casa per raccontarle la scena a cui ha assistito e per capire come agire: la moglie dell'uomo assassinato è la loro vicina di casa, che da qualche giorno si è rifugiata con il figlio nel loro appartamento, in attesa del momento opportuno per fuggire. In quella casa, tra anziani, ragazzini e donne, sono in nove; fuori c'è una guerra terribile e onnipresente. Fuori c'è la morte certa. Il loro è l'ultimo appartamento abitato di tutto il quartiere: una sorta di fortezza che Oum Yazan, la tenace protagonista del sorprendente Insyriated di Philippe Van Leeuw, non vuole abbandonare per nessun motivo.
Nessuno deve sapere della morte dell'uomo: nessun elemento esterno deve poter entrare nella casa poiché anche la più piccola delle crepe, visto l'orrore di cui il mondo al di là delle mura è colmo, rischierebbe di trasformarsi in una voragine irreparabile. Per Oum Yazan l'appartamento rappresenta tutto ciò che le è rimasto; i suoi familiari e gli oggetti di una vita riempiono ogni spazio di quel microcosmo e nulla può farla sentire più al sicuro; attendere che suo marito torni per salvarla è davvero l'unica cosa da fare…

Insyriated induce un qualche sospetto di uso del dramma siriano a fini di spettacolo, quando si accentua la parte melodrammatica, con perfino un tentato stupro. Philippe Van Leeuw fatica a tenere insieme i vari registri, le tonalità così diverse di un film sospeso tra denuncia, noir e family drama. E sospeso, anche, tra un fare cinema più classicamente europeo e certi eccessi fiammeggianti da tradizionale cinema arabo. Il personaggio della giovane moglie del ragazzo cecchinato porta con sé e immette in Insyriated, in contrapposizione alla rigidità ipercontrollata di Oum Yazan, un troppo di sentimento, di fremiti, tremiti e lacrime che viene dal glorioso cinema popolare egiziano o dalle novelas siriane prebelliche. Un turgore cui contribuisce l’interpretazione dell’attrice libanese Diamand Abou Abboud. E a questo punto si rimpiange che il belga Van Leeuw non si sia sfrenato, non abbia mollato gli ormeggi modellando tutto il film secondo gli stili e i codici di quel cinema arabo. Ne sarebbe uscito un Insyriated forse con minore appeal sul pubblico europeo polticamente sensibile, ma di sicuro più interessante, più azzardato.

La forza centripeta della narrazione, che addensa tensioni e conflitti nell’angusto microcosmo delimitato dalle pareti dell’appartamento, si allenta nel finale. Riconosciamo allora, nei pochi, occasionali slanci verso l’esterno – il recupero di Samir, la telefonata a Monzer, lo sguardo intenso di Mohsen Abbas sul quale si chiude il film – i lineamenti della speranza, che come un celebre mito suggerisce è l’ultima dea cui rivolgersi quando non si hanno altre risorse. È dunque dalla speranza in un futuro radioso, migliore, o semplicemente "ordinario", che i personaggi traggono la forza e la capacità di adattamento necessarie per affrontare un presente turbato dall'eccezionalità della guerra. Intenzionalmente estraneo alle polemiche partigiane e scevro da colorazioni politiche, "Insyriated" esplora insomma l’elemento fondante di ogni società civile – la famiglia – allo scopo di indagare il rapporto fra guerra e quotidianità in una prospettiva equilibrata ed empatica, rivolta, come ha dichiarato il regista, "au coeur de l’humain".

Giunto all’opera seconda il direttore della fotografia Phillippe Van Leeuw dimostra di sapere controllare lo spazio scenico e di sapervi muovere le figure che lo attraversano, ma la sorpresa sta altrove: per esempio nella capacità di procedere per sineddoche, facendo del conflitto che si sviluppa tra le donne del nucleo famigliare  il prototipo in scala minore di quello in corso per le strade del paese. Così. alla stregua di quanto è successo nel territorio siriano dove da un giorno all’altro le comunità locali si sono ritrovate una contro l’altra armate, così Insyriated ci mostra come l’alterazione degli equilibri famigliari, l’ansia e la paura riescano a disintegrare il sodalizio delle protagoniste, le quali, sole e indifese contro un nemico invisibile, reagiscono prendendosela con chi gli sta accanto. Aiutate da dialoghi tanto efficaci quanto essenziali a essere determinate per la riuscita del film sono la performance delle attrici, con una menzione particolare per  Hiam Abbass, vera e propria icona del cinema mediorientale (La sposa siriana, L’albero di limoni) e per la new entry Diamand Bou Abboud, già apprezzata ne L’insulto. 

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