una storia del terrore, con sceneggiatura di Carlos Vermut.
una nonna e una nipote, solo loro due, non esistono altri parenti, vivono insieme nella stessa casa, la vecchietta è ormai alla fine, ma alcune cose succedono, vedere per credere.
buona (nonnesca) visione - Ismaele
…Un racconto non certo originale, opera di Carlos
Vermut, tradito nel fattore "sorpresa" da un incipit rivelatore, è
adattato a lungometraggio con certa cura formale da Paco Plaza. Anche in questo
caso, come ormai da tradizione del cinema horror iberico, viene riciclata la
solita trama del pericolo inatteso, che si nasconde tra coloro che più
dovrebbero rassicurare: i parenti, più precisamente familiari in linea diretta
di sangue (Darkness o Nameless).
Sicuramente migliore di alcuni precedenti, quasi inguardabili, film del regista
(i terribili, anche in senso tecnico, seguiti di [Rec]), La abuela presenta
una cinematografia suggestiva e merita d'essere visto per la notevole
performance delle due antagoniste, Almudena Amor e Vera Valdez.
Quest'ultima, resa ormai scheletro dall'avanzare dell'età e da un dimagrimento
significativo, che preannuncia l'imminente sopraggiungere della morte, non può
non ricordare l'Elena Markos di Suspiria, in
particolar modo per affinità elettive e per probabile affiliazione della stessa
alle logiche del Male e della stregoneria. È un peccato che un soggetto così
interessante - che poteva dare spazio a più profonde e ardite estensioni, anche
con contenuto a carattere sociale, sul tema del vampirismo psichico (ossia di
quegli anziani malvagi, orientati a nutrirsi dell'energia vitale dei più
giovani) - sia stato trattato al solo livello più superficiale del genere
horror. Anche se, dopo il lunghissimo e straziante preambolo, Plaza dimostra di
saper gestire con certo gusto le atmosfere e i classici contesti "de
paura", tipici del filone. La abuela si è
rivelato un mezzo flop commerciale - considerato il battage pubblicitario e la
diffusione internazionale - avendo incassato, a partire dal gennaio 2022,
"solo" 3.000.000 di dollari.
…Notevole, seppur non originale, la scena (fulciana) con le
due protagoniste (brava anche la nonna interpretata da Vera Valdez) che si
osservano in uno specchio circolare su cui si vede inizialmente riflessa la
sola faccia di Almudena Amor e dove affiora, dall'altra parte e in conseguenza
di una serie di esplosioni a frazione, il volto della Valdez. Una scena che
rende visiva la metafora del film incentrata sulla frase proferita, in
precedenza, dalla nonna alla nipote:“il tuo corpo è il mio corpo”. Forse
non compreso pienamente e penalizzato da un taglio che determina uno scorrimento
molto lento, La Abuela è un horror che conferma il talento del
regista. Nettamente superiore alla media degli horror contemporanei incentrati
su case maledette, fantasmi e rapporti familiari retti da subdoli motivi non
rilevabili a una visione superficiale (ancora la metafora dello specchio).
L'epilogo ricorda molto, nei contenuti (non nella forma), quello de Il
Cervello dei Morti Viventi (1973). Delicato, ma assai incisivo.
…Gran mestiere al servizio di una storia tutt'altro che originale,
sin troppo appesa ad un assunto astratto e noto già dalle sadiche, maliziose premesse.
Certo un paio di scene almeno risultano notevoli, come il gioco di
specchi che due riprese alternate offrono dei due personaggi sovrapposti uno
sull'altro, in un piccolo colpo di genio registico inequivocabile.
E il risultato è un film del tutto degno di rappresentare il genere,
territorio addentro al quale Plaza si muove da perfetto conoscitore dei trucchi
più efficaci, pur dimostrando qui un certo qualunquismo nel dettaglio di una
vicenda un po' troppo prevedibile e telefonata.
…Pero si hay algo, o mejor dicho, alguien, a quien debemos destacar es a Almudena Amor: de ser una desconocida a aparecer en lo último de Paco Plaza y Fernando León de Aranoa —para más señas, en El buen patrón junto a Javier Bardem— es para pensar y mucho en su talento. La actriz se echa a la espalda el peso de la función, y sabe transmitir con total veracidad el muy amplio abanico de sensaciones y emociones que el guion de Vermut, complejo en lo interlineal por necesidad al depender casi por completo de sus lecturas para satisfacer la obra final, le pone por delante en forma de retos de gran complejidad: no solo se trata de reír, llorar o gritar, sino de traspasar miedos interiores, terrores inaceptables o realidades incuestionables, todo sin apenas pronunciar palabra. También hemos de dejar puesto un sello de calidad en el trabajo de Vera Valdez, la abuela de la función, una intérprete brasileña, exmodelo en sus años jóvenes, que sorprende con una fisicidad digna de elogio. La conjunción de ambos elementos, el binomio Amor/Valdez, recrea a la perfección el núcleo más profundo de La abuela, el que excede su parte de película de terror al uso, con sus sustos más o menos predecibles —que los tiene— y su ritmo no siempre regular: la integración de dos para formar solo uno, la escisión del interior para negarse a aceptar el paso del tiempo. Paco Plaza ha conseguido la que probablemente sea su película más introspectiva y reflexiva; una propuesta de género compleja que alcanza la trascendencia a través de lo íntimo y que deja en el espectador la necesidad de procesar y recalcular lo visto.