Yves
Boisset, regista di denuncia tra Italia e Francia - Giorgio Gosetti
Yves Boisset, il regista che si vantava di esser stato "l'artista più censurato di Francia", se ne è andato oggi a 86 anni nella clinica franco-britannica di Levallois-Perret, a pochi minuti da Parigi, dopo alcuni giorni di ricovero.
Era nato a Parigi il 14 marzo
1939 e si era ritirato nel 2010, probabilmente scoraggiato dalle pressioni che
lo avevano fatto desistere dall'ennesimo progetto di un film di denuncia.
Affiderà le sue memorie a una polemica autobiografia, "La vita è una
scelta" del 2011.
Per Boisset l'Italia e il suo
cinema hanno sempre giocato un ruolo importante. Figlio di un maestro di scuola
e di un'insegnante di tedesco, fin da giovane è un appassionato di cinema,
specie quello americano, e ne scrive a più riprese da critico, in particolare sotto
la guida di Bertrand Tavernier con cui collabora alla prima edizione di
"Vent'anni di cinema americano" nel 1960. È proprio il futuro regista
a presentarlo a Riccardo Freda che lo porterà a Cinecittà dopo averlo visto
all'opera come assistente alla regia per Yves Ciampi (il suo primo maestro sul
set), Jean-Pierre Melville, Claude Sautet. A Roma incontra Sergio Leone che lo
sceglie per il suo debutto ("Il colosso di Rodi",1961) e Vittorio De
Sica che si avvale della sua collaborazione per il quasi dimenticato "Un
mondo nuovo" del 1966 con Nino Castelnuovo. Sono gli anni d'oro delle
coproduzioni italo-francesi e Freda lo chiama, alla fine del decennio, per ben
tre film in due anni, formando il suo stile nel thriller e spy story, ma anche
nello spaghetti-western "La morte non conta i dollari".
In Italia scopre il cinema
d'impegno civile, si appassiona al lavoro di Francesco Rosi, Damiano Damiani,
Elio Petri e decide che quella sarà la sua vocazione in patria. Nel '68 debutta
riprendendo il personaggio di un agente segreto, parente stretto di 007, con
"Coplan sauve sa peau", ma già il successivo "Il caso Venere
Privata" (dal romanzo di Scerbanenco) conferma la sua vocazione civile.
Militante nel Partito socialista, propone la sua visione critica della polizia,
priva di morale e capace di infrangere la legge per ottenere risultati nel
successivo "L'uomo venuto da Chicago (Un Condé)" del 1970.
Brutalmente censurato fino a richiederne la distruzione dal ministero degli
Interni, il film esce comunque e il profumo di scandalo ne fa un successo. Sarà
questa deliberata unione di un linguaggio diretto e popolare sommato alle
battaglie in difesa della giustizia, a diventare l'immagine pubblica del
regista. Continuerà a far clamore nel 1972 con "L'attentato" sull'uccisione
del leader terzomondista Ben Barka; l'anno dopo se la prenderanno con lui gli
estremisti di destra dell'OAS per "R.A.S." sulle brutalità dei
francesi in Algeria; poi toccherà a magistratura e politica con "Il
giudice d'assalto" (1977). Tornerà, con ben altri accenti rispetto ai suoi
esordi, sull'oscuro mondo dello spionaggio ("Alzati spia", 1981).
Seguiranno le sue denunce sulla distorsione delle tv e dei media in "Il
prezzo del pericolo", la brutalità del mondo contadino ("Canicule"
con Lee Marvin), gli scandali della provincia ("Radio Corbeau"). Dopo
essersi scontrato di nuovo con le organizzazioni di estrema destra per
"Tribù" del 1990, Boisset decide di dedicarsi soltanto alla tv con
una serie di prodotti di elegante confezione ("L'affare Dreyfus" o
"Jean Moulin" candidato agli Emmy) che spesso non rinunciano alla sua
matrice più autentica, compreso il progetto (mai portato a termine per
pressioni politiche) di "Barracuda" scritto con Jean-Patrick
Manchette.
Robusto, gioviale ma facile alla
collera, sempre connotato dal suo giubbotto di pelle e dallo sguardo ironico,
Yves Boisset è stato un personaggio prima ancora che un regista. La sua voce
tonante contro l'ingiustizia, la sua difesa delle donne, gli umili, gli
"invisibili" è stata per la Francia un costante monito critico che
nessuno è riuscito a zittire se non la vecchiaia e il disincanto.
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