mercoledì 26 novembre 2025

Il maestro - Andrea Di Stefano

il tennis è lo sfondo del film di Andrea Di Stefano.

grazie a Pierfrancesco Favino (Raul) e Tiziano Menichelli (Felice), in uno scambio continuo di sguardi, gesti, battute, contatti fisici (è quello scambio continuo la loro partita a tennis) vediamo un film che fa ridere, ma è anche triste.

Raul diventa per caso l'allenatore/accompagnatore di Felice, un ragazzino che il padre vede come un campione e si affida a Raul per il gran salto verso il successo sportivo.

ma la realtà non è quella che i due vorrebbero e la convivenza fra i due è quella di due perdenti che imparano a volersi bene, complici e quasi amici, a crescere.

Raul ha una storia complicata, con la quale suo malgrado fa i conti, è un uomo che è stato sempre inadeguato, nel tennis come nell'amore.

non è un capolavoro, ma una bellissima storia di perdenti, solo la loro umanità potrà, forse, salvarli.

buona (tennistica?) visione - Ismaele

 

 

Il Maestro è un film che emoziona senza artifici, capace di alternare leggerezza e dolore con grande naturalezza. Favino offre una delle sue interpretazioni più vulnerabili, restituendo a Raul la disperazione e la vitalità di un uomo a metà, mentre Tiziano Menichelli convince con una recitazione spontanea e incisiva. Alcuni personaggi secondari risultano macchiettistici, caricature forse volute ad amplificare il contrasto tra i due protagonisti. L’equilibrio evocato dal tennis – tra attacco e difesa, tra controllo e abbandono – diventa immagine della vita stessa, del bisogno costante di bilanciare desideri e limiti. È un’opera agrodolce, che fa ridere e piangere, che permette di empatizzare con due destini apparentemente lontani ma uniti dalla stessa ricerca di libertà. Un film di formazione, ma anche un film sul fallimento, sulla possibilità di rinascere e di trovare, almeno per un’estate, un maestro dall’altra parte della rete.

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E’ una storia in cui non può non riconoscersi chiunque abbia praticato in giovane età uno sport agonistico: le aspettative di madri e padri, le figure tragicomiche di questi allenatori con un grande avvenire dietro le spalle, che le occasioni mancate della vita e della carriera sportiva se le portano negli occhi. Intorno a questa struttura di viaggio, con la vecchia gloria Raul Gatti che accompagna, appunto, la giovane promessa 13enne Felice per i tornei validi per il ranking nazionale di tennis lungo l’Italia in una estate degli anni ’80, tra Cucuruccuccu Paloma e Drupi alla radio, Di Stefano e Ludovica Rampoldi costruiscono un chiaro omaggio ad un certo cinema italiano agrodolce, tra Dino Risi e Luigi Comencini a, per dire, Sergio Corbucci, senza avere vergogna di spingersi in alcuni momenti puramente grotteschi, e in parentesi visionarie come il Cristo che batte un servizio dalla croce, o la folle fuga sulle note di Cochi & Renato.
“Stiamo giocando un doppio, io e te”, si dicono ad un certo punto l’allievo e il maestro, ed è esattamente così, se da un lato in campo il film segue il percorso di emancipazione di Felice dall’ossessione del padre nei confronti del suo futuro da campione, dall’altro il viaggio tra i tornei sarà per Raul un modo per fare i conti con il proprio passato disastrato.

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Con la sua quarta regia, Andrea Di Stefano firma anche la sua opera migliore, perfettamente in equilibrio tra commedia e melodramma. Il maestro è un doppio racconto di formazione che dà voce a ogni possibile sfumatura della paternità, nucleo del film. Ambientato all'inizio degli anni Ottanta, il film manifesta un'ispirazione non comune (il sacchetto di gettoni telefonici, il Cristo che scende dalla croce, le zingarate per necessità della coppia protagonista), e un gusto preciso per i caratteri secondari, dando vita a una serie di duetti che, quando i due lasciano la racchetta, afferrano la sciabola, salvo poi ritrovarsi uniti in un abbraccio che ha tutto il sapore di un affetto perduto e finalmente ritrovato. Il maestro guarda alla commedia all'italiana e al romanzo picaresco: trasforma il road movie tennistico in un tenero elogio della sconfitta, dove solo chi perde a ripetizione impara a diventare adulto.

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