domenica 23 novembre 2025

Giovani madri - fratelli Dardenne

i fratelli Dardenne girano un altro film di cinema della realtà, e non deludono.

è quasi un documentario, nella forma di un film di finzione.

ci sono tante storie di ragazze madri che sono accolte da una struttura pubblica che le assiste, le aiuta ad accettare i bambini, lasciando alle ragazze la possibilità di fare le loro scelte, senza giudicare.

c'è la ragazza (Perla) che non riesce a convincere il padre a vivere insieme, c'è la ragazza (Jessica) che vuole ritrovare e farsi accettare dalla madre che l'aveva abbandonata, e farle conoscere la bambina, c'è la ragazza (Julie) che si sposerà con il padre della bambina, dopo che entrambi sono riusciti a rinunciare alla tossicodipendenza, c'è la ragazza (Ariane) che non vuole vivere con la madre alcolista, c'è la ragazza (Naïma) che inizierà a fare il lavoro che ha sempre sognato, e poi ci sono le insostuibili puericultrici che le aiutano come se fossero loro figlie.

insomma, un film che non cerca la lacrima facile, ma mostra le cose come sono.

come sempre capita ai fratelli Dardenne anche Giovani madri è un film da non perdere, secondo me.

buona (materna) visione - Ismaele


  

Baluardi di una visione socialmente consapevole del cinema – orgogliosamente neorealisti ma nel senso più corretto, non pittoresco o “panni sporchi” ma attenzione totale, disponibilità all’ascolto della vita e della sua verità multiforme – per i fratelli Dardenne Giovani Madri è il miglior film da più di un decennio. Questo perché, finalmente, il duo trova il modo di ricostruire con cura scrupolosa la dialettica tra individuo e ambiente; la produzione più recente era troppo schiacciata sull’individuo e non abbastanza aperta al racconto del contesto, per funzionare. Giovani Madri è un dramma venato di speranza che racconta la maternità nel modo più giusto – una tappa, fondamentale ma non esaustiva, nella vita delle cinque bravissime, autentiche protagoniste – e che trova nella verità dei corpi, accompagnati dallo sguardo vigile ma non intrusivo della macchina da presa, il senso di un cinema in perfetto equilibrio tra intimismo e carica politica.

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I cineasti si caricano sulle spalle le loro protagoniste e, più che i corpi, sono i volti e le loro espressioni che raccontano la loro storia e le loro reazioni, anche prima delle parole. Inoltre stavolta Giovani madri recupera quella luminosità di Due giorni, una notte, lascia intravedere un possibile orizzonte, anche nei tentativi di avvicinamento e nelle laceranti separazioni. C’è sempre però un filo che unisce queste azioni contrastanti. Tra quelle più intense, c’è la lettera che una delle ragazze scrive per la figlia quando compirà 18 anni. Certo, è una scena appositamente costruita, dove i Dardenne hanno dato precise indicazioni di regia alla ragazza per realizzarla. Eppure i cineasti catturano quell’impulso che mescola la tristezza e la felicità insieme, le difficoltà del presente e la speranza sul futuro. I drammi segnano le vite delle protagoniste ma c’è comunque un confine sempre più labile tra l’azione e il fuori-campo. Così, anche dei momenti apparentemente non centrali, mostrano quei frammenti di un vento di libertà, sia narrativa sia formale. Una giovane coppia, il motorino, le auto che suonano. È quasi un ritorno agli spostamenti del giovanissimo apprendista meccanico di La promesse. Non è un ritorno alle origini. Oppure lo è in parte. Quella programmaticità degli ultimi film è comunque superata. Non c’è stato un restyling, né un nuovo metodo perché quello, al di là dei risultati, ha comunque mantenuto una coerenza nella loro filmografia. Stavolta è lo sguardo, cinematografico e morale, che è quello giusto. Anche per questo Giovani madri è tra i loro film più ispirati.

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C’è un nuovo film dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne in sala. E non è di certo tra i più memorabili. La comunità dei cinefili europei ci perdonerà, ma dopo trent’anni di visioni, tra cui tutti i titoli dei maestri belgi, qualche distinzione andrà pur fatta. Giovani Madri non vale mezza Rosetta o mezzo Il figlio, ma nemmeno mezzo Tori e Lokita. Mettiamo subito in chiaro cosa non funziona: la logica dell’accumulo di storie, di linee narrative intersecabili, non è tra i pregi dei Dardenne, anzi. Se la peculiarità del loro cinema è la pressione di sguardo in semi-soggettiva, scavo totale su una figura centrale, un perno attorno al quale brulicano poche e precise figure di contorno, quando si dà pari importanza drammaturgica ad almeno cinque co-protagoniste e una marea di facce secondarie l’approccio stilistico salta per aria. O meglio: si svuota di energia e di senso. Capita…

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…Non ha senso accusare i due fratelli di ripetizione, poiché il film ripropone in maniera intelligente il loro mondo poetico, la loro cifra stilistica all'insegna della sobrietà, della discrezione, con una macchina da presa meno mobile ed esuberante rispetto a "Rosetta" e "Il figlio", ma bisogna comunque osservare che a tratti ci sono alcune notazioni un po' risapute, non tali da inficiare l'efficacia del disegno complessivo dell'opera. Al festival di Cannes stavolta i due fratelli hanno vinto il premio per la sceneggiatura, l'ultimo di una lunga serie di allori, ma in effetti il copione risulta strutturato in maniera giudiziosa, riuscendo a dare il giusto spazio tanti personaggi e a tante storie che si incrociano in una scrittura polifonica ben padroneggiata, certo non particolarmente nuova, ma verrebbe da dire che non è necessario sempre essere innovatori. Nel cast l'unico attore che sono riuscito a riconoscere è Fabrizio Rongione, in una breve partecipazione, ma per il resto le attrici, che immagino essere almeno in parte non professioniste, svolgono il loro compito con la consueta sensibilità e con un'intensità che più volte lascia il segno, in particolare Elsa Houben e Babette Verbeek.

Rispetto alle ultime prove degli autori, "Giovani madri" mi sembra un passo in avanti, speriamo che se ne accorga anche il pubblico italiano (l'ho visto in un cinema di Roma quasi deserto, nonostante fosse il primo giorno di programmazione).

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Le protagoniste sono adolescenti, e il film non lo dimentica mai: hanno voglia di ballare, di scappare, di chiudersi in bagno col telefono, di innamorarsi, di urlare. E il fatto che tutto questo debba convivere con l’arrivo di un neonato crea una tensione che il film preferisce non mediare mai e invece lasciare vibrare. La camera le segue nei loro tentativi di imparare a cambiare un pannolino, nelle chiacchierate complici, nella ricerca costante di un appiglio. E ogni volta che sembra arrivare un momento di tenerezza, la vita entra a gamba tesa e rimette le cose in prospettiva. Anche se c’è ancora domani (pardon), un futuro tutto da progettare, la porta aperta alla speranza.

Giovani madri commuove nella semplicità con cui in fondo mostra una verità che tutti conosciamo ma che evitiamo di affrontare: una madre che non ha mai potuto essere figlia fino in fondo rischia di diventare una ferita che si replica, un trauma che non può che diventare ereditario. Allora i Dardenne scelgono di mostrarci cosa significa spezzare – o almeno provare a spezzare – quella catena senza però mai offrire soluzioni, perché per la loro idea di cinema sarebbero un tradimento. E torniamo a Perla, che vorrebbe rispondere «non ce la faccio, per me è troppo», ma riesce solo a dire «anche io piango, anche io ho fame». Di amore, di cura, di riconoscimento. Ed è proprio quell’“anche io” a diventare la chiave del film e a ricordarci che queste ragazze, prima di essere madri, sono ancora figlie che chiedono una cosa semplicissima: essere viste.

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