venerdì 28 aprile 2017

Ma Loute – Bruno Dumont

in Ma loute appaiono i grandi attori, che impersonano dei dementi, le bambine diventeranno come loro, chissà.
qui non c'è speranza per nessuno, tutti sono dannati, non ci sarà mai un incontro e una comprensione fra los de arriba e los de abajo, la mobilità sociale è impensabile, i servi saranno sempre servi, come i loro figli, non si discute, i ricchi fanno schifo, classisti fino al midollo.
questo il film lo fa capire benissimo, ma è un film esagerato, grottesco, sopra le righe.
tutti sono caricature, macchiette, i poliziotti per primi, sembra di vedere le comiche (che erano mute, ma qui si parla una lingua a noi incomprensibile, per cui l'effetto è quasi lo stesso).
i ricconi sono dei parassiti, chissà se lo capiscono, la religione è un collante fra le classi, anche il prete è un demente.
il regista è tecnicamente bravissimo, ma il film non mi ha convinto,
Ma Loute sembra una variante di P'tit Quinquin, che era davvero bello, Paganini non ripete, Bruno Dumont invece si ripete, riuscendo anche un po' ad annoiare, alla lunga.
(i Cahiers de Cinema lo mettono al quinto posto rispetto alla prima posizione del precedente)
comunque buona visione, giudicate voi - Ismaele








 Si contrappongono personaggi di due diverse classi sociali. I poveri, la famiglia Brufort a cui appartiene Ma Loute, interpretati da attori non professionisti, sono pescatori, raccoglitori di mitili e trasportatori a braccia di turisti tra una riva e l`altra della baia durante la bassa marea. Dall`aspetto ricordano i mangiatori di patate di Van Gogh. Sono antropofagi, divorano carne umana (borghese) ed emettono grugniti bestiali. I ricchi, la famiglia Van Peteghem, interpretati da attori famosi: Fabrice Luchini, Juliette Binoche, Valeria Bruni Tedeschi, vengono a trascorrere le vacanze in una villa di stile egizio sopra il villaggio. Borghesi in decadenza, atteggiati e inebetiti, per i quali è tutto meraviglioso e fantastico, che nascondono un passato incestuoso e perverso. Si sono sposati tra cugini per favorire la fusione dei loro capitali.
Alto e basso, ricchi e miseri, si cade e si vola, da un lato si mostra un perbenismo di facciata, dall`altro una primitività bestiale.
Un film dalle immagini forti, tra il reale e il surreale, tra il comico e il crudele (alla Tarantino) che non è altro che la trasposizione della commedia umana con tutte le sue sfaccettature e le sue contraddizioni.

da un lato la derisione è universale, e colpisce tutti. C'è però una differenza cruciale, ed è una differenza di classe (sociale): i viziatissimi altoborghesi, al limite dell'idiozia, sono derisi in quanto caricaturali; i poveri lo sono perché sono grotteschi. Pur con una certa approssimazione, è possibile affermare che mentre il grottesco sta per una deformità naturalizzata, considerata come inerente all'ordine delle cose, il caricaturale è una questione di stile. È  una deformazione deliberata e intenzionale di un oggetto la cui originaria non-deformità è fuori questione, e data tanto implicitamente quanto inequivocabilmente. Per questo i ricchi personaggi violentemente caricaturati sono interpretati da attori famosi; non così i poveri, non di rado interpretati addirittura da non professionisti.

Certo, dietro l'individuazione di questa stessa differenza c'è ancora la classe: sono i ricchi a pensare, ipocritamente, che la turpitudine dei poveri non abbia origini sociali, ma sia nell'ordine naturale delle cose. Il gioco a cui gioca il film è in effetti, proprio questo: costringe lo spettatore a spostare una mal riposta illusione ideologica per poi sbattergli in faccia l'evidenza di quanto torto abbia. Lungo più di metà del film, infatti, Dumont sembra suggerirci che una mediazione pacifica tra i due mondi sia tutto sommato possibile (l'eponimo Ma Loute, primogenito dei miserevoli Brufort, si innamora ricambiato della figlia dei ricchi). Poi però lungo tutta la seconda nega recisamente la percorribilità di qualsiasi conciliazione, schiaffeggiandoci con un “no” dietro l'altro, vale a dire con altrettanti ribaltamenti e U-turn narrativi che, per pura virtù di accumulo, finiscono per fare esplodere qualsiasi forma di integrità del racconto. Opportunamente, uno dei personaggi a un certo punto non la smette di confondere il termine dénouement (scioglimento narrativo) con débordement (l'eccesso, lo straripare fuori dai margini)…

Nella seconda parte alcune dinamiche si fanno ripetitive e il gioco mostra leggermente la corda, ma le trovate surreali e la caratterizzazione dei personaggi sono divertenti fino all'ultimo e non mancano sequenze visivamente geniali…

Osserviamo il poster: all’interno dell’ovale si nota una variegata umanità dalla quale emerge almeno un tratto comune: ognuno dei soggetti ivi riportati ha una posa da perfetto imbecille, poi leggiamo sotto al titolo la paternità dell’opera e un pochino di dubbi si materializzano: ma come? È proprio quel Dumont lì? Quello che faceva quei film là e a cui difficilmente si sarebbe pensato di accostare una locandina del genere? Perché comunque le locandine sono importanti nei circuiti di vendita, presentano il prodotto, lo identificano, attraggono, ed è per tale motivo che, ad esempio, le opere sperimentali non hanno bisogno di poster poiché non necessitano di pubblico ma di persone, di esseri umani, ed è sempre per questo che Dumont ha piazzato già nel primo strato di Ma Loute (2016) con cui dobbiamo rapportarci la quintessenza del film stesso, ovvero un prodotto di marcata attorialità, di focus caricaturale, di commedia esacerbata e a volte anche un po’ scema…

Va bene tutto però dopo un po’ uno si annoia, si infastidisce. Ma Loute parte anche bene, per mezz’ora il film è piacevole e divertente in tutte le sue eccentricità; c’è la critica sociale, c’è uno sfondo politico (ma anche Grease è politico!), ci sono le solite derive umane di Bruno Dumont. Però poi hai la sensazione che il regista ti molli per strada, che si dimentichi che tu sei lì, come un fesso, seduto in sala a fissare uno schermo enorme in una sala semideserta con qualche altro poverino che ha provato il brivido del film francese pazzariello proveniente da Cannes. E finisce che con il sopracciglio alzato osservi un grande obeso volare nel cielo con un effetto visivo che nemmeno Méliès, che nemmeno alle prime dieci ore di un corso serale di After Effects faresti così male – ma male male!...

 Estremizzando i due mondi, il regista francese chiede alle sue star di non trattenersi in un alcun modo, cercando anzi una recitazione sempre sopra le righe, oltre il teatrale, per rimarcare l’ipocrisia di una nobiltà già all’epoca antistorica e decaduta. Di contro, alla famiglia di pescatori, suggerisce di non dimenticare mai la natura ferina che ne contraddistingue anche i tratti somatici, costringendoli a fagocitare (letteralmente) le carcasse di una specie destinata all’estinzione.
Il tutto, naturalmente, incastonato nella cornice struggente e mozzafiato di un luogo selvaggio che, a quanto pare, neanche la forza del vento è capace di trasformare. Saranno le persone, piuttosto, a volare via, vuoi per miracolose ascese verso il divino, vuoi per trasformarsi in veri e propri palloni aerostatici con cui adornare una festa in giardino. Ed è anche nell’insistenza di questo nonsense esasperato che Dumont, trascorsa la prima mezz’ora del film, finisce per annoiare. Quasi incapace di arrestarsi, come accade con gli innumerevoli ruzzoloni dell’irresistibile Machin, personaggio che sembra uscito dalle comiche in bianco e nero dei primordi della storia del cinema. Ma anche quello è un giochino che dopo un po’ stanca.
Chissà, forse è ancora presto per dirlo con certezza, ma ancora tendiamo a preferire il Dumont vecchie maniere. Si rideva meno (anzi, per nulla), ma i suoi film erano capaci di durare ben al di là dei titoli di coda. Un cinema cannibale, quello sì capace di mangiare anche lo spettatore, che non faceva prigionieri.

 Il digitale può - in altri film - aver appiattito alcuni elementi visivi, ma fornisce molti aiuti a un film come questo. Rende possibile inquadrare campi larghissimi su cui far irrompere nettamente un volto stravolto in primo piano. Rende a portata di mano semplici effetti speciali digitali molto utili per le scene slapstick, con i personaggi che letteralmente volano di qua e di là. Il dominio della post-produzione infine consente scene spettacolari come la tempesta a un passo dalla spiaggia assolata, forse l'apice visivo e  drammatico del film, dal sapore quasi verghiano. D'altro canto un film del genere vive sul fisico dei propri attori in particolare quelli non protagonisti (i già citati Billie e Machin, ma anche Eternel, il padre di Ma Loute) che comunicano potentemente con la loro sola presenza - ma anche sull'autodeformazione di Luchini.
Dumont sostiene che nessun registro richieda la stessa attenzione formale del comico. Nei tempi, ovviamente, si veda l'estenuante taglio della cacciagione, ma anche nella fotografia, con la selezione ad ogni caduta di Machin della prospettiva in cui risulti maggiore la ridicolaggine.  Seguendo questo principio il regista mantiene un estremo controllo formale - si veda ad esempio il lavoro sul suono - ma allo stesso tempo si sente libero di strabordare con i temi e le svolte narrative. L'unico vero difetto del (bel) film sta in questa simpatica ingordigia che a volte taglia fuori lo spettatore a forza di accumulare gag, brevi sottostorie e temi assurdi. Come in cucina, mescolare sempre tutto - ad esempio il dramma e il grottesco nel dialogo tra Luchini e la Binoche - conduce a pasti che vengono ricordati di più per la loro stranezza che per la loro bontà.  "La trasgressione mi interessa, che sia l'ambiguità sessuale, il cannibalismo, l'incesto, etc. - sostiene Dumont - Posso trattare la mostruosità, il proibito, attraverso il comico." Il film è pregevole visivamente e regala risate sincere, ma alla fine piacerà anche nella misura in cui si accetta questo punto di vista.

A very different film from Dumont. This absurdist film takes place in the 1910s at a beach site where local poor fishermen literally live off tourists and the inbred bourgeois rich family that keep a mansion on the beach. I say literally, because they not only make money by being their ferrymen, they also eat them when they get too hungry. The rich family of inbreds are all acted over-the-top, from the bumbling incompetent hunchback, to the hysteric women, and they have a girl that frequently changes her sex and clothing on a whim. A Laurel & Hardy police-man duo are investigating the missing people, the fat one frequently rolling down hills or falling down, and trying not to be distracted by the cross-gender teenager, a budding romance between the two families, and a nudist beach. This leads to a surreal, fantasy climax that doesn't seem to go with the rest of the movie. Although this may bring up comparisons to Delicatessen thanks to the cannibal comedy, the slapstick is awkward, and the over-the-top treatment is also annoying and also doesn't allow the satire to be anything other than silly. But it's odd enough to keep one entertained, and it's visually beautiful to look at.
da qui

2 commenti:

  1. Purtroppo non posso che sottoscrivere.
    Adesso vediamo che cosa ne uscirà dal prossimo film che sarà un... musical.

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    1. la gag del poliziotto superobeso che rotola ogni volta, poi non fa più ridere,speriamo bene sì, per il prossimo film!

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