Giuseppe De Santis ha fatto pochi film nella sua carriera, chissà se dipende da film come questo, chi finanzia un film che spaventa il potere facendo vincere le cooperative del dopoguerra contro gli avidi latifondisti amanti del fascismo?
il film racconta una storia terribile, migliaia e milioni di contadini erano in balia dei proprietari terrieri, come avviene oggi in India, per esempio.
vedendo Caccia tragica starete vedendo un pezzo di Novecento, il gran film di Bernardo Bertolucci, che avrà visto e rivisto il film di Giuseppe De Santis.
un film da non perdere, un capolavoro immeritatamente poco conosciuto, non ve ne pentirete.
buona (politica e classista) visione - Ismaele
QUI o QUI si può vedere il film completo
Splendido esempio di neorealismo "resistente" (anche dal punto di vista cinematografico). Prima del capolavoro Riso amaro De Santis formula già compiutamente la sua idea di un cinema consapevole e "partigiano" sul piano politico/civile quanto strutturato e "accumulativo" sul piano tecnico e spettacolare. Il quadro di un'Italia ribollente e sfasciata, imbarbarita ma non impietosa è descritto con una forza a cui si perdonano errori ed eccessi melò. Tutti in parte gli attori, ma ruolo della vita per Vivi Gioi/Daniela, spia tedesca rapata e donna perduta.
Dopo il documentario Giorni di gloria, lavoro di montaggio di materiali altrui, Caccia tragica (80 min.) costituisce il vero film d'esordio di Giuseppe de Santis. Conclusa l'importante collaborazione in qualita' di aiuto regista nel film di Vergano (primi mesi del 1946), il cineasta ciociaro ottiene a sua volta i finanziamenti dall'ANPI per una pellicola che mostri la situazione precaria delle cooperative agricole nella bassa padana, strette tra i debiti, il padronato che le considera una concorrenza abusiva e la criminalita'. Il risultato (presentato con successo alla mostra di Venezia nel settembre 1947) e' sorprendente e si puo' tranquillamente considerare il migliore lungomeraggio della lunga e disomogenea carriera di De Santis nonche' una tra le cose piu' significative del periodo. L'esordiente non sfugge alla scontato e propagandistico manicheismo che vuole tutto il bene con il popolo (i contadini della cooperativa nel caso specifico) e tutto il male con i padroni e gli ex fascisti. Pero', come avveniva nell'unica altra pellicola compiuta e condivisivbile finora apparsa sull'argomento, Due lettere anonime di Camerini, De Santis riesce a mettere in scena in entrambe le fazioni, l'un contro l'altra armate, anziche' penose marionette, dei protagonisti a tutto tondo, credibili e dotati di una loro particolare umanita' (pur con alcune eccezioni). Inoltre l'autore evita le secche dell'improvvisazione e del "neorealismo" piu' sperimentale di Rossellini per affidarsi ad una solida e ben costruita sceneggiatura (prodotta da un piccolo ìesercito di scrittori tra i quali Alvaro, Lizzani, Antonioni e Zavattini) in cui le reazioni dei personaggi emergono quale prodotto di situazioni stringenti, memori del noir americano. Concisione narrativa hollywoodiana e lirismo tutto italiano propongono, per la prima volta, una delle "ricette" vincenti del nostro futuro cinema; basti pensare che almeno due capolavori posteriori quali Salvatore Giuliano (Rosi 1961) e Novecento (Bertolucci, 1976) in alcune scene di massa (le donne in piazza a Montelepre, i contadini assiepati sugli argini del Po) sembrano ricordarsi e citare proprio l' "antico" Caccia tragica…
Sposarsi sotto le bombe, riuscendo ad essere felici anche in circostanze belliche e venire, immediatamente dopo, allontanati dall'uomo che si ama. È quello che capita alla protagonista della pellicola di De Santis, che realizza un'opera (e in questo il film ha un duplice valore) sull'Italia postbellica in chiave documentaristica, fotografando la realtà di allora con il paesaggio usato per rappresentare gli stati d'animo in uno stile quasi impersonale. Ed è ancora l'Italia contadina a farla da protagonista assoluta. Neorealismo doc.
…Nonostante la fine delle ostilità, tutto ancora ricorda i recenti combattimenti. Le campagne sono disseminate di mine; girano ancora armi in quantità; la nomenclatura dei luoghi reca le tracce dell'occupazione tedesca, da poco conclusasi; le persone vagano da un luogo all'altro con qualunque mezzo disponibile. Esiste, infine, il dramma dei reduci, sfiancati e delusi dagli anni di guerra e prigionia, quasi un peso per la società in via di formazione. Eppure, è necessario reintegrarli e dar loro speranze per il futuro. Alberto e Daniela sono interpretati rispettivamente dal prolifico Andrea Checchi e l'attrice di padre norvegese Vivi Gioi; amanti lunatici ed inclini al bisticcio, rappresentano una coppia di fatto, agli antipodi nella sua essenza rispetto quella di Giovanna e Michele (Carla Del Poggio, Massimo Girotti), unita dal vincolo del matrimonio, dalla fedeltà, dal sostegno reciproco, da una visione positiva del futuro. Il film è ambientato tra campagne pianeggianti e piccoli insediamenti, in un luogo che potrebbe essere l'Emilia-Romagna. "Caccia Tragica" è un buon esempio di cinema neorealista. Non nega le immense difficoltà della collettività appena uscita dal conflitto, ma, al tempo stesso, ne elogia le qualità positive, attraverso le quali essa può emendarsi e migliorare, al fine di lasciar per sempre dietro di sè i mali del periodo bellico.
…Caccia Tragica è un esempio di grande cinema nostro e non solo legato all’idea di neo-realismo, ma sceneggiatura, legata a nomi come Lizzani, Zavattini, Antonioni, che hanno superato il neorealismo facendo una vera e propria operazione di cinema. Il finale ha un significato tutto suo e nostro come quello del lancio delle zolle di terra. Colpisce molto il personaggio di Daniela, Lilì Marlene, collaborazionista con i tedeschi che ha avuto la punizione del taglio dei capelli dai partigiani, un personaggio femminile complesso a cavallo fra il mondo tarlato di ieri con la trasparenza lucida dell’oggi. Un film che alcuni nostri grandi registi non hanno dimenticato vedi Rosi di Salvatore Giulino e Bertolucci di Novecento, dove alcune scene sono state rifatte pari pari.
…De Santis imposta, già con Caccia tragica, un cinema figurativamente influenzato dall'esperienza eisensteiniana (e, del resto, lo sguardo del regista di Fondi era direzionato verso l'URSS anche politicamente), narrativamente parente del cinema americano (per buttare là due nomi, direi Walsh e Huston), ma che non prescindeva dalla realtà sociale e politica dell'Italia appena uscita dalla Seconda Guerra Mondiale. Interessantissima, in quest'ottica, l'ambientazione in una pianura padana sconvolta dallo scontro tra i vecchi proprietari terrieri e le cooperative di contadini, che rifiutavano l'antica condizione di braccianti e mezzadri, per mettere il sudore della fronte al servizio delle proprie famiglie, anziché di un padrone dalle belle braghe bianche. Ed a testimoniare il recente passaggio della guerra, restano le mine sepolte nei campi, che impongono agli agricoltori un lavoro supplementare, preliminare perfino al dissodamento di quella terra che nel finale viene lanciata al reduce, che aveva pensato di fare soldi senza il duro lavoro delle braccia, e si era inconsapevolmente messo al servizio dei proprietari terrieri.
…La corposa fisicità delle immagini,il dialogo forse enfatico ma profondamente plausibile tra i personaggi,la reale forza delle intenzioni:la mobilità senza sosta e senza esitazioni della cinepresa bracca in ogni angolo le storie e i pentimenti e le false gloria di chi le porta,la folla che non è inferocita ma sa gridare il proprio trionfo e la rabbia,come cavallette umane in grado raccogliere forze e armi.
Le scene memorabili,avvolte da una fotografia ci crudo calore,sono diverse e anche compiaciute,tenute insieme da un desiderio quasi brutale di tessere una storia di quelle scene che presto saranno memoria e coscienza.
Infatti,sia come cinema di genere che si ispira alla tradizione americana ma lasciando cadere spesso il senso del romanzo per privilegiare il cinema stesso come documento più sensuale,sia come opera finalmente autoriale,”Caccia tragica” ha il valore di una oralità che sente il bisogno della decisiva trascrizione visiva.
E la facce rigorosamente umane e attuali dei suoi attori,più sorprendenti di quelle di qualsiasi divo,
ce lo ricordano in ogni momento,fino all’ultima delle comparse.
Da far rivedere non solo ai registi italiani,definitivamente insofferenti al cinema di genere(o del tutto incapaci di realizzarlo),ma anche a quelli americani che hanno perso il senso della misura,della narrazione e della tradizione.
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