lunedì 14 settembre 2015

Non essere cattivo – Claudio Caligari

Claudio Caligari ha fatto tre film nella sua vita, sempre a livelli alti, senza scorciatoie, e l'ultimo, in certo modo, contiene anche i due precedenti.
è vero, come dicono molti, che il cinema di Caligari ricorda molto cinema Usa degli anni settanta, quello con Al Pacino e Robert de Niro, storie di disperati come quelle di Claudio Caligari, e non è un casi che Valerio Mastandrea si sia pubblicamente rivolto a Martino Scorsese per produrre "Non essere cattivo" (qui).
intanto Mastandrea ha spinto e contribuito alla promozione del film, che il regista non ha fatto in tempo a vedere in sala (qui Mastrandrea ricorda l'amico/maestro Claudio)
i ragazzi che sono sopravvissuti ai tempi di "Amore tossico", del 1983, (qui), o erano ancora bambini, sono cresciuti e sempre la droga è lì, un modo per fare soldi o per sballarsi.
rispetto a quel film qui i ragazzi sono più tristi e sopratutto hanno già visto gli effetti della droga e dell'Aids, c'è chi muore e chi sopravvive, come la sorella e la nipotina di Cesare, che ha una mamma distrutta dal dolore (per la morte della figlia e la malattia di Debora) e fortissima, anche per loro.
come nel film precedente, "L'odore della notte", del 1998, (qui), l'unica via d'uscita è mollare tutto per la famiglia, altrimenti la fine violenta è segnata.
Vittorio, l'amico di sempre di Cesare, conosce un altro Cesare, e anche noi ci commuoviamo con lui.
non perdetevelo - Ismaele






E’ una vergogna che il cinema italiano, che ha prodotto qualcosa come duecento film all’anno, in gran parte inutili, non abbia aiutato Caligari a fare i suoi film, tutti concentrati, e documentatissimi, su una sorta di storia di Ostia e quindi di Roma vista attraverso lo sviluppo della droga e della malavita.
E’ vero che questo film, in fondo, è una sorta di sequel di Amore tossico, ma come nessuno trattò come Caligari, nel 1983, lo sviluppo dell’eroina a Ostia, nessuno ha trattato dopo lo sviluppo della cocaina. E non è certo solo un problema di Ostia e di Roma. E nessuno è andato a vedere l’effetto che hanno fatto le pasticche e la cocaina nelle borgate e nelle classi meno ricche.
Il cinema italiano tende a nascondere certi problemi e certe storie, preferisce mettere i soldi sulle storie borghesi con le famiglie in crisi o nelle commedie. Caligari è andato dritto sulla sua strada con una forza di volontà degna dei suoi eroi perdenti…

“La vita è dura e se non sei duro come la vita non vai avanti”, dice Cesare, il più mosso, nevrotico, aggressivo dei due amici. E “andarsene da tutta ’sta merda” è più facile a dirsi che a farsi. “I sòrdi ce vonno”, e di conseguenza lo spaccio, perché “tanta gente ce campa”. I cattivi non sono solo cattivi, e non sempre è colpa loro se lo sono. La differenza con tanti film e libri che hanno cercato di raccontare questo purgatorio senza uscita è che Caligari lo conosce bene e ama i suoi personaggi, anche i più trucidi, perché sa vedere oltre e dentro. Perché sa, mentre quasi sempre gli scrittori e i registi non sanno, cioè vedono con gli occhi di chi sta fuori e non pensano neanche lontanamente a farsi carico di quei dilemmi, di quella condanna. Non capiscono e non possono capire, ma sono loro a costituire le schiere della “cultura” e i complici o difensori di fatto di quest’ordine delle cose, quali che siano le loro opzioni ideologiche…

Non essere cattivo è la fotografia della nuova borgata attraverso la storia di due amici Vittorio e Cesare, “fratelli di vita”, vita di eccessi – macchine, alcol, cocaina – finché Vittorio non incontra l’amore, Linda, e decide di cambiare, iniziando a lavorare come manovale, mentre Cesare si perde sempre più. L’aiuto di Vittorio, tornato proprio per Cesare, sembra risolutivo: lavoro, fidanzata, futuro, come lui. Ce la possono fare, esiste un’alternativa anche per loro. Ma tentare di salvare Cesare, per Vittorio significa rischiare il lavoro, persino perdere Linda, mettere in pericolo insomma quel poco che è riuscito a costruire. Di contro Cesare, dopo ripetute lusinghe dal vecchio mondo, cede definitivamente perché ha bisogno di soldi subito, e in borgata c’è solo un modo per fare soldi veloci.
Emanuel, nel ruolo tecnico di Assistente personale del regista, segue Caligari in ogni fase. Dalla documentazione, alla ricerca delle location, fino all’orsacchiotto.
“L’orsacchiotto è fondamentale nel film, vedrai…” Trovare un orsacchiotto sembra semplice. Nel caso di Caligari no. Anche sull’orsacchiotto lui ha un’idea precisa. Con Emanuel fanno il giro di giocattolai, centri commerciali, autogrill, passano giornate su internet, scoprendo che gli orsacchiotti si dividono in due grandi categorie: europeo e americano. Ma niente. “Nessuno era come ce l’aveva in testa Claudio”, sempre Emanuel.
La scenografa stremata, la troupe anche: non si può perdere tanto tempo su un pupazzo. Alla fine viene fatto a mano. “Che c’aveva di speciale? – s’inalbera Emanuel – pelo lungo, chiaro, e lo sguardo. Uno sguardo diverso dagli altri. Era l’orso di quando era ragazzino Claudio, lui rivoleva quello”.
Intanto la sceneggiatura è alla terza stesura.
Sceneggiatura scritta da Caligari con Francesca Serafini e Giordano Meacci. Non due sceneggiatori alla moda. Tutt’altro che glamour: lei cresciuta a Torpignattara, lui a Ciampino. Due outsider di talento. Entrambi allievi di Luca Serianni, lei scrive libri di linguistica e saggi narrativi (questo è il punto – Laterza, Di calcio non si parla – Bompiani), lui lavora in una libreria di Prati, e scrive romanzi, quest’anno, dopo dieci anni dall’esordio Tutto quello che posso (minimum fax), esce il nuovo romanzoIl cinghiale che uccise Liberty Valance. Serafini e Meacci danno struttura drammaturgica all’idea e al materiale, tanto che Caligari, dopo l’ultimo montaggio, confessa: “è più potente di Amore tossico.
Ma questo succede alla fine.
Prima c’è la scelta degli attori. Protagonisti: Luca Marinelli e Alessandro Borghi.
Emanuel fa un piccolo cameo in un’allucinazione di Vittorio.
“Claudio mi diceva: tu sei un diamante, ti devi solo sfinare. – racconta Emanuel – Anche alla mia ragazza: è perfetto, perfetto, ma quant’è rozzo… Per raffinarmi mi manda alla scuola di recitazione… due giorni sono durato. L’ho chiamato: Claudio, io il leone, la candela, la tazzina di caffè, non la faccio”.
E dunque: soggetto, sceneggiatura, location, orsacchiotto, attori.
Ospedale. Che non c’entra niente col film, ma con la storia del film, di come è stato prodotto e girato: intoppi, ostacoli, vittorie, tempo. Trentantadue anni di attesa, sei mesi di azione.
Ricoverato prima delle riprese, Caligari sta male. I medici dicono che non c’è più niente da fare. Gli amici però non si arrendono, non si arrende Emanuel Bevilacqua, non si arrende Valerio Mastandrea.
E Claudio Caligari ce la fa, proprio perché vuole girare il suo film, il suo terzo film. Alla lettera di Mastandrea, Scorsese non ha risposto, ma hanno risposto altri produttori: Kimerafilm, Rai Cinema, Taodue, e Leone Film. GoodFilms per la distribuzione. Budget chiuso. Tutto pronto per partire, e per partire come vuole Claudio: la storia che vuole lui, gli attori che vuole lui. Trentadue anni per arrivare fin qui. Come passano trentadue anni, sarebbe da chiedergli di nuovo. E forse la risposta sarebbe sempre la stessa: “Perdi due, tre anni su un’idea, non ci riesci a farla, prendi un’altra idea, ci stai due, tre anni, non riesci a realizzare nemmeno questa, e così via, ed è così che passano trentadue anni” dove il tempo non è mai perduto, mai fallimento, ma solo tempo che passa, come se il vero privilegio fosse il tempo di per sé. Tempo di conoscere, scoprire, invecchiare.
Pochi giorni prima delle riprese Claudio va al cimitero di Arona – ricorda Francesca Serafini – sulla tomba del padre. Ha nevicato, tutto è ricoperto di bianco, nessuno è ancora passato di lì. Allora lui decide di non entrare. Rimane fuori. Rimane a contemplare la bellezza intatta.
Una bellezza che ha a che fare con la verità, non con l’artificio. Una bellezza che va rispettata. Questo è il cinema di Claudio Caligari. Ecco l’idea precisa che ha in testa, tanto che se mancano le condizioni per rispettarla, lui preferisce rinunciare.
“Muoio come uno stronzo” dice a Mastandrea, un giorno in macchina, semaforo di Viale dell’Oceano Atlantico. “Muoio come uno stronzo. E ho fatto solo due film”.
Sbagliato, tre. Perché gira il terzo. Ce la fa. Gira e monta il suo ultimo film: Non essere cattivo.
Claudio Caligari 1956 – 2015.

Il regista non ci risparmia niente, ma nel suo sguardo non c'è mai nè cinica indifferenza nè facile moralismo. Anche nei loro comportamenti più abietti, lo spettatore non riesce a non provare compassione ed empatia per i due giovani sbandati che sono capaci di litigare furiosamente ma anche di abbracciarsi con tenerezza e di improvvisare una partita a calcio sulla spiaggia. Come degli eterni bambini cresciuti nel posto sbagliato. Ma questo, per Caligari, ed è un altro merito del film, non rappresenta un alibi: la redenzione è sempre possibile e la vita è più forte di tutto, come si vede nel finale, amarissimo e al tempo stesso aperto alla speranza.
"Non essere cattivo", infine, è un film attualissimo: i giovani non hanno scoperto le pasticche quest'estate come le cronache ci portavano a pensare. E il municipio di Ostia è stato di recente sciolto per mafia...

… Da mesi Mastandrea aveva impostato la lavorazione  con il ruolo di Vittorio lo scoppiato affidato a Luca Marinelli, già protagonista di La solitudine dei numeri primi,mentre quello di Cesare che tenta di rigare dritto era di Alessandro Borghi, una solida carriera televisiva che non l’ha guastato, poi un giorno Caligari, che non poteva parlare tanto perché era tracheotomizzato (handicap che gli forniva il suo unico cespite, una pensione minima di invalidità) ha fatto un gesto con la mano. «Voleva dire inverti i ruoli. E porca miseria se aveva ragione». Di gesti ce sono stati tanti durante la lavorazione e uno il Buono non lo dimenticherà mai. «Il film era finito, mancava qualche aggiustamento e io stavo partendo per girare Fai bei sogni con Bellocchio. Sono andato a trovarlo, stava nel letto dove è morto, a casa della madre di 95 anni. Mentre mi alzavo per andare, mi ha salutato alzando il pollice come per dire tutto OK. Quando sono arrivato alla porta gli ho detto rifammelo e  me l’ha rifatto».
Il Ruvido che non si fidava tanto di nessuno si è affidato al Buono, che ha dato gli ultimi ritocchi all’eredità. E che mette le mani avanti: «Tutto il buono del film è suo, tutto il cattivo è di noi che siamo rimasti. Frank Capra non si lascerebbe sfuggire un dettaglio: nel dire queste cose, il Buono si commuove.

2 commenti:

  1. La tua rece più lunga ;)

    concordo con tutto
    poi, e te ne ringrazio, hai un pò messo tutti i link utili a capire meglio la vicenda caligari e del suo film

    li leggerò ;)

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    1. noi con lo stile quasi aforistico a volte ci lasciamo prendere dalle parole, sempre per una buona causa :)

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