martedì 26 agosto 2014

I dannati di Varsavia (Kanal) - Andrzej Wajda

nell'estate del 1944 l'Armata Rossa era dall'altra parte della Vistola, a Varsavia, la sconfitta della Germania nazista era vicina.
l'esercito polacco prese l'iniziativa e ci fu, dal primo agosto al 2 ottobre del 1944, una sollevazione contro i nazisti che occupavano Varsavia.
per quei due mesi (e anche dopo) l'armata Rossa non venne in aiuto dei patrioti polacchi e Varsavia venne distrutta dai nazisti, fu una carneficina.
Andrzej Wajda racconta gli ultimi momenti della Resistenza, la prima metà del film è drammatica, i pochi partigiani sono assediati, non possono tenere nessuna posizione, la seconda parte, ancora più drammatica e claustrofobica, è quella del tentativo di fuga attraverso le fogne.
non puoi che essere dalla parte dei partigiani e soffrire con loro, eroi senza speranza.
dopo che si è saputo di Katyn  (Andrzej Wajda ne ha tratto un film grandissimo, qui), oggi la spiegazione dell'immobilismo dell'Armata Rossa può essere interpretato come la seconda parte del lavoro fatto a Katyn da Stalin.
qualche anno fa è stato trasmesso da Fuoriorario, sempre sia lodata, e si può trovare qui.
guardatelo, è grande Cinema - Ismaele


PS: mi viene da pensare a come la Storia si ripete, come a Varsavia allora, oggi a Gaza c'è un assedio, i resistenti palestinesi vengono ammazzati nei tunnel, anziché nelle fogne, e una potenza di fuoco enorme distrugge la striscia di Gaza, e qui non c'è l'Armata Rossa dall'altra parte del fiume, a Gaza c'è il mondo intero che vede tutto e nessun esercito si muove, come ai nazisti allora oggi agli israeliani viene concesso tutto il tempo necessario per la carneficina.






E’ un film sulla resistenza al male ontologico della guerra, in cui non esistono eroi vittoriosi, ma solo eroici perdenti, dannati in un inferno costruito dall’uomo e per l’uomo, in cui non esiste luce né speranza, ma solo uno stretto e melmoso labirinto di voci e di disperati umori, i bassifondi della città, infernale rappresentazione d’un limbo ch’è condizione umana d’una sfortunata quanto coraggiosa insurrezione e, forse, d’un popolo intero, a cui la storia ha raramente sorriso.

Repressa la rivolta i tedeschi rasero al suolo, con cannonate ed esplosivi, ogni singolo edificio di Varsavia. Cose che mettono i brividi. Non parliamo di un villaggio, si tratta di una capitale, e i tedeschi, pure ormai consci della sconfitta che li attendeva, ancora procedevano con quella determinazione distruttiva. Anche questo ci verrà mostrato.
E' un film che, se anche non poté denunciare appieno tutte le ragioni storiche dell'accaduto, mostra con un notevolissimo realismo quella che fu l'esperienza di quei disperati. Le scene in esterni, che probabilmente hanno potuto godere (si fa per dire) dei molti luoghi ancora da ricostruire, trasmettono tutta la sensazione di apocalittico che quei giorni contenevano. Sopravvivere a vicende del genere può persino diventare una colpa, e il finale è un vero colpo al cuore. In questo senso la locandina originale, con quell'uomo che si "scioglie", una figura che ancora in piedi già si decompone, è tragicamente bella…

Dal punto di vista artistico il film di Wajda è stato valutato dalla maggior parte dei critici e degli spettatori in modo positivo. Ne è prova il fatto che gli sia stato assegnato il Premio Speciale della Giuria, la Palma d’Argento al decimo Festival Internazionale di Cannes nel 1957. “Il film polacco ha svolto il ruolo dell’ambasciatore dei cambiamenti della nostra cultura - scrive il corrispondente da Cannes Jerzy Plazewski citando una serie di interessanti opinioni dei critici stranieri - André Bazin dei “Cahiers du Cinema” ammira le scene sulle barricate, e soprattutto la birbantesca gioia di Janczar dopo aver neutralizzato un Goliat, il carro armato nazista. Edward de Laurot (“Film Culture”, New York) sottolineava la densità alla Clouzot e la “mancanza d’aria” delle scene girate nelle fognature. Per Doniol-Valcrose del “France Observateur” Wajda è un regista completamente maturo. A sentire Lindsay Anderson (“Sight and Sound”, Londra) il nostro film si merita il premio. Il più critico è Ugo Casiraghi (“L’Unità”): egli sostiene che al film manchi uno sfondo più vasto e che il conflitto si svolge in maniera troppo individuale. In compenso si dice conquistato dalla recitazione degli attori”. Altrettanto positivi sono i pareri pubblicati sulla stampa. Secondo il giornale francese “Nice Matin” “le sensazioni provocate dai più famosi film “noir” non sono nulla al confronto con quelle emozioni sconvolgenti che ci accompagnano, che ci torturano durante la proiezione del film di Wajda. Un film fatto alla perfezione. Un film che colpisce e affascina”…

Polish director Andrei Wajda finds a sobering metaphor for the dehumanizing nature of war inKanal, his relentlessly bleak war drama set during the Warsaw uprising of 1944, by following a large group of civilians and soldiers in the Polish Home Army Resistance as they attempt to escape from certain death by retreating through the watery labyrinth that is the sewer system. Made to run from imminent danger like helpless sewer rats, they descend midway through the film into what is nearly a literal hell, as the Nazis above use their booby traps and machine guns to easily pick them off whenever they dare surface. The mood, which steadily moves from desperate to fatalistic, makes Kanal difficult to watch, especially since the second half of the film’s claustrophobic setting stands in stark contrast to the wide open, if war-torn, spaces of the first, but the history behind the hopeless situation would make feel-good or even sustained hopeful moments inappropriate. Despair dominates here and once he gets down and dirty in the sewers, Wajda makes no concessions toward his audience in lessening the severity of his vision, for better or worse…

Prix spécial du Jury à Cannes en 1957, Kanal est composé de deux parties. La première narre, avec une louable économie de moyens, les combats désespérés menés par un groupe de résistants dans un Varsovie laminé par les bombardements allemands. L’ennemi est rarement filmé, et le réalisateur excelle à dépeindre ce mélange paradoxal de combativité, découragement, solidarité et peur, qui atteint un microcosme représentatif de la résistance polonaise. La seconde partie, d’une noirceur totale, relate la fuite dans les égouts. La tonalité tant naturaliste que surréaliste est saisissante, et un superbe noir et blanc crée à merveille une sensation d’étouffement. Wajda ne cherche pas les effets : si la partition musicale est d’un beau lyrisme expressionniste, elle ne surligne jamais l’action ; si les drames individuels rejoignent le malheur collectif, jamais la mise en scène ne verse dans le misérabilisme et l’émotion facile. La plus belle séquence montre un jeune couple apercevant la lumière au bout d’un tunnel. Leur étreinte de joie est de courte durée car la sortie est impossible : les Allemands ont grillagé le tunnel. L’homme étant invalide et ne pouvant marcher, le couple ne pourra que rester assis en attendant la fin. Wajda est également subtil dans ses métaphores politiques : la dislocation des membres qui se perdent dans les égouts symbolise la déstabilisation de l’unité nationale, et l’inactivité des Soviétiques, jamais évoquée explicitement, n’en est que plus évidente…

With the Warsaw Uprising coming to a bloody conclusion, an all but beaten company of resistance fighters is given the order to retreat through the city’s sewers to its centre. Reluctant to do so, with each member already seemingly resigned to their inevitable demise, the company nevertheless follows its orders, descending into the hellish stink below, but soon comes to find that its new environs are every bit as challenging as the rubble-strewn, Nazi-infested streets it had just fled. Solidly crafted, fascinatingly plotted, and well-acted, this influential war drama nevertheless fails to deliver the nightmarish, visceral punch that it should have, with the anxiety-ridden, claustrophobic horror of its situation never quite coming across

La critica di Guido Aristarco (Guida al film, Fabbri Editori) :

L'unica autentica novità rispetto ai film polacchi, scarsamente significativi, degli anni Cinquanta, che troviamo ne I dannati di Varsavia è nella scelta del soggetto del film, un episodio della rivolta antinazista di Varsavia: avvenimento storico, questo, ignorato e censurato dal regime filosovietico del dopoguerra. Nel 1944, quando già i soldati dell'Armata Rossa avevano raggiunto la sponda della Vistola prospiciente la capitale polacca, più di quarantamila militari e abitanti della città lottarono per due mesi, casa per casa, contro le preponderanti forze tedesche, e furono massacrati senza che i sovietici intervenissero per impedire la feroce repressione. Argomento del film è la tragica fine dell'insurrezione: la fuga attraverso le fogne di Varsavia, di un gruppo di partigiani polacchi ormai impotenti nel fronteggiare gli aerei e i carri nemici.
Solo in apparenza Wajda esprime le istanze popolari antisovietiche e l'«ansia di libertà» di quel momento storico, mentre nega in realtà ogni possibilità di liberazione e di cambiamento, mostrandoci una vicenda in cui i polacchi-patrioti-buoni-puri-altruisti-cattolici diventano martiri della ferocia nazista e del disinteresse sovietico. Nelle fogne di Varsavia muore la libera Polonia e inizia la schiavitù sotto la «dittatura». Il regista non vede prospettive di cambiamento della situazione presente e passata, non vede alternative alla dittatura, trova elementi degni di fiducia solo in dimensioni astratte: il coraggio, lo spirito di sacrificio, la fede dei singoli, ricompenseranno, in una vita futura, coloro che oggi sono sconfitti. Wajda approfitta della fine dello stalinismo non per proporre modelli di vita più avanzati, ma per dichiarare apertamente la propria individualità nazionale, religiosa e ideologica, e per piangere sulla «servitù» inevitabile del suo paese. Non vuole capire razionalmente le cause di un certo sviluppo storico, non si chiede quali fossero le divergenze ideologiche e strategiche che nel '44 dividevano profondamente i partigiani polacchi dallo Stato maggiore sovietico, non prende in considerazione, osservando un evento del passato, né i mutamenti sociali che, bene o male, il regime socialista introdusse in Polonia nel dopoguerra, né alcun altro elemento utile a un dibattito politico. La guerra è per lui una condizione esistenziale in cui trionfa il Male, i suoi personaggi sono situati fuori del tempo, fuori della storia: essi incarnano la situazione eterna e permanente dei «santi» martirizzati dalle dittature. In genere, i film dell'Europa dell'Est che negli anni Cinquanta affrontavano il tema della Resistenza si conformavano al rigido schema dell'esaltazione patriottica dei combattenti per la libertà, rappresentando con toni retorici soltanto gli aspetti «eroici» della lotta partigiana, lotta in cui le due parti avverse erano i termini antitetici d'una visione della storia moralistica e manichea. Wajda non rifiuta questi schematismi e non va al di là di una superficiale esaltazione dell'eroismo, in quanto i personaggi de I dannati di Varsavia, pur sofferenti, spaventati, sconfitti, destinati a morte sicura, sono pur sempre eroi, simboli di virtù degne di ammirazione incondizionata, archetipi dotati di scarsa credibilità (mentre combattono o fuggono il nemico, parlano sempre di «grandi temi» astratti - l'amore, la libertà, la dignità umana - mai dei problemi tattici o politici della loro lotta). Un individuo perde la ragione, uno tradisce, uno pensa solo a sé; dal confronto con costoro risultano maggiormente esaltati gli «eroi» che resistono fino alla morte, sacrificano la vita per la salvezza altrui, sublimano in un purissimo sentimento amoroso il proprio istinto di conservazione.
Questi temi vengono affrontati da Wajda con un linguaggio molto simile a quello dei film d'azione americani. La struttura narrativa e il ritmo del montaggio tentano di creare una forte suspence ponendo in rilievo le reazioni istintive e irrazionali d'un gruppo di persone immerse in una situazione angosciosa. Il fine di tale procedimento è quello di provocare negli spettatori ansia prima, commiserazione poi, senza fare minimamente appello alla partecipazione intellettuale del pubblico. L'indubbia capacità di Wajda nel dominare il mezzo tecnico non produce ricerche stilistiche originali, ma esercitazioni formalistiche fini a se stesse le quali denunciano da un lato le non poche incertezze di un regista quasi esordiente, e dall'altro la loro affinità ai procedimenti formali tipici del cinema di consumo hollywoodiano.
da qui

2 commenti:

  1. Mi pare che questo film sia di molti anni precedente a Jatyn di Wajda stesso, giusto? Mi piacerebbe vederlo, perché ho visto Katyn e perché ho sentimenti di amicizia verso la Polonia e i polacchi.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ho scritto qualche giorno fa a un amico:

      dei polacchi si sa troppo poco, solo quando qualcuno vince il Nobel o muore qualcun altro si accorge che esistevano.

      Stalin li temeva, i polacchi (vedi Katyn e l'insurrezione di Varsavia), e
      questo me li fa volere ancora più bene :)

      I dannati di Varsavia (Kanal) è del 1957.

      Elimina