lunedì 15 febbraio 2016

Tony Manero – Pablo Larrain

Raúl è un alienato, Tony Manero gli ha rubato l'anima.
vive una vita precaria, come tutti quelli che conosce, ed è disposto a tutto per il quarto d'ora di celebrità, e anche per meno.
le relazioni che ha con il mondo sono di rapina, non ha niente da perdere, non ha niente a cui tiene, una donna, un'idea, vive alla giornata, ha però un sogno, essere Tony Manero, è impossibile, ma è l'unica cosa che lo tiene vivo, un Tony Manero di infima serie, di periferia estrema, tutti sono infelici, sotto la dittatura di Pinochet, che è una presenza opprimente.
è un film doloroso, senza vie d'uscita, Alfredo Castro è drammaticamente efficace nell'interpretazione di Tony, provare per credere.
non fatevelo sfuggire - Ismaele






… Non sono tanto gli atti di violenza di Peralta/Manero a rimanere impressi, nonostante una certa brutalità, ma il contesto, l’atmosfera irrespirabile, la percettibile claustrofobia. Gli aspiranti Chuck Norris e i sosia di John Travolta, protagonisti per un giorno di una trasmissione televisiva sconfinatamente kitsch, sono gli evidenti segnali di uno smarrimento morale e culturale generalizzato. La storia, il passato, le proprie radici non hanno più senso, non hanno più importanza. La colonizzazione è avvenuta e il male può attecchire con maggiore facilità – ogni riferimento a nazioni bagnate dal mare e con splendide catene montuose è del tutto casuale, così come la velata critica al sistema televisivo e i conseguenti arretramenti culturali e morali. Del tutto casuale.
Pablo Larraín incolla spesso la macchina da presa addosso al protagonista, pedinandolo, scrutandolo e Alfredo Castro riesce a rendere con efficacia i risvolti grotteschi del proprio personaggio. Un’interpretazione sicuramente impegnativa dal punto di vista psicologico, visto il tenore di alcune sequenze: l’omicidio dell’anziana signora, i due amplessi, l’imbrattamento del vestito nuovo del suo giovane rivale e via discorrendo. Tony Manero è un film duro, imperfetto, persino fastidioso ma, come a volte si usa dire, necessario. Dannatamente necessario.

La scelta di Saturday Night Fever (La febbre del sabato sera, 1978) di John Badham come ossessivo modello di riferimento per Raúl, è dettata dalla volontà di Larraín di mettere in relazione due mondi che entrano in collisione: quello dell’American Dream e quello dell’oblio della cultura cilena. Inoltre, curiosamente, non sono poche le assonanze a livello di contenuto e significante tra i due film. Il film di Badham rappresenta il ritratto più puntuale e riuscito degli esiti del “riflusso”, ricondotti ad una gioventù nichilista, sospesa tra tradizione e paura del futuro, tra infantilismo e voglia (che rimane tale) di responsabilità. Una gioventù incapace di compiere delle scelte, che si rifugia nell’edonismo e nel culto dell’apparenza per sfuggire a se stessa. Quello di Larraín è un ritratto, a tinte fosche e mortuarie, di una società “cannibalizzata” dalla dittatura, capace di vivere solo di riflesso (attraverso l’immagine cinematografica) il “sogno” e “la bellezza” e che si rifugia nell’ossessione emulativa per sentirsi “diversa” e vincente (ma ontologicamente perdente).
«Questa storia mi permette di mettere a nudo, senza reticenze il volto reale di una società incapace di affrontare il suo passato più recente. Una società con le mani lorde di sangue, che si affanna a cercare di apparire alla moda ed elegante mentre balla alla luce degli spot, ignorando le sofferenze altrui.» (Pablo Larraín)
«Il film è un’analisi spietata dell’errore in cui si incorre credendo che felicità e successo possano essere ottenuti imitando e sostituendo la propria cultura con un’altra. Nel caso specifico si tratta di una cultura alimentata da un potente strumento di comunicazione di massa, il cinema, ed imposta, in un modo o nell’altro, dagli Stati Uniti ai paesi del terzo mondo.» (Pablo Larraín)

…Comparado con Al Pacino por la prensa internacional y no sólo por su parecido físico en esta película, Raúl esconde tras su mirada perdida y su silencio sepulcral, una necesidad esencial: la necesidad de dejar atrás una vida sin oportunidades y escapar de una sociedad que no tiene nada que ofrecerle, a través de su máximo ídolo, que es lo único que lo llena y lo evade de su angustiante vivir.
Jacques Mandelbaum, del destacado periódico francés Le Monde, la calificó como “una farsa que quita el aliento”. Después de eso, no hay mucho más que explicar…

…Cette obsession de la ressemblance autour de laquelle est construit le film est aussi une affaire politique, à travers laquelle se règlent des comptes à la fois historiques et contemporains entre l'Amérique latine et les Etats-Unis. Le film montre ce que cela signifie d'être pris dans le regard et la puissance de l'Empire, d'intérioriser sa domination au point de délirer son identité, de participer enfin jusqu'à la folie à sa propre négation.
Raul, serial killer fou de disco, peut ainsi être vu comme une réplique au petit pied d'un Pinochet installé et maintenu au pouvoir par la grâce de l'Oncle Sam. Si le terme n'était aussi péjorativement connoté, on dirait que Tony Manero est un grand film anti-impérialiste.

Malgré une belle interprétation, et une certaine intention de montrer le quotidien d’un homme, qui arrive à faire abstraction du régime de Pinochet qui règne au Chili à cette époque, et toutes les horreurs qu’a subi la population, "Tony Manero" est un film dont on ressort dubitatif… Dubitatif face à cet homme d’une cinquantaine d’année, qui fait preuve d’encore plus de violence que la milice qui sillonne les rues de la ville… Dubitatif face à aussi peu de prise de position de la part du réalisateur, qui pourtant a tenté de dénoncer une période qui a ravagé son pays et tous ses idéaux.

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